Il grido del pacifismo femminista
Il militarismo è l’elefante nella stanza del clima. Un resoconto di Heidi Meinzolt mette in rilievo i tanti temi affrontati dalle pacifiste femministe alla Conferenza per la pace a Vienna: «Le “voci di pace” esistono ancora, benché sommesse e screditate… La pace da una prospettiva femminista si basa su un’analisi delle cause profonde della guerra e della violenza… Non ci consideriamo pacifiste in un vicolo cieco… Il nostro programma rimane l’impegno unificante contro il militarismo, il patriarcato e il capitalismo…»
Il 10 e 11 giugno si è svolto a Vienna il Vertice internazionale dei popoli per riaffermare la necessità di un percorso di trattativa per la pace in Ucraina. Europe for Peace è stata tra i promotori della conferenza, insieme all’International Peace Bureau, CODEPINK, World Assembly of Struggles and Resistances of the World Social Forum, Transform Europe, International Fellowship of Reconciliation (IFOR), Peace in Ukraine Coalition, Campaign for Peace, Disarmament and Common Security (CPDCS) ed alle organizzazioni austirache: AbFaNG (Action Alliance for Peace, Active Neutrality and Nonviolence), Institute for Intercultural Research andCooperation (IIRC), WILPF Austria, ATTAC Austria e International Fellowship of Reconciliation – Austrianbranch. Nel resoconto che segue, Heidi Meinzolt – di Wilpf Germania, ex coordinatrice di Wilpf Europa e creatrice di una “gender unit” all’interno dell’OSCE – mette in rilievo i temi affrontati dalle pacifiste femministe.
[Bruna Bianchi]
C’era l’elefante sul palco quando numerosi e impegnati combattenti per la pace e difensori dei diritti umani – almeno la metà di loro era costituita da donne di cui molte appartenenti alle sezioni europee della Wilpf (Women’s International League for Peace and Freedom) – si sono recentemente incontrati a Vienna. L’obiettivo era individuare le vie per porre fine alla guerra in Ucraina dal punto di vista della società civile. Le donne della sezione norvegese della Wilpf avevano portato un elefante per dimostrare visivamente tutte le conseguenze devastanti per le persone e l’ambiente delle azioni militari e che sono così prontamente ignorate nel dibattito attuale: distruzione delle infrastrutture, posa di mine, contaminazione di intere regioni (agricole), rilascio di enormi quantità di CO2 nell’aria, nei suoli e nell’acqua. Le imponenti esercitazioni militari delle alleanze aumentano i danni e distruggono tutti i precedenti impegni sul clima con effetti drammatici, anche al di là dei confini dell’Ucraina. Inoltre, l’approvvigionamento globale di cereali è a rischio, in particolare per quelle aree in cui il cambiamento climatico sta già distruggendo i mezzi di sussistenza, causando carestie e, di conseguenza, nuovi focolai di conflitto.
Eppure, le uccisioni continuano, la violenza militare, anche quella sessuale, causa immense sofferenze, paure e una più che giustificata rabbia per il brutale aggressore e criminale di guerra. Ciò influisce grandemente sulla comprensione reciproca tra chi lavora per la pace, rende difficile la cooperazione della società civile e aleggia su tutti gli incontri di antimilitaristi per la pace, mentre la perdita della casa e la fuga forzata divengono per donne e bambini una brutale realtà che può essere solo in parte elaborata dalla “narrazione”.
Tuttavia, le “voci di pace” esistono ancora, benché sommesse e screditate. Ascoltare queste voci, porre domande cruciali e rafforzare la solidarietà è una missione che la Conferenza di Vienna si era posta al fine di opporsi alla brutalizzazione del dialogo sociale in cui la perdita di vite umane è minimizzata come danno collaterale – sia che si tratti di persone che annegano nel Mediterraneo, o che muoiono sulla rotta balcanica o di fame o a causa della guerra. La militarizzazione delle menti e l’indurimento dei cuori si fanno sentire ben al di là dei confini dell’Ucraina e degli stati confinanti e devono essere affrontati.
La guerra, oltre alle sofferenze umane e alla minaccia di collasso climatico, crea enormi danni all’attività economica che si concentra su livelli crescenti di accumulazione di armi e distruzioni. Il denaro, al contrario, manca ovunque per la salute, la protezione climatica, l’educazione, le misure sociali per garantire l’approvvigionamento dei beni di prima necessità e per una vita decorosa. Allo stesso tempo i giganti produttori di armi hanno ricavi astronomici, non intaccati da alcuna tassa sugli extra profitti. L’agenda neoliberista per la ricostruzione e il dopoguerra è accuratamente tracciata dalle conferenze dei “donatori” – che praticamente escludono società civile – come è accaduto dopo tutte le guerre degli ultimi decenni. In questo modo si programmano nuovi potenziali conflitti e ingiustizie.
Dove sono le soluzioni?
Dove sono gli interventi diplomatici effettivamente riconoscibili, dove sono i processi che potrebbero far cessare le uccisioni, preparare un cessate il fuoco, pianificare i negoziati anche per il ritiro dell’aggressore? L’ONU, il papa, l’OSCE, i think tank internazionali, i pensatori intelligenti e i diplomatici esperti di ogni parte del mondo hanno delle idee – chi le sta portando avanti? Per la società civile che si è riunita a Vienna, si tratta di un imperativo assoluto! Purtroppo, le proposte e le iniziative sono andate in gran parte perdute.
Dobbiamo invece fare i conti con una paralisi chiaramente avvertibile in tutti gli ambienti politici nazionali, europei e d’Oltreoceano, orchestrata da un fatale mercanteggiamento di interessi sulle sfere di influenza, su immagini di nemici vecchi e nuovi e sull’attenzione all’autodifesa puramente militare. L’“impotenza”, già motto ufficiale della Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2022, si unisce a una miscela esplosiva di rifiuto del pacifismo inteso come nuovo realismo e di appelli unilaterali per una “pace attraverso la vittoria” sull’imperialismo russo, unica presunta via d’uscita dalla catastrofe. Il mainstream mediatico orchestra questa impotenza e quindi scredita, calunnia e danneggia i pacifisti a livello esistenziale, gli attivisti della resistenza civile, soprattutto quelli dell’area post-sovietica, gli obiettori di coscienza, i difensori dei diritti umani, gli attivisti per la pace. Esso divide e accresce uno spirito bellicoso: i ricercatori di pace sviluppano e spiegano strategie militari, parlano di una “guerra eccezionale”, che segna un cambiamento epocale e rende necessario il riarmo, in nome della cinica ridefinizione della prevenzione. La Germania sta elaborando una “strategia di sicurezza nazionale” con lo scopo di mettere in sicurezza la fortezza della prosperità. Le alleanze militari sono in piena espansione con il recente ampliamento della NATO nel Nord Europa, i circoli politici di destra si propongono come apostoli della pace e si uniscono al coro.
LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO:
Voci delle donne nelle discussioni preliminari per la pace a Vienna
A Vienna, la sezione austriaca della Wilpf ha organizzato una discussione preliminare dedicata alle donne promotrici di pace nella sede dell’associazione femminista “Frauenhetz”. All’incontro hanno partecipato aderenti della Wilpf venute da Germania (gruppo di Monaco), Norvegia, Danimarca, Bielorussia/Lituania, Italia, Spagna, Afghanistan, tra cui la presidente internazionale della Lega del Camerun, insieme alle amiche del gruppo OSCE/CSP di Georgia, Kosovo, Serbia, Armenia e Ucraina e alle sostenitrici delle 1.000 donne di pace nel mondo. Oltre all’indiscussa condanna della guerra di aggressione russa e all’enfasi sul diritto del popolo ucraino all’autodifesa secondo il diritto internazionale, la questione centrale è stata la necessità di fare tutto il possibile per un cessate il fuoco immediato al fine di rendere possibili i negoziati. Il consenso è stato chiaro: la pace da una prospettiva femminista si basa su un’analisi delle cause profonde della guerra e della violenza ed è un modo per lavorare per la smilitarizzazione, un processo per cui vale la pena lottare. Al centro c’è il concetto di sicurezza umana, che riunisce persone impegnate a livello locale, nazionale e internazionale e conduce le donne al tavolo dei negoziati su un piano di parità.
L’incontro delle donne, fonte di ispirazione
Quanto siano o possano essere difficili e controversi i negoziati e gli accordi per il cessate il fuoco, chi proveniva dall’Armenia lo ha chiarito ancora una volta attraverso le esperienze dell’attuale conflitto nel Karabakh, e come sia importante allo stesso tempo co-determinare le condizioni per i negoziati e correggerle attraverso le obiezioni. Quanto la guerra in Ucraina possa rappresentare un pericolo di ri-traumatizzazione per le popolazioni delle regioni limitrofe già traumatizzate dalla guerra, lo abbiamo appreso dalla Georgia, dove proprio per questo motivo i giovani sono impegnati in modo sostenibile per il loro futuro. Le donne serbe e albanesi del Kosovo hanno ricordato quanto possano essere durature le tensioni tra i gruppi e quanto possa essere importante e risolutivo il lavoro sul campo per la costruzione di ponti nella società civile. Allo stesso tempo, però, tutte hanno condiviso esperienze preziose di processi di riavvicinamento, conversazioni con i difensori civici, lettere alla comunità internazionale, lavoro basato sull’agenda delle donne per la pace e la sicurezza, dal livello locale a quello regionale e internazionale. Abbiamo discusso sul diritto all’autodifesa da una prospettiva giuridica alla luce del diritto internazionale, una prospettiva che va oltre la questione militare e degli armamenti e che mira all’empowerment, alla raccolta di documentazione della violenza e dei crimini di guerra, al sostegno sociale, alle misure di solidarietà, all’assistenza. Sono state affrontate anche le nuove motivazioni femministe-pacifiste che possano essere idonee alla difesa nazionale. L’amica bielorussa VA ha fatto riflettere tutte quando ha detto di comprendere il dolore e la disperazione del contesto di guerra: “Non siamo percepite da tutti coloro che ci circondano come persone che si battono costantemente per la pace e contro la violenza, che sono vittime indifese che implorano pietà dall’aggressore che non le ascolta e continua a tormentarle”. Ha inoltre sottolineato che coloro che si impegnano per la pace sono anche troppo facilmente ridicolizzati-e. Sono bersagli di bullismo e molestie perché considerati-e impotenti. V A ha concluso con un appello: “Credo sia giunto il momento di mostrare la forza del nostro movimento nonviolento e la nostra capacità di salvare vite umane e superare questo folle mondo di violenza”.
Vie per la pace
Così, dopo questo incontro preliminare, ci siamo rafforzate e motivate per avviarci come sorelle sui difficili “Percorsi di pace”. Per l’intera conferenza gruppi di lavoro hanno affrontato le questioni delle esperienze di cessate il fuoco, di smilitarizzazione, di negoziazione e, in una seconda fase, hanno discusso le prospettive di pace e le hanno presentate in plenaria. La dichiarazione finale della conferenza è una tessera di mosaico di un processo al quale non possiamo e non vogliamo sottrarci, soprattutto per l’esperienza più che centenaria della Wilpf, per la nostra analisi femminista delle cause della guerra e della violenza nel mondo e per la priorità data alla prevenzione e alla cura delle persone.
“La pace è un dono per vedere il futuro” ha sottolineato una partecipante ucraina – una frase al tempo stesso bella e triste per affrontare il presente. Essa non solleva nessuno dalla responsabilità di farsi guidare dalla visione che la pace è possibile. Non ci consideriamo pacifiste in un vicolo cieco, come ha scritto in modo sprezzante un giornale austriaco, ma stiamo sulle gigantesche spalle del movimento pacifista femminile. Il nostro programma rimane l’impegno unificante contro il militarismo, il patriarcato e il capitalismo.
Sono stata felice di aver partecipato.
Inviato anche all’agenzia Pressenza
[Questa pagina fa parte di Voci di pace, spazio web
di studi, documenti e testimonianze a cura di Bruna Bianchi]
Nessun commento:
Posta un commento