22 giugno 2023

IL LAVORO EDITORIALE DI NATALIA GINZBURG

 



[È uscito da pochi giorni, nella nuova collana Studi di letterature moderne e comparate  (USiena Press), il volume di Giulia Bassi, «Con assoluta sincerità». Il lavoro editoriale di Natalia Ginzburg (1943-1952) disponibile anche in versione Open Access sul sito dell’editore Pubblichiamo qui un estratto dall’introduzione].

 

CON ASSOLUTA SINCERITA'

IL LAVORO EDITORIALE DI NATALIA GINZBURG

 (1943-1952)


È il luglio del 1980 quando Natalia Ginzburg scrive a Franco Fortini:

 

Caro Fortini,

ti ringrazio tanto della tua lettera. Quando ti vedo, ti capisco quasi sempre, in un modo o nell’altro; ma questa lettera, a dirti il vero, mi riesce abbastanza oscura. Non arrabbiarti; non arrabbiarti. Io non voglio impuntarmi sulle poesie di Silvia Batisti. Io le trovo belle; se fosse in mio potere, le pubblicherei. Però mi posso sbagliare; spesso prendo granchi, nei poeti; non mi sento tanto sicura. Ma capisco solo il linguaggio del bello e del brutto; sono due vecchie parole, spesso male adoperate o male intese; però mi sembrano le sole parole su cui riesco a muovermi […][1].

 

L’aspetto più rilevante di questa lettera non è tanto il parere positivo o meno sulle poesie in esame, quanto la sicura affermazione da parte di Ginzburg di saper comprendere solo «il linguaggio del bello e del brutto», la consapevolezza che tali sono i termini “su cui riesce a muoversi”.

Bello e brutto sono in effetti «due vecchie parole» del vocabolario di Natalia Ginzburg, in particolar modo di quello editoriale. Sono termini che si ritrovano nei suoi giudizi e nei suoi  pareri di lettura fin dagli anni Quaranta, quando lavorava attivamente nella redazione romana e poi torinese della casa editrice Einaudi. Le lettere e i documenti di quel periodo mostrano, infatti, come Ginzburg vi facesse spesso ricorso per valutare i manoscritti: sul Giornale di Segreteria del 1946, ad esempio, sono annotati i suoi giudizi su Pierrot mon ami di Queneau, «bello e divertente»[2], e su San Silvano di Dessì, «abbastanza bello ma smorto»[3]; a Silvio Micheli scrive che nel romanzo di Marcello Venturi ci sono «dei pezzi molto belli»[4], mentre il suo Sono un povero cane italiano «è un brutto libro. Un gran brutto libro»[5]. Un altro esempio riguarda proprio Franco Fortini, il cui romanzo Giovanni e le mani nel 1947 viene giudicato negativamente da Ginzburg, che pure ci trova «qualcosa di un po’ bello in ultimo»[6]. Più attenuati sono i giudizi su La nuit et le manteau des pauvres di Claude Roy, che trova «non brutto, ma futile»[7] e su Amore difficile di Libero Bigiaretti, al quale dice che «non è che il suo libro mi sembri inutile e brutto»[8]. Al contrario a Renata Viganò scrive che «l’Agnese va a morire, è molto bello»[9], come lo sono i “Gettoni” di Antonio Guerra («molto bello davvero»[10]) e di Remo Lugli («molto bello e m’ha fatto impressione»[11]). Fino al superlativo, estremamente raro nei suoi giudizi editoriali, ma usato nel caso di Menzogna e sortilegio che trova «bellissimo, indicibilmente bello»[12], come scrive nel 1948 a Elsa Morante

 

L’accostamento di queste brevi valutazioni mostra come fin dall’inizio della sua attività editoriale Ginzburg fondi molti dei suoi pareri su queste due semplici parole, bello e brutto. Sebbene estrapolate dal contesto tali annotazioni non spieghino né i motivi su cui si basavano tali giudizi né le vicende dei libri in questione (spesso seguiti da lei fino alla stampa), delineano tuttavia già uno stile editoriale impostato su criteri qualitativi semplici e ricorrenti. La complessità stava semmai nell’uso e nell’interpretazione di tali espressioni, «spesso male adoperate o male intese»[13], come scriverà a Fortini molti anni dopo. La lettera del 1980 è in questo senso emblematica, perché esprime la consapevolezza di Ginzburg sui propri parametri, come chiarisce nella medesima lettera poche righe dopo, attraverso una seconda basilare dicotomia: vero e falso. Scrive infatti a Fortini:

 

Se tu mi dicessi: non mi piace Silvia Batisti, scrive falso, io capirei. Non capisco invece quando tu mi dici è dugento; è dugento, sì, va bene, ma se è vero dugento, se sono vere bestie, se è vera campagna, perché dobbiamo respingere queste poesie?[14]

 

La ricerca di una rappresentazione “vera” nei testi di poesia e di narrativa è forse la principale costante del suo lavoro editoriale. Questa «ossessione per la verità»[15], che orienta prima di tutto il suo mestiere di scrittrice, nell’attività redazionale diventa infatti sia un fattore di valutazione dei manoscritti sia un tratto stilistico nella formulazione dei pareri. In altre parole, l’«assoluta sincerità» con cui Natalia Ginzburg si accingeva a scrivere agli autori e ai traduttori è il criterio cardine del suo giudizio editoriale: un vero e proprio «dovere», come mostra ad esempio una lettera di rifiuto a Marcello Venturi, a cui il 29 dicembre 1947 scrive:

 

Io sono sicura che Lei farà ancora qualcosa di buono: proprio perché ne sono convinta, credo sia mio dovere scriverLe con assoluta sincerità[16].

 

«Forse sono stata troppo sincera»[17] scrive a Silvio Micheli quando rifiuta un suo manoscritto, aggiungendo «Ma non mi è stato possibile addolcire nemmeno un poco le mie impressioni»[18]; sincerità che richiedeva a sua volta ai collaboratori e ai traduttori: «vorrei che tu mi dicessi con sincerità quanto hai già tradotto delle Jeunes filles»[19] scrive ad esempio a Franco Calamandrei nel 1946, quando coordina la prima traduzione integrale della Recherche.

 

I materiali di questo periodo, dunque, rivelano alcuni tratti decisivi del lavoro di Ginzburg e reagiscono in modo particolare con la sua produzione letteraria: da un lato sono delle vere e proprie testimonianze delle riflessioni di poetica della redattrice e dei suoi destinatari; dall’altro, invece, sono fonti storiche che in alcuni casi hanno messo in crisi la rappresentazione di sé che l’autrice ha dato negli scritti autobiografici. Come si mostrerà, attraverso il confronto fra testi narrativi e documenti editoriali, la percezione della dissonanza fra l’autoritratto di Ginzburg, affidato a scritti come il racconto La pigrizia (1969), e la sua concreta attività è la condizione necessaria per restituire un’immagine nuova sia della scrittrice sia della redattrice. Da questo punto di vista, una fonte preziosa è stata il Giornale di Segreteria della sede di Torino, composto da quattro registri compilati tra il 1945 e il 1946, su cui gli einaudiani solevano annotare informazioni circa i libri in lavorazione e che serviva come strumento di comunicazione tra le tre sedi di Roma, Torino e Milano[20]. Questi materiali sono inediti e non sono mai stati studiati prima in relazione al lavoro editoriale di Natalia Ginzburg: il loro spoglio ha fatto emergere l’enorme numero di manoscritti che Ginzburg aveva in lettura fin dal primo anno, soprattutto dal francese; le sue modalità d’intervento; la frequenza dei rifiuti, sulla base della formula «Natalia legge e boccia» con cui un manoscritto veniva restituito all’autore. Rispetto al personaggio insicuro dei racconti autobiografici, infatti, dal Giornale di Segreteria emerge il profilo di una redattrice determinata, che respinge con sicurezza i manoscritti e non esita a insistere con perentorietà per portare avanti una proposta che ritiene valida. Il confronto fra i documenti e i testi ha permesso, inoltre, di valutare con maggiore consapevolezza il ruolo che Ginzburg ha avuto nella redazione einaudiana fin dal primissimo periodo.

 

[….]

 

Sulla base di tali spinte è nato questo libro, che racconta la storia di Natalia Ginzburg nella redazione Einaudi nel periodo del dopoguerra attraverso i carteggi spesso inediti con gli autori, i traduttori e i collaboratori con cui, di volta in volta, ha lavorato. Si è scelto di prendere in considerazione il periodo di attivo lavoro redazionale: dalla fine del 1952 in poi, infatti, Ginzburg si trasferisce a Roma. Lì proseguirà la collaborazione con la Einaudi in qualità di consulente editoriale, continuando sì a leggere manoscritti, rivedere traduzioni e bozze, soprattutto di narrativa italiana e dal francese, ma senza mantenere un ruolo attivo in redazione. Nell’Archivio Einaudi, dove la maggior parte delle sue lettere editoriali sono conservate, non mancano documenti successivi ai primi anni Cinquanta: il carteggio è molto ricco e merita a sua volta uno studio sistematico che includa lettere, opere e traduzioni. Ma il lavoro di trasformazione di un testo manoscritto in romanzo, i contatti con gli autori e con i traduttori, il rapporto con gli altri einaudiani e tutti gli aspetti del lavoro di redattrice sono esclusivi degli anni trascorsi nella sede romana e soprattutto in quella torinese della casa editrice.

GIULIA  BASSI

 

Note

 

[1] Archivio Franco Fortini (AFF), Fondo Fortini, Natalia Ginzburg a Franco Fortini, luglio 1980.

[2] AE, Giornale di Segreteria., 26 marzo 1946.

[3] Ivi, 28 marzo 1946.

[4] Archivio del Novecento (AdN), fondo Silvio Micheli, fasc. Ginzburg, Natalia, Ginzburg a Micheli, s.d. ma dicembre 1946.

[5] Ivi, Ginzburg a Micheli, 7 agosto 1947.

[6] Archivio Einaudi (AE), Pavese, Cesare. Parere di lettura di Natalia Ginzburg su Giovanni e le mani di Franco Fortini, 17 luglio 1947; in L. Mangoni, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta, Bollati Boringhieri, Torino, 1999, p. 416n.

[7] AE, Serini, Paolo. Parere di lettura di Natalia Ginzburg su Claude Roy, La nuit et le manteau des pauvres, s.d. ma 1948.

[8] AE, Bigiaretti, Libero. Ginzburg a Bigiaretti, 25 novembre 1948.

[9] AE, Viganò, Renata. Ginzburg a Viganò, 27 ottobre 1948.

[10] AE, Guerra, Antonio. Ginzburg a Guerra, 28 novembre 1950.

[11] AE, Lugli, Remo. Ginzburg a Lugli, 6 dicembre 1950.

[12] AE, Morante, Elsa. Ginzburg a Morante, Torino, 3 marzo 1948.

[13] AFF, Fondo Fortini, Ginzburg a Fortini, luglio 1980.

[14] Ibid.

[15] È la formula con cui è intitolato il capitolo Natalia Ginzburg e l’ossessione della verità in E. Ferrero, Album di famiglia, Einaudi, Torino, 2022, pp. 160-167.

[16] AE, Venturi, Marcello. Ginzburg a Venturi, 29 dicembre 1947. La lettera è pubblicata in V. Camerano, R. Crovi, G. Grasso (a cura di), La storia dei «Gettoni» di Elio Vittorini, Nino Aragno Editore, Torino, 2007, pp. 1227-1228.

[17] AE, Micheli, Silvio. Ginzburg a Micheli, 7 agosto 1947. La copia originale con firma autografa è in AdN, fondo Silvio Micheli, fasc. Ginzburg, Natalia.

[18] Ibid.

[19] AE, Calamandrei, Franco. Ginzburg a Calamandrei, 8 novembre 1946.

[20] AE, Segreteria editoriale, Verbali editoriali, Giornale di Segreteria. Cartella 1, registro 1 (1 giugno 1945-31 ottobre 1945); registro 2 (2 gennaio 1946-28 febbraio 1946); registro 3 (1 marzo 1946-31 maggio 1946); registro 4 (2 giugno 1946-11 ottobre 1946). Su questo strumento cfr. T. Munari, «Ci metteremo a stampare verbali», in I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali Einaudi 1943-1952, a cura di T. Munari, prefazione di L. Mangoni, Einaudi, Torino, 2011, pp. LV-LVI.


Pezzo ripreso da https://www.leparoleelecose.it/?p=47172

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