[È uscito
da pochi giorni, nella nuova collana Studi di letterature moderne e
comparate (USiena Press), il volume di Giulia Bassi, «Con assoluta sincerità». Il
lavoro editoriale di Natalia Ginzburg (1943-1952) disponibile
anche in versione Open Access sul sito dell’editore Pubblichiamo qui un estratto
dall’introduzione].
CON ASSOLUTA SINCERITA'
IL LAVORO EDITORIALE DI NATALIA GINZBURG
(1943-1952)
È il luglio
del 1980 quando Natalia Ginzburg scrive a Franco Fortini:
Caro Fortini,
ti ringrazio
tanto della tua lettera. Quando ti vedo, ti capisco quasi sempre, in un modo o
nell’altro; ma questa lettera, a dirti il vero, mi riesce abbastanza oscura.
Non arrabbiarti; non arrabbiarti. Io non voglio impuntarmi sulle poesie di
Silvia Batisti. Io le trovo belle; se fosse in mio potere, le pubblicherei.
Però mi posso sbagliare; spesso prendo granchi, nei poeti; non mi sento tanto
sicura. Ma capisco solo il linguaggio del bello e del brutto; sono due vecchie
parole, spesso male adoperate o male intese; però mi sembrano le sole parole su
cui riesco a muovermi […][1].
L’aspetto più
rilevante di questa lettera non è tanto il parere positivo o meno sulle poesie
in esame, quanto la sicura affermazione da parte di Ginzburg di saper
comprendere solo «il linguaggio del bello e del brutto», la consapevolezza che
tali sono i termini “su cui riesce a muoversi”.
Bello e brutto
sono in effetti «due vecchie parole» del vocabolario di Natalia Ginzburg, in
particolar modo di quello editoriale. Sono termini che si ritrovano nei suoi
giudizi e nei suoi pareri di lettura fin dagli anni Quaranta, quando
lavorava attivamente nella redazione romana e poi torinese della casa editrice
Einaudi. Le lettere e i documenti di quel periodo mostrano, infatti, come
Ginzburg vi facesse spesso ricorso per valutare i manoscritti: sul Giornale di
Segreteria del 1946, ad esempio, sono annotati i suoi giudizi su Pierrot
mon ami di Queneau, «bello e divertente»[2],
e su San Silvano di Dessì, «abbastanza bello ma smorto»[3]; a Silvio Micheli scrive che nel romanzo
di Marcello Venturi ci sono «dei pezzi molto belli»[4],
mentre il suo Sono un povero cane italiano «è un brutto libro.
Un gran brutto libro»[5].
Un altro esempio riguarda proprio Franco Fortini, il cui romanzo Giovanni
e le mani nel 1947 viene giudicato negativamente da Ginzburg, che pure
ci trova «qualcosa di un po’ bello in ultimo»[6].
Più attenuati sono i giudizi su La nuit et le manteau des pauvres di
Claude Roy, che trova «non brutto, ma futile»[7] e
su Amore difficile di Libero Bigiaretti, al quale dice che
«non è che il suo libro mi sembri inutile e brutto»[8].
Al contrario a Renata Viganò scrive che «l’Agnese va a morire, è molto
bello»[9],
come lo sono i “Gettoni” di Antonio Guerra («molto bello davvero»[10]) e di Remo Lugli («molto bello e m’ha
fatto impressione»[11]). Fino al superlativo, estremamente raro
nei suoi giudizi editoriali, ma usato nel caso di Menzogna e sortilegio che
trova «bellissimo, indicibilmente bello»[12], come scrive nel 1948 a Elsa Morante
L’accostamento
di queste brevi valutazioni mostra come fin dall’inizio della sua attività
editoriale Ginzburg fondi molti dei suoi pareri su queste due semplici parole,
bello e brutto. Sebbene estrapolate dal contesto tali annotazioni non spieghino
né i motivi su cui si basavano tali giudizi né le vicende dei libri in
questione (spesso seguiti da lei fino alla stampa), delineano tuttavia già uno
stile editoriale impostato su criteri qualitativi semplici e ricorrenti. La
complessità stava semmai nell’uso e nell’interpretazione di tali espressioni,
«spesso male adoperate o male intese»[13], come scriverà a Fortini molti anni
dopo. La lettera del 1980 è in questo senso emblematica, perché esprime la
consapevolezza di Ginzburg sui propri parametri, come chiarisce nella medesima
lettera poche righe dopo, attraverso una seconda basilare dicotomia: vero e
falso. Scrive infatti a Fortini:
Se tu mi
dicessi: non mi piace Silvia Batisti, scrive falso, io capirei. Non capisco
invece quando tu mi dici è dugento; è dugento, sì, va bene, ma se è vero
dugento, se sono vere bestie, se è vera campagna, perché dobbiamo respingere
queste poesie?[14]
La ricerca di
una rappresentazione “vera” nei testi di poesia e di narrativa è forse la
principale costante del suo lavoro editoriale. Questa «ossessione per la
verità»[15], che orienta prima di tutto il suo
mestiere di scrittrice, nell’attività redazionale diventa infatti sia un
fattore di valutazione dei manoscritti sia un tratto stilistico nella
formulazione dei pareri. In altre parole, l’«assoluta sincerità» con cui
Natalia Ginzburg si accingeva a scrivere agli autori e ai traduttori è il
criterio cardine del suo giudizio editoriale: un vero e proprio «dovere», come mostra
ad esempio una lettera di rifiuto a Marcello Venturi, a cui il 29 dicembre 1947
scrive:
Io sono sicura
che Lei farà ancora qualcosa di buono: proprio perché ne sono convinta, credo
sia mio dovere scriverLe con assoluta sincerità[16].
«Forse sono
stata troppo sincera»[17] scrive a Silvio Micheli quando
rifiuta un suo manoscritto, aggiungendo «Ma non mi è stato possibile addolcire
nemmeno un poco le mie impressioni»[18]; sincerità che richiedeva a sua volta ai
collaboratori e ai traduttori: «vorrei che tu mi dicessi con sincerità quanto
hai già tradotto delle Jeunes filles»[19] scrive ad esempio a Franco
Calamandrei nel 1946, quando coordina la prima traduzione integrale della Recherche.
I materiali di
questo periodo, dunque, rivelano alcuni tratti decisivi del lavoro di Ginzburg
e reagiscono in modo particolare con la sua produzione letteraria: da un lato
sono delle vere e proprie testimonianze delle riflessioni di poetica della
redattrice e dei suoi destinatari; dall’altro, invece, sono fonti storiche che
in alcuni casi hanno messo in crisi la rappresentazione di sé che l’autrice ha
dato negli scritti autobiografici. Come si mostrerà, attraverso il confronto
fra testi narrativi e documenti editoriali, la percezione della dissonanza fra
l’autoritratto di Ginzburg, affidato a scritti come il racconto La
pigrizia (1969), e la sua concreta attività è la condizione necessaria
per restituire un’immagine nuova sia della scrittrice sia della redattrice. Da
questo punto di vista, una fonte preziosa è stata il Giornale di Segreteria
della sede di Torino, composto da quattro registri compilati tra il 1945 e il
1946, su cui gli einaudiani solevano annotare informazioni circa i libri in
lavorazione e che serviva come strumento di comunicazione tra le tre sedi di
Roma, Torino e Milano[20]. Questi materiali sono inediti e non
sono mai stati studiati prima in relazione al lavoro editoriale di Natalia
Ginzburg: il loro spoglio ha fatto emergere l’enorme numero di manoscritti che
Ginzburg aveva in lettura fin dal primo anno, soprattutto dal francese; le sue
modalità d’intervento; la frequenza dei rifiuti, sulla base della formula
«Natalia legge e boccia» con cui un manoscritto veniva restituito all’autore.
Rispetto al personaggio insicuro dei racconti autobiografici, infatti, dal
Giornale di Segreteria emerge il profilo di una redattrice determinata, che
respinge con sicurezza i manoscritti e non esita a insistere con perentorietà
per portare avanti una proposta che ritiene valida. Il confronto fra i
documenti e i testi ha permesso, inoltre, di valutare con maggiore
consapevolezza il ruolo che Ginzburg ha avuto nella redazione einaudiana fin
dal primissimo periodo.
[….]
Sulla base di
tali spinte è nato questo libro, che racconta la storia di Natalia Ginzburg
nella redazione Einaudi nel periodo del dopoguerra attraverso i carteggi spesso
inediti con gli autori, i traduttori e i collaboratori con cui, di volta in
volta, ha lavorato. Si è scelto di prendere in considerazione il periodo di
attivo lavoro redazionale: dalla fine del 1952 in poi, infatti, Ginzburg si
trasferisce a Roma. Lì proseguirà la collaborazione con la Einaudi in qualità
di consulente editoriale, continuando sì a leggere manoscritti, rivedere
traduzioni e bozze, soprattutto di narrativa italiana e dal francese, ma senza
mantenere un ruolo attivo in redazione. Nell’Archivio Einaudi, dove la maggior
parte delle sue lettere editoriali sono conservate, non mancano documenti
successivi ai primi anni Cinquanta: il carteggio è molto ricco e merita a sua
volta uno studio sistematico che includa lettere, opere e traduzioni. Ma il
lavoro di trasformazione di un testo manoscritto in romanzo, i contatti con gli
autori e con i traduttori, il rapporto con gli altri einaudiani e tutti gli
aspetti del lavoro di redattrice sono esclusivi degli anni trascorsi nella sede
romana e soprattutto in quella torinese della casa editrice.
GIULIA BASSI
Note
[1] Archivio Franco Fortini (AFF), Fondo Fortini,
Natalia Ginzburg a Franco Fortini, luglio 1980.
[2] AE, Giornale di Segreteria., 26 marzo 1946.
[3] Ivi, 28 marzo 1946.
[4] Archivio del Novecento (AdN), fondo Silvio
Micheli, fasc. Ginzburg, Natalia, Ginzburg a Micheli, s.d. ma dicembre 1946.
[5] Ivi, Ginzburg a Micheli, 7 agosto 1947.
[6] Archivio Einaudi (AE), Pavese, Cesare. Parere di
lettura di Natalia Ginzburg su Giovanni e le mani di Franco
Fortini, 17 luglio 1947; in L. Mangoni, Pensare i libri. La casa
editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta, Bollati Boringhieri,
Torino, 1999, p. 416n.
[7] AE, Serini, Paolo. Parere di lettura di Natalia
Ginzburg su Claude Roy, La nuit et le manteau des pauvres, s.d. ma
1948.
[8] AE, Bigiaretti, Libero. Ginzburg a Bigiaretti,
25 novembre 1948.
[9] AE, Viganò, Renata. Ginzburg a Viganò, 27
ottobre 1948.
[10] AE,
Guerra, Antonio. Ginzburg a Guerra, 28 novembre 1950.
[11] AE,
Lugli, Remo. Ginzburg a Lugli, 6 dicembre 1950.
[12] AE,
Morante, Elsa. Ginzburg a Morante, Torino, 3 marzo 1948.
[13] AFF,
Fondo Fortini, Ginzburg a Fortini, luglio 1980.
[14] Ibid.
[15] È la
formula con cui è intitolato il capitolo Natalia Ginzburg e
l’ossessione della verità in E. Ferrero, Album di famiglia,
Einaudi, Torino, 2022, pp. 160-167.
[16] AE,
Venturi, Marcello. Ginzburg a Venturi, 29 dicembre 1947. La lettera è
pubblicata in V. Camerano, R. Crovi, G. Grasso (a cura di), La storia
dei «Gettoni» di Elio Vittorini, Nino Aragno Editore, Torino, 2007, pp.
1227-1228.
[17] AE,
Micheli, Silvio. Ginzburg a Micheli, 7 agosto 1947. La copia originale con
firma autografa è in AdN, fondo Silvio Micheli, fasc. Ginzburg, Natalia.
[18] Ibid.
[19] AE,
Calamandrei, Franco. Ginzburg a Calamandrei, 8 novembre 1946.
[20] AE,
Segreteria editoriale, Verbali editoriali, Giornale di Segreteria. Cartella 1,
registro 1 (1 giugno 1945-31 ottobre 1945); registro 2 (2 gennaio 1946-28
febbraio 1946); registro 3 (1 marzo 1946-31 maggio 1946); registro 4 (2 giugno
1946-11 ottobre 1946). Su questo strumento cfr. T. Munari, «Ci
metteremo a stampare verbali», in I verbali del mercoledì. Riunioni
editoriali Einaudi 1943-1952, a cura di T. Munari, prefazione di L.
Mangoni, Einaudi, Torino, 2011, pp. LV-LVI.
Pezzo ripreso da https://www.leparoleelecose.it/?p=47172
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