Oggi voglio tornare sugli insulti che provengono da quanti dovrebbero usare meglio parole e cervello - se non altro per le grandi responsabilità che hanno - con un breve post pubblicato sul blog del Liceo Statale di Giarre (CT):
NEET, IL DRAMMA DELLA
GENERAZIONE SENZA STUDIO E LAVORO
I nostri
giovani non sono choosy, come incautamente sono stati definiti
dal ministro del lavoro. In Italia non si fanno capricci tra i giovani, la gran
parte ormai accetta di tutto pur di fare qualcosa, anche con laurea e master in
tasca.
Il dramma
vero oggi è rappresentato dai NEET. Non lavorano e non studiano, non fanno
neanche uno stage. Sono i Neet, Not in Education or in Employment
Training. Nel nostro
Paese sono due milioni, un ragazzo su quattro se si considera la fascia d'età
tra i 15 e i 29 anni. Diventano più di tre milioni, uno su tre se si arriva
fino ai 34. Soprattutto donne del Mezzogiorno con un basso livello di
istruzione, ma anche diplomati e laureati. Tutti "condannati a consumare
senza il diritto di produrre".
Il nuovo allarme
sociale annuncia che nel 2020 avremo 18 milioni di laureati in meno, con
gravissime conseguenze per il ricambio generazionale nei quadri specializzati
dello stato. Tantissimi inoltre stanno lasciando l'Italia, partono per lo
studio ma poi si fermano fuori perchè lì trovano lavoro reale.
A questa
realtà bisogna guardare, a questi giovani bisogna dare prospettive se vogliamo
un futuro per un paese dignitoso e capace di procedere da solo.
Prof. ssa Grazia Messina, .
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Giuseppe
Provenzano - Le parole della Fornero e le vite dei figli degli altri
È successo
ancora. E ancora una volta, il bersaglio delle dichiarazioni “ebbre” del
governo dei sobri tecnici, sono i giovani italiani. Choosy – in inglese,
of course – “schizzinosi” verso il lavoro sarebbero secondo il Ministro
Fornero i già bamboccioni, fannulloni, sfigati e mammoni. La distanza delle
freddure ministeriali dal mondo offeso in cui vive la maggioranza dei giovani è
l’esperienza di vita di tutti i giorni.
Certi
giorni, poi, arrivano le statistiche sulla nostra assuefazione quotidiana
all’esercito di giovani inoccupati o precari malpagati e sottinquadrati, di
praticanti e stagisti senza nemmeno rimborso spese, di professori senza
contratto e così via. Arrivano le statistiche e quella distanza si può persino
misurare: un giorno la Svimez diffonde i dati sull’emigrazione giovanile e
allora dà conto di quanto sciagurato è stato deplorare il presunto “posto fisso
vicino a mammà”; un altro l’Istat rilancia il suo bollettino di guerra dal
fronte del mercato del lavoro. E proprio ieri, uno studio europeo diffondeva le
statistiche sui famigerati Neet - not in education, employment or training
– i giovani che non studiano e non lavorano. I dati riguardavano i ventenni, ma
se si estende l’analisi fino ai 34 anni – come patologicamente si estende lo
status di giovane in questo paese invecchiato e impoverito – si scopre che in
Italia sono Neet 3,2 milioni di giovani, quasi mezzo milione in più con
la crisi. Oltre 1,8 milioni sono meridionali, i restanti si trovano al Centro-Nord,
in forte aumento.
Sono milioni
di “schizzinosi”? No, è un vasto mondo “grigio” fatto spesso di attività
irregolare nell’economia sommersa, in quel “lavoro nero” che miete “morti
bianche”, o ancora di un’inattività “mascherata”, non di reale disinteresse al
lavoro ma di ricerca estemporanea di lavori saltuari, attraverso canali
informali se non di carattere clientelare in quel mercato del lavoro che,
soprattutto nel Mezzogiorno, mercato non è. Ed è la carenza strutturale di
occasioni di lavoro che spinge una generazione a scivolare verso un’inattività
“involontaria”, e un po’ più in là verso quello “scoraggiamento” a cercare
lavoro, che si concentra quasi esclusivamente al Sud, una forma di “diserzione”
per chi non è già fuggito. In alcune realtà, spinge alla marginalità sociale,
all’esposizione al ricatto delle mafie.
Il ministro
Fornero ha subito smentito se stessa e la propria frase infelice. Però, che
tristezza. Con l’esordio dei professori già provammo il sollievo di tornare a
discutere di politica e realtà dopo i baloccamenti berlusconiani, il gioco
delle battute e delle smentite, le frasi idiote o infami e il “cattivismo
sociale” professato di quella congrega del malgoverno. Oggi, bisogna
riconoscere che il Ministro Fornero – il cui principale merito è stato senza
dubbio averci fatto dimenticare l’esistenza del Viceministro Martone – ha
superato ogni triste primato, finendo continuamente per alimentare
cortocircuiti comunicativi, con frammenti di frasi e problemi buoni solo alle
strumentalizzazioni. Invece di parlare della giungla normativa del mercato del
lavoro e del deserto del nostro welfare si è concentrata sull’articolo
18; per lo stato di “inoccupazione fissa” dei giovani ha resuscitato cose morte
come la critica aquel “posto fisso” che non hanno mai conosciuto.
Ora, le
parole dette davanti ai microfoni sono sempre un po’ lontane dalla realtà
effettuale. Ma quando la distanza è così eclatante allora c’è puzza di
“ideologia”, altrimenti non si spiegherebbe questa curiosa forma di ignoranza delle
élite. Cos’è infatti l’ideologia, nel senso deteriore, se non esattamente
questa coscienza fasulla delle cose? “La mia riforma del lavoro non crea
occupazione giovanile? Bene, allora il problema devono essere i giovani che
fanno i difficili”. Ed è un peculiare punto di contatto tra ideologia della
tecnica e ideologia populista questa semplificazione delle questioni. Farla
troppo semplice, come un tratto di penna di riforma delle pensioni e vai a
contare gli “esclusi” (malamente detti esodati). Però, non è solo Fornero, il
problema ha riguardato altre figure cruciali del governo. Talvolta si ha
l’impressione che sia solo un parlar male, in altri casi invece pare proprio
che si tratti di un non sapere di che si parla. Com’è potuto accadere al
governo dei tecnici ottimati? Giocano molti fattori, non ultima la maldestria a
muoversi appena fuori del recinto, professorale o professionale, in cui si sono
mossi egregiamente per decenni. Soprattutto, però, sembra determinante una
certa chiusura censitaria – choosy, schizzinosi, si addice molto a
un’altera signora inglese.
È l’alterità
di un pezzo minoritario di mondo che sembra di conoscere solo il proprio mondo
(o quello dei propri figli, delle opportunità e delle occasioni più o meno
meritate che hanno avuto) – che evidenzia proprio quell’immobilismo sociale,
primo male italiano, che non si combatte a reprimende ma con un’altra politica.
Ed è forse proprio questo che nelle dichiarazioni sui giovani (come dovrebbero
essere, cosa dovrebbero fare) risuona come un di più di aberrazione,
quell’inaccettabile paternalismo di un pezzo di classe dirigente che nella
condizione dei suoi figli – cioè, dei figli degli altri – dovrebbe misurare
anche un po’ i propri fallimenti. O misurare le parole, almeno.
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