23 ottobre 2012

La Fornero, sua figlia e i figli degli altri ...



Oggi voglio tornare sugli insulti che provengono da quanti dovrebbero usare meglio parole e cervello - se non altro per le grandi responsabilità che hanno - con un breve post pubblicato  sul blog del Liceo Statale di Giarre (CT):




NEET, IL DRAMMA DELLA GENERAZIONE SENZA STUDIO E LAVORO

I nostri giovani non sono choosy, come incautamente sono stati definiti dal ministro del lavoro. In Italia non si fanno capricci tra i giovani, la gran parte ormai accetta di tutto pur di fare qualcosa, anche con laurea e master in tasca.
Il dramma vero oggi è rappresentato dai NEET. Non lavorano e non studiano, non fanno neanche uno stage. Sono i Neet, Not in Education or in Employment Training. Nel nostro Paese sono due milioni, un ragazzo su quattro se si considera la fascia d'età tra i 15 e i 29 anni. Diventano più di tre milioni, uno su tre se si arriva fino ai 34. Soprattutto donne del Mezzogiorno con un basso livello di istruzione, ma anche diplomati e laureati. Tutti "condannati a consumare senza il diritto di produrre".
Il nuovo allarme sociale annuncia che nel 2020 avremo 18 milioni di laureati in meno, con gravissime conseguenze per il ricambio generazionale nei quadri specializzati dello stato. Tantissimi inoltre stanno lasciando l'Italia, partono per lo studio ma poi si fermano fuori perchè lì trovano lavoro reale.
A questa realtà bisogna guardare, a questi giovani bisogna dare prospettive se vogliamo un futuro per un paese dignitoso e capace di procedere da solo.

Prof. ssa Grazia Messina,   Liceo Statale Leonardo di Giarre (Catania).


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Giuseppe Provenzano - Le parole della Fornero e le vite dei figli degli altri
È successo ancora. E ancora una volta, il bersaglio delle dichiarazioni “ebbre” del governo dei sobri tecnici, sono i giovani italiani. Choosy – in inglese, of course – “schizzinosi” verso il lavoro sarebbero secondo il Ministro Fornero i già bamboccioni, fannulloni, sfigati e mammoni. La distanza delle freddure ministeriali dal mondo offeso in cui vive la maggioranza dei giovani è l’esperienza di vita di tutti i giorni.

Certi giorni, poi, arrivano le statistiche sulla nostra assuefazione quotidiana all’esercito di giovani inoccupati o precari malpagati e sottinquadrati, di praticanti e stagisti senza nemmeno rimborso spese, di professori senza contratto e così via. Arrivano le statistiche e quella distanza si può persino misurare: un giorno la Svimez diffonde i dati sull’emigrazione giovanile e allora dà conto di quanto sciagurato è stato deplorare il presunto “posto fisso vicino a mammà”; un altro l’Istat rilancia il suo bollettino di guerra dal fronte del mercato del lavoro. E proprio ieri, uno studio europeo diffondeva le statistiche sui famigerati Neet - not in education, employment or training – i giovani che non studiano e non lavorano. I dati riguardavano i ventenni, ma se si estende l’analisi fino ai 34 anni – come patologicamente si estende lo status di giovane in questo paese invecchiato e impoverito – si scopre che in Italia sono Neet 3,2 milioni di giovani, quasi mezzo milione in più con la crisi. Oltre 1,8 milioni sono meridionali, i restanti si trovano al Centro-Nord, in forte aumento.

Sono milioni di “schizzinosi”? No, è un vasto mondo “grigio” fatto spesso di attività irregolare nell’economia sommersa, in quel “lavoro nero” che miete “morti bianche”, o ancora di un’inattività “mascherata”, non di reale disinteresse al lavoro ma di ricerca estemporanea di lavori saltuari, attraverso canali informali se non di carattere clientelare in quel mercato del lavoro che, soprattutto nel Mezzogiorno, mercato non è. Ed è la carenza strutturale di occasioni di lavoro che spinge una generazione a scivolare verso un’inattività “involontaria”, e un po’ più in là verso quello “scoraggiamento” a cercare lavoro, che si concentra quasi esclusivamente al Sud, una forma di “diserzione” per chi non è già fuggito. In alcune realtà, spinge alla marginalità sociale, all’esposizione al ricatto delle mafie.

Il ministro Fornero ha subito smentito se stessa e la propria frase infelice. Però, che tristezza. Con l’esordio dei professori già provammo il sollievo di tornare a discutere di politica e realtà dopo i baloccamenti berlusconiani, il gioco delle battute e delle smentite, le frasi idiote o infami e il “cattivismo sociale” professato di quella congrega del malgoverno. Oggi, bisogna riconoscere che il Ministro Fornero – il cui principale merito è stato senza dubbio averci fatto dimenticare l’esistenza del Viceministro Martone – ha superato ogni triste primato, finendo continuamente per alimentare cortocircuiti comunicativi, con frammenti di frasi e problemi buoni solo alle strumentalizzazioni. Invece di parlare della giungla normativa del mercato del lavoro e del deserto del nostro welfare si è concentrata sull’articolo 18; per lo stato di “inoccupazione fissa” dei giovani ha resuscitato cose morte come la critica aquel “posto fisso” che non hanno mai conosciuto.

Ora, le parole dette davanti ai microfoni sono sempre un po’ lontane dalla realtà effettuale. Ma quando la distanza è così eclatante allora c’è puzza di “ideologia”, altrimenti non si spiegherebbe questa curiosa forma di ignoranza delle élite. Cos’è infatti l’ideologia, nel senso deteriore, se non esattamente questa coscienza fasulla delle cose? “La mia riforma del lavoro non crea occupazione giovanile? Bene, allora il problema devono essere i giovani che fanno i difficili”. Ed è un peculiare punto di contatto tra ideologia della tecnica e ideologia populista questa semplificazione delle questioni. Farla troppo semplice, come un tratto di penna di riforma delle pensioni e vai a contare gli “esclusi” (malamente detti esodati). Però, non è solo Fornero, il problema ha riguardato altre figure cruciali del governo. Talvolta si ha l’impressione che sia solo un parlar male, in altri casi invece pare proprio che si tratti di un non sapere di che si parla. Com’è potuto accadere al governo dei tecnici ottimati? Giocano molti fattori, non ultima la maldestria a muoversi appena fuori del recinto, professorale o professionale, in cui si sono mossi egregiamente per decenni. Soprattutto, però, sembra determinante una certa chiusura censitaria – choosy, schizzinosi, si addice molto a un’altera signora inglese. 

È l’alterità di un pezzo minoritario di mondo che sembra di conoscere solo il proprio mondo (o quello dei propri figli, delle opportunità e delle occasioni più o meno meritate che hanno avuto) – che evidenzia proprio quell’immobilismo sociale, primo male italiano, che non si combatte a reprimende ma con un’altra politica. Ed è forse proprio questo che nelle dichiarazioni sui giovani (come dovrebbero essere, cosa dovrebbero fare) risuona come un di più di aberrazione, quell’inaccettabile paternalismo di un pezzo di classe dirigente che nella condizione dei suoi figli – cioè, dei figli degli altri – dovrebbe misurare anche un po’ i propri fallimenti. O misurare le parole, almeno.




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