14 ottobre 2013

FILIPPO DE PISIS






Fabrizio D'Amico - De Pisis. Il pittore sempre in viaggio tra impressionisti e Novecento


Una dimensione internazionale spetterebbe alla pittura di Filippo de Pisis: per la sua qualità, sparsa in una produzione vasta ("un quadro al giorno!", disse una volta di volere per sé), diseguale, non facile da catturare. Ma infine così densa, gravida di una poesia che è spesso sfuggita a tanta parte delle così dette avanguardie: sembrando ad esse, quella poesia, un attributo ormai desueto dell' arte. Una dimensione internazionale che de Pisis s' è visto sfuggire da sempre, e talvolta solo per un soffio: da quando - era il 1937, ed egli risiedeva a Parigi da oltre dieci anni - il suo nome non figurò, singolarmente, fra quelli dei "maîtres de l' art indépendant" nelle due grandi rassegne del Jeu de Paume e del Petit Palais. Rendere a de Pisis quella dimensione è, nelle parole di Paolo Campiglio, che la cura con il concorso di Stefano Roffi, l' obiettivo primo della mostra che la Fondazione Magnani Rocca dedica al pittore, "in viaggio" fra Roma, Parigi, Londra, Milano, Venezia ( De Pisis en voyage, fino all' 8 dicembre; catalogo Silvana): armandosi contro la «progressiva e inquietante damnatio memoriae nei confronti dell' arte del Novecento italiano» che, in uno scenario purtroppo compatto, «interessa in primo luogo il mercato e poi, a effetto domino, tutti gli aspetti legati alla fortuna di un artista».

Tour Eiffel























Battaglia non facile a combattersi, ma decisiva per l' arte nostra della prima metà del secolo, se è vero che oggi ne sono coinvolti, oltre a grandi protagonisti da sempre emarginati come Fausto Pirandello, Arturo Martini o appunto de Pisis, anche figure fino a ieri intoccabili come il De Chirico d' anni Venti e Trenta, o Morandi. A de Pisis sono state dedicate mostre memorabili, come quella curata da Andrea Buzzoni a Ferrara nel 1996 e quella della Gam di Torino del 2005, ordinata da Pier Giovanni Castagnoli; questa della Magnani Rocca si pone in quella scia, inseguendo il "marchesino pittore" in ognuna delle tappe calpestate in una vita tesa a sempre nuove scoperte, e conquiste. «La vita non vale solo per il suo contenuto, ma soprattutto per il suo stile», annoterà più tardi in uno dei suoi diari: ma la convinzione estetizzante che la sua vera opera d' arte avrebbe dovuto essere non una poesia, non un romanzo né un quadro, ma appunto la sua stessa esistenza, data già ai suoi primissimi anni. Quando lascia la natia Ferrara, dove ha incontrato per la prima volta Savinio e De Chirico, destinato ad essere suo primo mentore, e si stabilisce a Roma. Non può allora trarre, dalla Metafisica che i due fratelli gli squadernano sotto gli occhi, tutti i frutti; ma s' educa intanto, giovanissimo, a guardare la realtà con attitudine insieme mimetica e straniata, cominciando ad intuirne quella possibile duplicità.

Dall'insegnamento dei due, poi, apprende l' ansia e il fascino del viaggio: e ha piena consapevolezza che un panorama più vasto di quello offertogli dalla città natale, e da una Roma ancora provinciale, gli sarebbe stato necessario. Eccolo dunque partire per Parigi: vi troverà i "fiori et amori" che soprattutto cerca, le feste, le seduzioni e gli incanti di una società raffinata e colta.

Natura morta con uova (1924)














A Parigi, che de Pisis elegge a sua dimora sino al 1939, la sua pittura sboccia definitivamente, andandosi a sostituire alla prima vocazione letteraria (peraltro mai del tutto trascurata). Segue due strade, quella pittura: da un canto serba memoria dell' interrogazione metafisica (modo qui a Mamiano rappresentato in particolare dalle Nature morte marine del ' 30); dall' altro s' avventa con emozione, e quasi con furore, sulla realtà, scovandone le tracce in un volto (qui la Testa di negro o il Marinaio francese ), in un mazzo di fiori, in un angolo di strada, persino in un cartoccio di pesci marci.

Il suo pennello prende poi a crepitare sulla tela in virgole e brevi macchie, in strappi, pause e singulti: è il modo, che Cesare Brandi battezzerà la sua "stenografia pittorica", che maggiormente ne caratterizzerà lo stile negli anni a venire: e che renderà questo suo "stile" straordinariamente atto a trasferire sulla tela l' attimale vibrazione dell' occhio e dell' animo suo di fronte alle cose. È una sorta di rinnovato impressionismo che invade le tele, spesso composte en plein air, che de Pisis - scegliendo ora Monet invece che Manet e Renoir - esegue a Parigi ( Quai de la Tournelle ), poi a Londra, dove si reca più volte nel quarto decennio, ospite di Vanessa Bell, pittrice oltre che sorella di Virginia Woolf. Forse fu questo ripiegarsi di de Pisis su una vicenda ormai tramontata che spiacque ai francesi.

Interno dello studio (1941)




















Avesse o meno avvertito una sorta di stanchezza nei suoi confronti, de Pisis rientra in Italia nel ' 39 e si ferma a Milano. Poi, in un bombardamento, la casa e la vita sono messe a rischio; si trasferisce a Roma, quindi definitivamente a Venezia, dove riesce ad acquistare un grande appartamento in una nobile dimora, e si concede persino una gondola personale. "Oh vita, ti benedico e ti ringrazio": il successo gli arride, i prezzi crescono, i mercanti e i collezionisti si moltiplicano.

A Venezia, che diviene una seconda patria, la pittura di de Pisis prosegue, circondata da un riscontro ormai universale, sui modi e sui temi usuali, che la mostra odierna documenta ( Piazza San Marco, del ' 44 ; o, dell' anno seguente, Gli albatri ). Viene infine nel dolore di Villa Fiorita, dove de Pisis è ricoverato una prima volta nel 1948 e dove trascorrerà molta parte degli ultimi anni (morirà nel 1956), una ormai rarefatta pittura, che tocca un' altra volta vertici qualitativi altissimi: mettendosi in rapporto con altre straordinarie vicende di quella parte di pittura europea che non aveva voluto rinunciare ad un ultimo aggancio con la realtà.


(Da: La Repubblica del15 settembre 2013)

Nessun commento:

Posta un commento