Gramsci vide l’incarnazione delle teorie di Machiavelli nelle rivoluzioni borghesi. Che in Italia non sono mai arrivate. Ecco perché il pensatore fiorentino è stato costretto a un esilio forzato
Nei Quaderni del carcere Gramsci chiama i giacobini francesi «incarnazione categorica» del Principe machiavelliano, che egli non considera un modello di astuzia e spregiudicatezza politica. Intende con ciò celebrare il capolavoro storico e politico dei capi della grande Rivoluzione: la creazione della «compatta nazione moderna francese» che segnò l’ingresso della Francia nella modernità. In Italia non c’è stata alcuna seria rivoluzione borghese, se non come «rivoluzione passiva». In questi termini Gramsci definisce il processo unitario italiano, il Risorgimento, diretto dall’alto (dai Savoia) e realizzato negli interessi di una oligarchia gelosa dei propri privilegi. E non c’è mai stata neppure (le due cose sono evidentemente legate tra loro) una forza sociale e politica paragonabile ai veri giacobini francesi. C’è stato piuttosto uno pseudo-giacobinismo deteriore, astratto e autoritario (Gramsci pensa in proposito a Crispi e alla sua arroganza bonapartista). Ragion per cui Machiavelli è stato costretto a un esilio forzato. Ha trovato seguaci Oltralpe, non nella sua patria. Un destino in qualche modo simile a quello toccato all’altro grande fiorentino, studiato nei Quaderni con attenzione e passione.


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