25 ottobre 2013

NUOVA BUSAMBRA A CORLEONE


Domani a CORLEONE  verrà presentato il 4° numero della nostra rivista. Oltre alle pagine dedicate al BOSCO DI FICUZZA, su cui ci siamo già soffermati, in questo fascicolo, come sempre, c'è tanta poesia. 
Di seguito ne ripropongo una, particolarmente bella, scritta dalla figlia di emigrati italiani negli USA:



Maria Mazziotti Gillan

 Crescere da  italiana a Paterson, New Jersey

Quand’ero bambina
pensavo che tutti erano italiani,
ed era una cosa buona. Facevamo visita
alle zie e agli zii
e loro facevano visita a noi.
La lingua italiana morbida
e dolce nella mia bocca.

All’asilo, mi caddero addosso le parole inglesi,
spesse e dure come grandine. Diventai silenziosa,
la parola italiana in equilibrio sulla punta
della lingua e la parola inglese, perduta
durante il primo momento
di ogni domanda.

Non mi ci volle molto per imparare
che la gente dalla pelle olivastra era unta
e sporca. I bambini poveri erano persino più sporchi.
Essere poveri e con la pelle olivastra era la cosa più sporca di tutte.

Quasi ogni giorno
il signor Landgraf chiamava Joey
“piegaspaghetti”:
sapevo che questo era male.
Cercavo di nascondermi
incrociando le mani per benino
sul mio banco e
facendo la brava bambina.

Judy, una delle ragazze della mia classe,
aveva capelli color miele e occhi azzurri.
Piaceva a tutti i ragazzi. I suoi genitori e
i nonni erano nati in America.
Avevano una taverna locale.
Quando la madre di Judy andava in città
riportava libri da colorare e caramelle.
Quando mia madre andava in città, riportava
un sacchetto marrone con dentro un asciugamano o un lenzuolo.

Il primo giorno che indossai il cappotto smesso da mia sorella
Isabelle disse “Quel cappotto mi sembra conoscente. Non l’ho
già visto?” e io guardai a terra.

Quando gli altri bambini portavano regali
alla maestra per Natale, fazzoletti di seta
ricamata e profumo “Serata Parigina”,
io portavo strofinacci trasformati in bambolina.
Leggevo tutti le riviste che mi dicevano
perché le bionde si divertono di più,
descrivevano ragazze il cui colore preferito era il blu.
Speravo in un miracolo che mi trasformasse la pelle scura in chiara,
che mi facesse pallida e bionda e bella.

Così mi misi a cercare un uomo
con i capelli biondi e gli occhi azzurri
che si sarebbe ben mescolato dentro
e mi avrebbe dato bambini biondi con gli occhi azzurri
che si sarebbero ben mescolati dentro
e un nome che potesse ben mescolarsi dentro
ed io mi sarei sciolta
in una forma e in un colore
che si sarebbero ben mescolati dentro,
finché un giorno, credo che a quel punto avevo quarant’anni,
m svegliai maledicendo
tutti quelli che mi insegnavano
a odiare il mio essere scura e straniera,

e dissi “Eccomi qui –
con la mia pelle colore oliva
e i miei genitori italiani
e la mia antica povertà
vera come una cicatrice sulla fronte”,

e tutti i giocattoli che non potevamo comprare
e tutte le parole che non ho detto,
tutti gli occhi a terra
e le mani incrociate
e le osservazioni che non ho fatto
mi si innalzano dentro ed esplodono

su carta come petardi
                                     come meteore
e  io celebro
il mio essere italoamericana,
radicata in questo paese, il mio, dove
tutta quella gente dalla pelle
nera/marrone/rossa/gialla e oliva
alzerà presto la voce
e canterà un inno nuovo:

Eccomi
            e sono forte
            e la mia pelle è calda al sole
            e i miei capelli scuri  splendono,

e oggi, mi riprendo il nome
e glielo sventolo in faccia
come una bandiera rossa fiammante.


(Da Jennifer Gillan, Maria Mazziotti Gillan and Edvige Giunta (Eds), Italian American Writers on New Jersey, Rutgers University Press, 2003)

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