19 ottobre 2013

QUALCHE ANIMALE PIU' UGUALE DEGLI ALTRI...




"Tutti gli animali sono uguali, ma qualche animale è più uguale degli altri”. Lo scriveva Orwell nella Fattoria degli animali. Berlusconi, Cossiga, Napolitano: la strana riluttanza dei nostri politici eccellenti a parlare con i magistrati.

Gianni Barbacetto - Il precedente Gladio. Casson: “Quando Cossiga mi disse di no”

Un presidente della Repubblica, prima di Napolitano, fu già chiamato da un giudice a testimoniare: era Francesco Cossiga, nel 1990 ancora silenziosissimo inquilino del Quirinale. Il magistrato si chiamava Felice Casson, giudice istruttore di Venezia che, indagando su una strage nera, l’eccidio di Peteano, aveva scoperto le tracce di depositi segreti di armi sparsi per l’Italia (i “nasco”) e una misteriosa pianificazione militare fino ad allora sconosciuta.

Dopo aver interrogato il nero che si era autoaccusato dell’azione di Peteano, Vincenzo Vinciguerra, e due generali dei servizi segreti, Gian Adelio Maletti (Sid) e Pasquale Notarnicola (Sismi), Casson chiede al presidente del Consiglio Giulio Andreotti di avere accesso agli archivi del Sismi. Andreotti un po’ tira per le lunghe, poi concede l’accesso. E giovedì 26 luglio 1990 negli archivi di Forte Boccea il giudice trova i documenti che provano l’esistenza della pianificazione Stay Behind, in Italia chiamata “Gladio”, nata nel 1951 da un accordo tra Cia e Sifar (il servizio segreto militare), tagliando fuori il Parlamento e perfino il governo italiano. A quel punto Andreotti gioca d’anticipo e rivela qualcosa (con molte bugie) della struttura segreta.

Nei documenti di Gladio, Casson scopre che c’è un politico italiano che ha avuto un ruolo attivo nella pianificazione, quando negli anni ’60 era sottosegretario alla Difesa: un certo Cossiga, nel 1990 capo dello Stato. Codice alla mano, il giudice istruttore chiede la sua disponibilità a rendere deposizioni come testimone. Da quel momento, Cossiga il Silenzioso si trasforma in Cossiga il Picconatore: comincia ad attaccare il giudice (“l’efebo di Venezia”) con violente dichiarazioni ai giornali. Tracimerà su ogni argomento e non si fermerà più, fino alle sue dimissioni, nell’aprile 1992. Inaccettabile, per Cossiga, sedersi di fronte a un giudice per rispondere su pianificazioni segrete, esplosivi di Stato, depistaggi e stragi.

Qualcuno chiede di giocare la carta del conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato, ricorrendo alla Corte costituzionale. Ma i codici parlano chiaro: anche il capo dello Stato può essere sentito come testimone dall’autorità giudiziaria, lo dice l’articolo 205 del nuovo codice del 1989 (“La testimonianza del presidente della Repubblica è assunta nella sede in cui egli esercita la funzione di capo dello Stato”), in continuità con l’articolo 356 del precedente codice di procedura penale. Il conflitto non viene neppure sollevato e qualche tempo dopo si convince anche Cossiga, tanto che manda due ufficiali da Casson a trattare le condizioni della deposizione.“A quel punto però la mia indagine era andata avanti – ricorda oggi Casson – avevo sentito ministri e generali, politici e capi di Stato maggiore, e non avevo più bisogno di Cossiga”.

Era corso al palazzo di giustizia di Venezia anche Amintore Fanfani, che pure non era stato chiamato: “Mi ha detto – prosegue Casson – che riteneva suo dovere venire a dire quanto sapeva, e cioè che, benché fosse stato più volte premier, era stato tenuto all’oscuro di Gladio, che era dunque una pianificazione segreta con catene di comando fuori dalla Costituzione: la conoscevano i vertici di Cia e Sifar-Sid-Sismi e solo alcuni politici.

Come Cossiga, che alla fine però riconobbe che era legittimo che un giudice chiedesse d’interrogare il capo dello Stato: proprio come oggi – ribadisce Casson, diventato parlamentare del Pd – è pienamente legittimo che la corte d’assise di Palermo interroghi il presidente Napolitano”.

(Da: Il Fatto del 18 ottobre 2013)

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