29 ottobre 2013

DALLA PARTE DEI BENI COMUNI



La Mattonaia dei beni comuni

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di FRANCESCO BIAGI
 «L’importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. Lo sperare, superiore all’aver paura, non è né passivo come questo sentimento né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla. L’affetto dello sperare si espande, allarga gli uomini invece di restringerli, non si sazia mai di sapere che cosa internamente li fa tendere a uno scopo e che cosa all’esterno può essere loro alleato. Il lavoro di questo affetto vuole uomini che si gettino attivamente nel nuovo che si va formando e cui essi stessi appartengono »
Ernst Bloch

Sabato 26 ottobre la città di Pisa è ritornata nel cupo grigiore: l’Ex-Colorificio Liberato dopo un anno di vera e propria “resurrezione” sociale e politica, grazie al lavoro dei militanti del Municipio dei Beni Comuni, è stato sgomberato. Ho ancora nella testa i colpi della mazza che tentava di abbattere la cancellata ridipinta con altri compagni nei mesi passati. Quei colpi rimbombavano forte, erano assordanti e indicavano in modo esemplare il “pestaggio” che è stato fatto ad una delle più interessanti esperienze di democrazia insorgente in Italia. Ricordo ancora la voce delle forze dell’ordine che ci invitava ad uscire per rispettare una sentenza che sancisce la supremazia assoluta della forma proprietaria di un bene rispetto all’utilizzo comunitario che invece una collettività ha costruito. Uno sgombero durato quasi 10 ore, tanti erano i compagni e le compagne impegnate nelle loro attività quotidiane, costretti ad interrompere tutto ed uscire.
La giornata di sabato è stata contraddistinta proprio da questo: sono state sequestrate numerose attività, decretando l’illegalità di una scuola di italiano e di arabo, di uno sportello informativo per la regolarizzazione dei migranti, della ciclofficina, della serena socialità di un caffè zapatista ed equosolidale al bar autogestito dell’Ex-Colorificio, della silenziosa aula-studio dove tanti studenti preparavano gli esami, di un seminario in cui si discuteva di “critica della cooperazione internazionale allo sviluppo” in presenza di un docente ordinario dell’università di Pisa, di una preziosa biblioteca popolare, di una palestra di arrampicata, di laboratori artigianali di legno e ferro, e infine del media center che ospita la radio web del Progetto Rebeldia la quale ha rivissuto scene e atteggiamenti che a qualcuno hanno rievocato lo sgombero di Radio Alice nel ’77 bolognese. Lacrime di rabbia per alcuni, ironia e sarcasmo per altri, sentimenti che frenavano il nervosismo.
Ci dicono che la legalità ora è stata ripristinata. Il potere di una multinazionale può tornare a decidere della vita e della morte di un territorio urbano, nel più grande disinteresse dell’articolo 42 della Costituzione, la quale consegna il compito a noi cittadini di limitare l’abuso della proprietà privata attraverso la realizzazione della sua “funzione sociale”. Un articolo mai pienamente realizzato dalle leggi e dal diritto che invece ha trovato attuazione in un numeroso gruppo di militanti i quali con saggezza ha ben pensato di applicarlo dal basso, nella democrazia diretta di una comunità cosciente e consapevole. L’immobile dell’Ex-Colorificio viene riconsegnato al suo proprietario senza che egli risponda chiaramente alla collettività intera della destinazione d’uso che ha progettato! Questa è la legalità di una democrazia sempre più in fase involutiva, capace di perpetrare anche la dismissione di ogni nostro diritto e principio di solidarietà sociale. Diciamolo: la vostra legalità è l’ingiustizia del capitalismo, di quei rapporti economici diseguali che si arrogano il privilegio di decidere in modo autoritario sulla vita di una comunità e di un territorio. La proprietà viene prima, è più importante di qualsivoglia diritto della persona.
Ma la partita non finisce qui. Sembrava terminata, ma è solo un abbaglio poiché il Municipio dei Beni Comuni ha dichiarato la volontà di rompere i sigilli e rientrare nell’Ex-Colorificio Liberato il 16 novembre durante il corteo di movimenti e associazioni che verranno da tutta Italia. La complicità attiva della giunta comunale e del sindaco Marco Filippeschi è evidente: la questura di fronte alle 250 persone che popolavano l’Ex-Colorificio voleva raggiungere una moratoria sullo sgombero aprendo un tavolo di trattativa, invece le istituzioni locali hanno dichiarato di voler vedere l’esecuzione della sentenza, dicono “di ciò che ha deciso la giustizia”. Appunto. La giustizia: metafora di una bilancia inappropriata a pesare persino le patate.
La giornata si conclude con un corteo che dalla periferia che abbraccia la Torre arriva per le vie del centro e organizza un’”accampata” sotto Palazzo Gambacorti reclamando le responsabilità di istituzioni che si sottraggono proprio a quel compito per cui sarebbero destinate: la politica, appunto. Il pavimento di sampietrini non spaventa i militanti del Municipio che, prima con un’assemblea, e in seguito con un presidio, montano le loro tende e gonfiano i loro materassini con una determinazione e un consenso cittadino mai visto. Per la mattina seguente, alle 11, è convocata un’assemblea, ma diversi sono già svegli un’ora prima ignari dell’avvento dell’ora legale perché scossi da un tempo non più scandito dalla magia laica dell’Ex-Colorificio. Fra un caffè e la lettura dei quotidiani locali diverse sono le persone che si fermano, ci chiedono che faremo, e comunicano la loro solidarietà esprimendo l’indignazione per questo sgombero.
Dopo un’analisi della giornata precedente si decide di non mollare. La determinazione è tanta e il Municipio dei Beni Comuni sceglie di continuare il percorso che lo ha sempre contraddistinto: la lotta per i beni comuni.
La responsabilità a cui si è sottratta l’amministrazione comunale è una vera e propria ferita aperta e l’assemblea concorda sull’occupazione di un immobile pubblico abbandonato da molti anni, a dire il vero fin dalla sua costruzione, nel 1984, con fondi destinati all’edilizia popolare. Il palazzo in questione si chiama “Mattonaia” ed è costituita da sette fondi commerciali e undici appartamenti, in pieno centro storico pisano, che guardano la Chiesa di San Michele in Borgo. La grossolanità con cui è stata gestita ha portato alla situazione di totale degrado e mai è stata utilizzata per la funzione a cui era destinata. Nell’attuale congiuntura economica è davvero uno sfregio, uno sberleffo a quei ceti meno abbienti che attendono l’assegnazione di un alloggio popolare. Il Comune spesso ha tentato la vendita dell’immobile senza riuscirci. Ora pende un bando che baratta l’immobile con alcuni appalti per dei lavori urbani. La svendita di beni di cui sono proprietari tutti i cittadini avanza di pari passo con la città-vetrina, con i processi di gentrificazione che espellono dal centro le classi popolari per riorganizzare lo spazio urbano sempre più “sbranato” da giunte comunali conniventi con i poteri forti che determinano i flussi economici che attraversano Pisa. La “Mafiopoli” che raccontava Peppino Impastato sulle onde di Radio Aut, non è molto dissimile dalla città raccontata dalle voci di Radio Roarr (http://www.radioroarr.org/).
La liberazione della Mattonaia è un nuovo tassello che ci parla di una comunità che non si arrende alle politiche meschine di un’amministrazione locale che incarna perfettamente le dinamiche neoliberiste del Capitale Globale proiettate su tutta l’Europa. Opporsi alla speculazione e all’abbandono di immobili pubblici significa denunciare come ormai le giunte comunali applichino un’organizzazione dei beni che di fatto non è molto diversa da quella dei privati. Il sindaco e la giunta sentono la Mattonaia di loro proprietà e per questo hanno dichiarato di voler avanzare una denuncia di occupazione abusiva anziché rispondere ai quesiti che questa occupazione pone. A Pisa ormai da tempo si sfrattano le famiglie che perdono il lavoro, si emarginano i migranti dicendo che per loro non c’è posto dato che già manca per gli italiani e di pari passo abbiamo una delle città con più immobili di edilizia popolare vuoti, o meglio, popolati dalle carcasse di topi e piccioni o dalle montagne di feci animali.
La riapertura della Mattonaia da parte del Municipio dei Beni Comuni è un atto concreto in quanto intende mettere a disposizione della cittadinanza alcuni spazi per una sopravvivenza minima delle attività sociali e per l’organizzazione di un Meeting Point che costruirà la grande manifestazione nazionale del 16 novembre col il tentativo di riaprire ancora una volta l’ex Colorificio sequestrato, ribadendo l’incompatibilità fra la difesa e la lotta per i beni comuni con il modello di sviluppo che ci stritola nella morsa della crisi economica. La Mattonaia è stata riaperta, il Municipio è vivo e più che mai consapevole di voler essere autenticamente lo scoglio più duro per il lustro che il centrosinistra pisano ha di fronte. Il Municipio dei Beni Comuni senza uno spazio non si arrende e con serena consapevolezza si assume le sue responsabilità nonostante la spirale repressiva delle denunce. Chi invece scappa e si sottrae al confronto è una giunta miope che si nasconde dietro ad una legalità frutto del potere del più forte! Il diritto vigente è espressione di una legalità morta, superata, incapace di riconoscere ed applicare il senso complessivo della Costituzione antifascista del ’48. Una Costituzione che è diventata ormai arma pungente per le lotte per i beni comuni. Per questo dalle Banche Statunitensi al nostro Presidente della Repubblica o al Parlamento si sente così tanto il bisogno di cancellarla attraverso una sorda revisione neoliberale.
Lo sgomb(e)ro è stato servito (come recitava uno striscione), ma anche la degna rabbia di una comunità non cancella la determinazione di continuare questa battaglia. Senza tregua continuiamo dalla parte dei beni comuni e contro ogni interesse privato.

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