Cos’ha da dirci di nuovo, nel quinto centenario, quel «piccolo libro tradotto in tutte le lingue»? Machiavelli intuì una realtà politica più vasta degli staterelli del suo tempo. Oggi si pone lo stesso problema, ma il soggetto non è più l’Italia. È l’Europa
In questo momento che scrivo, le campane suonano a distesa, e annunziano l’entrata degli italiani a Roma. Il potere temporale crolla. E si grida il “viva” all’Unità d’Italia. Sia gloria al Machiavelli”: con queste parole di Francesco De Sanctis, scritte il 20 settembre 1870, Machiavelli entrò da eroe nell’autobiografia della giovane nazione. Il suo profilo, serio e attento, De Sanctis lo vedeva affacciarsi in mezzo al carnevale italiano all’angolo della piazza dove Savonarola predicava il ritorno al Medioevo e fustigava l’immoralità del clero. Oggi a Machiavelli ci riporta la celebrazione del quinto centenario della nascita o del primo abbozzo del Principe. L’Unità d’Italia è un dato acquisito, il carnevale delle serate “eleganti” del capo del governo italiano e la corruttela del mondo ecclesiastico hanno lasciato il posto a una livida quaresima generale e Savonarola ha preso le vesti del nuovo abitante del Vaticano. Che cosa ha da dirci dunque di nuovo quel «piccolo libro – così De Sanctis – tradotto in tutte le lingue, che ha gittato nell’ombra le altre sue opere»? Se proviamo a elencarli scopriamo diversi motivi che portano il presente a rispecchiarsi nelle riflessioni di Machiavelli e a rileggere con domande nuove un grande testo antico.

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