Sempre più giovani
(tre su dieci) si dichiarano non credenti. E tra chi continua a
professare la fede cresce il disinteresse per la preghiera Il che non
vuol dire la fine del sacro. Una serie di ricerche e di saggi
indagano il fenomeno.
Simonetta Fiori
Il Dio dei millennials
Il Dio dei millennials è morto o sta poco bene. Così dicono le ultime inchieste sulla fede delle nuove generazioni. Sono sempre di più i ragazzi che si dichiarano atei, agnostici o indifferenti, pur provenendo non da un background laico ma da un’educazione cattolica (e mai da una mala educación). Quasi tre giovani su dieci, tra i diciotto e i ventinove anni, «sembrano aver rimosso dalla propria carta di identità un riferimento ultimo e trascendente ». E tra i tanti che continuano a professarsi credenti prevale un sostanziale disinteresse alla fede e alla preghiera: più che nella dimensione spirituale, il cattolicesimo sopravvive come eredità culturale o legame sociale, senza troppi coinvolgimenti interiori.
Pur con accenti diversi, l’aumento dei non credenti nel mondo giovanile viene registrato da libri e riviste che si interrogano sulla portata del fenomeno. Più interno alla Chiesa il saggio Dio a modo mio apparso sull’ultimo numero di Civiltà cattolica che fa riferimento a centocinquanta testimonianze raccolte da Rita Bichi e Paola Bignardi. D’impronta laica la nuova articolata indagine pubblicata dal Mulino a cura di Franco Garelli, il sociologo cattolico allievo di Luciano Gallino che ha interpellato quasi millecinquecento ragazzi rappresentativi delle varie aeree del paese ( Piccoli atei crescono).
Al di là del diverso metodo e della diversa ispirazione, non cambia la fotografia di un paesaggio giovanile sempre più secolarizzato, dove la fede anche quando c’è diventa sempre più soggettiva ed evanescente. Una generazione senza Dio? Il punto interrogativo è d’obbligo – così nel sottotitolo dell’inchiesta del Mulino - perché la ricerca del sacro è un tratto irrinunciabile tra i ragazzi, anche sotto forme imprevedibili. A latitare tra i più giovani è il Dio con la maiuscola, il Signore terrifico dell’antico Testamento, sostituito da un altro più dimesso, il dio minuscolo delle piccole cose, che non è più un’entità carica di mistero ma a che fare con la ricerca di un’armonia personale. Alla dimensione della trascendenza e della eternità subentra quella dell’immanenza e la temporalità.
E il Dio del timore cede
il passo alla figura dell’amore. In fondo è capitato a Dio quello
che è successo al padre, sostiene una delle ragazze intervistate da
Garelli. «Un tempo erano più padri e padroni, ora sono più
permissivi e si fanno sottomettere dagli stessi figli. Perché se
pensiamo a Dio come nostro papà sappiamo che ci vuole bene anche se
noi ce ne possiamo fregare di lui». Insomma, una generazione
“scialla” più che convintamente agnostica. Ma attenzione a
cedere al luogo comune sulla superficialità e sull’apatia morale
dei più giovani: molti di loro rifiutano la primazia della non
credenza, che restituiscono volentieri a chi li ha preceduti.
Noi «la prima generazione incredula»? Non scherziamo, risponde la maggior parte dei giovani interpellati. Quella dell’età dell’oro della fede - coltivata dai nonni, conservata dai genitori e dissipata dai figli - è una rappresentazione fuorviante che mette su una strada sbagliata. Perché a rompere il patto religioso, con i loro comportamenti ondivaghi e improntati al conformismo sociale, sono stati mamma e papà. E anche sul terreno della religiosità si ripropone l’alleanza generazionale con i nonni che spesso si verifica nella politica o in altre zone dell’esistenza: quello dei nonni è giudicato un modello criticabile e culturalmente lontano ma nitido e coerente.
Mentre il comportamento
dei padri e delle madri risulta incerto, sfocato, intermittente. In
una parola, deludente sul piano della testimonianza. «Noi portiamo a
compimento ciò che è stato seminato nel passato», dice un ragazzo
non credente. La rottura della tradizione è un’eredità, non una
elaborazione originale. «La mia generazione non è incredula quanto
piuttosto arrabbiata per il senso di abbandono profondo e viscerale»,
reagisce un altro millennial. E la sintesi arriva da una ragazza loro
coetanea: la religione è mistero e fiducia, e noi non possiamo
permetterci né il mistero né la fiducia.
Altro che generazione superficiale, abituata a surfare sull’onda del digitale. Altro che smarrimento etico. Vietato confondere la fuga da Dio con la perdita di una domanda spirituale. La ricerca di senso e oltre l’immanenza avviene attraverso modalità e rituali diversi. La preghiera, ad esempio. La ricerca di Garelli ci mostra che se è vero che trenta ragazzi su cento non pregano mai, la pulsione verso il Padre Eterno può muovere anche una parte dei giovani non credenti, che magari rinunciano al Pater Noster ma non al silenzio, alla meditazione, alla lettura della Bibbia o all’attraversamento dei meandri sconosciuti della propria interiorità. E il modo di pregare cambia anche tra i cattolici più convinti.
Tra credenti e non
credenti possono esistere zone di contiguità impensabili qualche
decennio fa. Ed è questa un’altra cifra originale dei millennials,
che abbattono muri e perimetri del passato sostituiti con flussi
continui tra un campo e l’altro «E’ una generazione
postideologica », dice Garelli. «Questi ragazzi si sono liberati
dalle zavorre della storia. E si aprono alle ragioni degli altri pur
non condividendole ». L’anticlericalismo vecchio stile appare una
moda decaduta, i professionisti dell’ateismo militante figure
superate e un po’ indigeste. «Pur ben convinti di non avere un
cielo sopra di sé, molti giovani non credenti ritengono legittimo
credere in Dio anche nella società contemporanea, negando quindi
l’assunto che la modernità avanzata sia la tomba della religione.
E viceversa molti credenti sono consapevoli di quanto sia difficile
professare una fede religiosa nelle attuali condizioni di vita».
Cosa induce un ragazzo ad allontanarsi da Dio? L’agnosticismo annida soprattutto tra i figli dei separati, «tra chi ha vissuto la rottura dei legami famigliari o la perdita della certezza affettiva», spiega Garelli. A incrinare la fede possono intervenire le fratture esistenziali, come la perdita del lavoro o una condizione precaria. Ma può incidere anche l’estraneità a una Chiesa percepita come pomposa e ingiusta gerarchia, regno del privilegio e della ricchezza e non degli ultimi. E questo nonostante la rivoluzione di Francesco, il papa delle periferie e dei semplici.
Anzi, un dato che
sorprende è che vi siano sacche di resistenza verso una figura come
Bergoglio, che però viene criticato non tanto dagli atei quanto da
una piccola parte della minoranza dei credenti convinti. Ed è così
che il papa argentino appare più avanti di alcune zone della società
italiana che lo rimproverano di «privilegiare il sociale rispetto al
sacro», «di mettere sullo stesso piano credenti e non credenti» e
«di incoraggiare una presenza straniera sempre più ingombrante ».
Contraddizioni interne a chi si professa cattolico praticante.
Il Dio dei millennials non sta troppo bene, ma restiamo pur sempre il paese dove «anche gli atei sono cattolici», si sposano in chiesa e preferiscono il funerale religioso. Il nostro zoccolo duro dei ragazzi non credenti (28%) resta poca cosa rispetto a paesi come Svezia, Germania, Olanda, Belgio e Francia, dove «il vento della morte di Dio è già soffiato con forza» raggiungendo tra i più giovani percentuali intorno al 50/65% (mentre nei fervidi Stati Uniti gli scettici non raggiungono quota 18%).
Quel che da noi colpisce
è il ritmo di crescita degli agnostici (non arrivavano al 10% nel
passaggio di secolo), forse favorito dal mutato clima culturale. Oggi
i ragazzi italiani si sentono più liberi di negare Dio, avvertendo
«che è venuto meno lo stigma che prima colpiva increduli e
miscredenti». E poi la religiosità resta comunque sullo sfondo,
«anche se è un fondale sempre più lontano dal palcoscenico della
vita». Al momento, in sostanza, non si registrano tracolli. In
attesa di vedere come sarà il prosieguo della recita.
La Repubblica – 3
luglio 2016
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