Una grande mostra al
Forte di Bard ricostruisce il percorso esistenziale ed interiore di
Marc Chagall. 264 opere preparano all'incontro con “Ma vie”, un
grande quadro in cui il pittore ricostruisce l'intera sua vita
dall'infanzia a Vitebsk all'arrivo a Parigi.
Gregorio Botta
Chagall. Tutta la vita
in un quadro solo
«Io sono nato morto».
Moshe Shegal viene al mondo in un villaggio in fiamme senza un grido,
senza un lamento: non respira. Dovranno immergerlo nell'acqua gelida,
pungerlo con gli spilli per fargli emettere il primo vagito. "Non
ho voluto vivere", dirà. Non voleva, ma doveva: quel neonato
che ha avuto un incontro così precoce con il destino sarebbe
diventato Marc Chagall.
Lo racconta lui stesso
nelle prime righe dell'autobiografia, "Ma Vie", la mia
vita, che scrive a Parigi quando ormai è un celebre pittore. Qualche
anno dopo, nel ‘64, ne partorirà un'altra: ma questa volta la
dipingerà. E' un quadro imponente, (tre metri per quattro),
un'autobiografia per immagini custodito gelosamente nella Fondazione
Maeght di Saint-Paul-de-Vence e dichiarato tesoro nazionale francese.
Ora "La Vie" approda per la prima volta in Italia, al Forte
di Bard, (fino al 13 novembre, a cura di Markus Müller e Gabriele
Accornero). E' una mostra con 265 opere, ma in fondo è la mostra di
un quadro solo.
La tela maestosa domina
infatti la sala finale del Forte, accompagnata dai quattro schizzi
preparatori. Ma anche tutti gli altri lavori che completano
l'esposizione (moltissime le stampe, la litografia per Chagall non
era certo un'arte minore) possono essere letti alla stessa stregua:
figure, temi, immagini che precipiteranno nella summa visiva del
maestro del ‘900.
Tutti sanno quanto
Chagall abbia amato la sua Bella. "Per anni ha influenzato la
mia pittura…..Poi a un tratto un rombo di tuono, le nuvole si
aprirono alle sei di sera del 2 settembre 1944, quando Bella lasciò
questo mondo. Tutto è divenuto tenebre". Così scrisse, e ci
vollero anni perché riprendesse a dipingere. E' Bella che vola nei
suoi cieli, con lei la vita perde gravità, lei è l'amante, l'angelo
e la musa: senza di lei è un uomo perso. Almeno fino a quando non
sposa, otto anni dopo, Valentina Brodskij, detta Vava. Se c'è stato
un cantore della coppia, dell'incontro con il Femminile, questo è
stato Chagall: e infatti "La Vie" è dominato dalla figura
centrale, longilinea degli sposi che portano in braccio un bianco
bambino, sorta di sacra famiglia in versione laica e popolare. Ma ci
sono ben quattro altre coppie sulla tela: e una raffigura lo stesso
pittore, abbracciato da una donna immensa che lo protegge e lo
sovrasta, e alla quale spuntano due angeliche ali.
È sempre così: Chagall
non si dipinge mai, o quasi, da solo. Negli autoritratti (ad essi è
dedicata una sezione della mostra) lo accompagna sempre un secondo
profilo femmineo o una donna volante o una coppia che fluttua nel
cielo. In una litografia ("Quanti anni..."), l'artista
entra addirittura nella tela dove ha appena raffigurato una ragazza.
Ma l'incisione più rivelatrice è forse "Il pittore e la
modella": lei è distesa nuda sul letto, lui non la guarda e
nemmeno la ritrae; sta dipingendo un vaso di fiori!
Che differenza da
Picasso: i suoi rapporti con le modelle sono sempre carichi di un
eros rapace e voluttuoso, il sesso femminile è ben esposto, la legge
del desiderio domina l'incisione. Ma per Chagall no: qui tutto è
sublimato, la donna è una musa, un'anima che ispira l'arte, è un
doppio che completa e integra. Nell'incontro con l'altra aleggia
un'atmosfera alchemica da Nozze mistiche, da congiunzione degli
opposti.
Chagall non ha mai avuto
paura di mescolare l'amor sacro e l'amor profano. I Profeti coabitano
con clown e giocolieri, Mosè impugna le tavole della legge mentre
violinisti e suonatori di flauti cantano la poesia della vita. La
figura che sale sulla scala biblica sognata da Giacobbe, infine, ha
una testa di gallo: d'altronde spesso nel pittore l'uomo assume
sembianze animali, di mucca, di agnello, di uccello. Come scrive nel
bel saggio in catalogo Markus Müller: "Quando si tratta della
fede, Chagall dipinge se stesso metà uomo e metà animale. Beheyme
nella sua lingua madre non significa solo mucca ma ha anche un
significato simile a stupido, idiota. Chagall si è definito più
volte ironicamente come un beheyme".
Come a dire che solo uno
sguardo semplice e puro, solo un cuore elementare, può accogliere il
mistero che abita l'immaginario umano.
Popolare e profondo: il
suo mondo è figlio della cultura chassidim, di cui si è nutrito a
Vitebsk, il villaggio (allora russo, ora bielorusso) dove nacque nel
1887. C'è chi si è appassionato a vedere quanti modi di dire
yiddish abbiano preso forma nella sua pittura. Ce ne sono, certo:
"volare nei cieli", in yiddish, vuol dire essere travolti
dalla fantasia, un sognatore è descritto come uno cui "la mucca
vola sopra la testa". "Portare qualcuno sulle mani",
come si ritrae Chagall con la sua Bella, vuol dire venerarlo.
Ma non bisogna essere
specialisti o padroni della lingua per capirlo: sono metafore
semplici e universali. D'altronde è questo che fa Chagall: vive tra
la storia e la Storia. La sua biografia è la biografia del nostro
‘900, i suoi luoghi del cuore appartengono a tutti. Vitebsk
rappresenta ogni shtetl del mondo, il suo uomo in fuga sui tetti
incarna e incarnerà per sempre l'immagine dell'ebreo errante. Se
aprissimo il sacco che ha sulle spalle ci troveremmo tutte le figure
che animano il cuore profondo della nostra cultura. Non a caso
l'artista amava tanto la Bibbia: la mostra di Bard ha una formidabile
appendice con la serie completa delle 105 litografie che illustrano
il Libro. Vi aleggia lo spirito del venerato Rembrandt. Sentimento
corrisposto, secondo Chagall, che così conclude l'autobiografia:
"Sono convinto che Rembrandt mi ama".
La repubblica – 10
luglio 2016
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