Anna Maria Farabbi
Poeti in Umbria. Lo squallore della lingua e il dialetto ritrovato
Salvatore Lo Leggio
È
uscito il primo fascicolo della nuova serie di “Passaggio”, il
trimestrale di poesia e arte dell'Associazione Culturale “La Luna”,
diretto dal poeta marchigiano Eugenio De Signoribus.
Contiene una silloge di poesie di Walter Cremonte dal titolo Con amore e squallore, corredata dall'acquaforte Laceramenti 3 dell'artista
urbinate Vitaliano Angelini. Si tratta di 16 poesie in parte inedite,
in parte già diffuse in edizioni fuori commercio.
Il
titolo è illustrato in una paginetta di splendida prosa dallo stesso
autore. Nasce da un racconto di Salinger, autore cult del Sessantotto
(chi non ricorda Il giovane Holden?), dal titolo quasi identico,
un racconto di guerra “molto squallido e commovente”. Cremonte ne adatta
il senso alle sue ultime prove che sono – quale che sia l'argomento -
poesie d'amore (“perché, se no, si scrive?”), ma che utilizzano il
linguaggio degradato e trito del nostro tempo, incapace di raccontare un
mondo a sua volta degradato e di restituire una qualche identità
individuale e collettiva.
Il riuso dei luoghi comuni, dei “brandelli di chiacchiera” è da sempre praticato dal Cremonte, che dal bricolage riusciva
a ricavare macchine capaci di volare e portarci fuori da un mondo
svuotato di senso verso un altrove ricco di profumi e colori, amoroso.
Ora questo recupero sembra farsi più spesso strumento di denuncia, un
vero e proprio processo al mondo realmente esistente, e di resistenza.
Così ad esempio nella poesia Un papavero, che mi è già accaduto di citare come esemplare.
Un altro testo da incorniciare s'intitola Le foto,
in apparenza sulla irredimibilità della storia, in realtà sulla
certezza che la lotta continua, e che altre generazioni impugneranno le
bandiere lasciate cadere. Così recita: “Cosa gli diciamo / quando
vedranno le foto / di questi anni // loro diranno come / vi sentivate
voi / a guardare le foto dei campi / delle braccia coi numeri sopra /
dei vagoni piombati / pressappoco così ci sentiamo / colpa volta
stravolta”.
Sul finire del 2015 è uscita, per le edizioni Cofine di Roma, una antologia per gli amanti della poesia, dal titolo Dialetto lingua della poesia. L'ha
curata la perugina Ombretta Ciurnelli, poeta dialettale di grandi doti,
capace di spaziare dalle sperimentazioni ludico-linguistiche alla
poesia narrativa epica o melodrammatica, alla lirica. Il volume
raccoglie e commenta un centinaio di testi, di poeti che non
concepiscono la poesia dialettale come “vacanza” o come ricerca di
effetti di colore, ma si affidano alle lingue del territorio soprattutto
per un bisogno di verità. Le poesie hanno come tema comune proprio il
dialetto, ma non bisogna aver paura della monotonia: tutti gli autori in
qualche modo spiegano la propria scelta espressiva, ma, facendolo,
toccano una grande varietà di corde. Il commento che segue le poesie ha
un non so che di perugino: il metodo che costruisce i profili degli
autori a partire da testi che affrontano il loro rapporto con la materia
prima, la lingua, riprende infatti - con opportuni aggiornamenti - il
nesso “poetica-poesia” caro a Walter Binni.
Si
comincia con i “monumenti” ottocenteschi, Porta e Belli, si prosegue
con i classici protonovecenteschi, Giotti, Tessa, Marin, Noventa,
Buttitta; poi avanti fino ai nostri giorni, con autori noti (Zavattini,
Guerra, Zanzotto, Pasolini) e meno noti di quasi tutte le aree
linguistiche. Viene esclusa quasi completamente la poesia in dialetto
napoletano: la spiegazione è fornita incidentalmente, in un commento che
cita Di Giacomo, di cui si nota la “cantabilità partenopea” un po'
consumistica. Credo che si sarebbe potuta fare almeno un'eccezione, quel
Raffaele Viviani che assai spesso rifiutò il dialetto sdolcinato delle
canzonette, cercando nei vicoli le sue parole. Le poesie del secondo
Novecento e degli anni Duemila maggiormente risentono della grande
trasformazione novecentesca, della fine dell'Italia rurale, della
omologazione e dell'impoverimento linguistico; in molte si avverte il
rimpianto per una lingua già morta o che va a morire, in altre il suo
recupero ha un evidente carattere sperimentale.
Non
mancano alcuni poeti umbri, Spinelli, Ponti, Mirabassi, Pilini,
Ottaviani; a me piace citare, per la sua potenza espressionistica, una
poesia breve ed intensa di Anna Maria Farabbi, perugina di montagna (“ldialetto ldiceva lmi babbo e lmi babbo / ce lò ncorpo // si fo cadé la lengua nterra / m'esce”).
micropolis, 27 maggio 2016
Ora in http://salvatoreloleggio.blogspot.it/2016/06/poeti-in-umbria
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