25 luglio 2016

SULLA CREDULITA'



Crolla il principio di autorevolezza e spopolano guaritori e imbonitori. Così veniamo consolati dai tanti ciarlatani della rete.*

Marino Niola
Credulità

Creduloni onniscienti e complottardi diffidenti. È il paradosso della civiltà dell’informazione. Sappiamo sempre di più ma capiamo sempre di meno. E la realtà ci sfugge da ogni parte per eccesso di particolari. Inondati da immagini, notizie, informazioni, agenzie, newsletter, forum, chat, blog, pop up, che il web sversa su di noi come un fiume inarrestabile. Un download debordante che impalla il nostro processore critico. E così, incapaci di selezionare e valutare, ci beviamo tutto quel che viene portato dalle correnti di internet. Il risultato è che l’aumento delle conoscenze e i progressi tecnologici invece che potenziare le difese della ragione provocano un ritorno massiccio di voci incontrollate, credenze infondate, verità millantate. E ciarlatanerie spudorate.

Di conseguenza, l’abuso della credulità popolare, che sembrava roba d’altri tempi, da società prescolare, ormai superato dal progresso delle conoscenze, sta ridiventando un fenomeno tristemente attuale. Col favore del web, che pullula di falsi scienziati e di autentici lestofanti. Guaritori, venditori, imbonitori, persuasori, arruffapopolo, contafrottole, predicatori, mental trainer, somatopsicologi, rabdomanti digitali e altri spacciatori di bufale che assomigliano tanto ai ciurmatori che imperversavano nella società preilluminista. Quelli che vendevano nelle pubbliche piazze i loro specifici, ovvero preparati miracolosi in grado di fermare il tempo, vincere le malattie, ridare vigore all’eros, far diventare ricchi. Come il dottor Dulcamara, protagonista dell’Elisir d’amore di Gaetano Donizetti, che vanta i portenti infiniti del suo specifico «simpatico, prolifico, che muove i paralitici, spedisce gli apoplettici, gli asmatici, gli asfittici, gli isterici, i diabetici».

Addirittura a fine Cinquecento si pubblicavano trattati per mettere in guardia le persone dai finti dottori. Li chiamavano con disprezzo “catedratici di nuove scienze”. Il celebre medico romano Scipione Mercuri scrive in quegli anni un libro intitolato De gli errori popolari d’Italia, in cui dedica un intero capitolo agli imbrogli «che si commettono contro gli ammalati in piazza». Perché era proprio nel luogo pubblico per eccellenza che gli acchiappagonzi mietevano vittime fra ingenui e babbei. E il suo contemporaneo Tommaso Garzoni, nel suo capolavoro
La piazza universale, censisce 544 mestieri nel mondo, di cui una buona parte ha a che fare con truffe e raggiri. Oggi la piazza universale si è delocalizzata in internet. Dove i ciarlatani, fatti fuori dalla cultura moderna, quella della scuola, della scienza e delle università, si prendono la rivincita e viralizzano il web. Perché, se è vero, come dice Edgar Morin, che la rete promuove una nuova coscienza planetaria, è anche vero che almeno per ora la quantità d’informazione disponibile online è inversamente proporzionale alla qualità. E rischia di generare un nichilismo culturale che rende difficile distinguere il vero dal falso.

Come ha mostrato il sociologo francese Gérald Bronner, la nostra sta diventando la democrazia della credulità. Perché dove la gerarchia dei saperi frana e il principio di autorevolezza si polverizza, spopolano le spiegazioni semplici e soprattutto monocausali di una realtà che è invece sempre più complessa e sfaccettata come quella contemporanea. Soluzioni consolatorie che ci danno la sensazione rassicurante di capirci qualcosa, di saperla lunga, di non farci infinocchiare dalle versioni ufficiali dei fatti. Che si tratti di Ogm, vaccini, sicurezza alimentare, biologico, coloranti, pesticidi, il minimo comune denominatore è una sindrome da complotto che provoca una sfiducia crescente verso tutte le autorità, scientifiche o politiche.
Siamo sempre più bipolari. Per un verso malfidenti verso i vari esperti, ricercatori, professori, giornalisti o studiosi, e per l’altro pronti a prestar fede a tutte le voci che corrono in rete. Così il tessuto collettivo dell’attendibilità e della credibilità appare sempre più compromesso. Al punto che in Francia, dove la scienza è una fede e la ragione una religione, secondo uno studio recente, il 43% delle persone pensa che la ricerca comporti più rischi che benefici. E da un sondaggio Gallup di quest’anno emerge che la fiducia dei cittadini statunitensi nelle istituzioni è passata da un imponente 80% degli anni Sessanta a un allarmante 10% di ora.

Politica, religione, giornali, televisione, scuola, università, industria. Non si salva nessuno. Stanno peggio solo i rivenditori di auto usate. E cresce esponenzialmente il pregiudizio antiscientifico, soprattutto su temi che toccano tasti sensibili come la salute. Il caso più emblematico è quello dei vaccini che, dopo averci liberati da tanti mali, vengono additati come la causa di altrettanti mali.
Una irragionevole demonizzazione che inizia nel 1998, quando viene, incautamente, pubblicato su
Lancet uno sciagurato articolo, rivelatosi poi fraudolento, dell’ex medico Andrew Wakefield, che sosteneva l’esistenza di una correlazione tra diffusione del vaccino trivalente Mmr e aumento dell’autismo. Era tutta una bufala. Ma nonostante le smentite del General Medical Council britannico e la sconfessione della stessa Lancet, che ha ritirato lo scritto, le vaccinazioni sono crollate. In realtà pare che il vero scopo della pubblicazione fosse quello di lucrare su un vaccino alternativo brevettato dal novello Dulcamara. Oltretutto, la Court of Protection inglese ha accertato che la mamma di uno dei bambini autistici all’origine della vicenda ha mentito.
























Ma l’ineffabile Wakefield è tornato di recente agli onori della cronaca con il documentario autocelebrativo «Vaccinati: dall’insabbiamento alla catastrofe», che ad aprile avrebbe dovuto inaugurare il Tribeca Film Festival di New York, diretto da Robert De Niro, comprensibilmente sensibile al tema in quanto padre di un ragazzo autistico. Ma la bufala è stata smascherata da un gruppo di scienziati e De Niro ha cancellato il film. Eppure il rischio vaccino per molti è diventato un dogma 2.0. Anche perché sono in tanti a pensare che dietro ci siano solo gli interessi delle case farmaceutiche. Così una mappazza di false evidenze e di pseudo conoscenze rischia di anabolizzare il web rendendo difficile distinguere tra verità e impostura. A tutti noi il compito di civilizzare la rete, facendola uscire dallo stato di natura digitale.

La Repubblica – 20 luglio 2016
* Le illustrazioni sono tratte dalle opere di Jeronimus Bosch

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