Maestri da rileggere:
Il carteggio Capitini-Codignola. Un dialogo profetico
Angelo d'Orsi
Sessant'anni fa, nel
1937, usciva, nelle edizioni Laterza, un libro di piccola mole e dal
titolo insolito, specie in relazione all'epoca e alla situazione:
Elementi di un'esperienza religiosa. L'Italia aveva appena
proclamato l'Impero, con l'annessione dell'Etiopia; Mussolini
sembrava aver costruito un regime “granitico” e gli italiani, in
larga parte, osannavano al mascherone ducesco. La cultura era
prevalentemente in mano agli zelatori del fascismo, e persino un
Gentile era ormai ampiamente scavalcato dagli intellettuali militanti
e funzionari del regime. Quel piccolo libro dimesso portava la firma
di un filosofo appartato che con Gentile aveva avuto rapporti, Aldo
Capitini, e che frequentava gli ambienti dei gentiliani, uomini
destinati perlopiù a diventare, presto o tardi, antifascisti.
Con uno di loro, Guido
Calogero, Capitini fu poco dopo l'animatore precipuo del movimento
liberalsocialista, che confluì nel Partito d'Azione. Ma Capitini,
che aveva già compiuto la sua scelta nonviolenta, non credeva nella
forma partito, preferendo l'animazione dal basso, la “persuasione”
individuale, il lavoro pedagogico e di orientamento sociale (e
‹religioso›, in un senso del tutto aconfessionale). Tutta
diversa, apparentemente più “politica”, la posizione del più
giovane Tristano Codignola, figlio di Ernesto, il pedagogista e
filosofo amico di Gentile. Conosciutisi sul finire degli Anni Trenta
i due - accomunati oltre che dall'orientamento ideale
liberalsocialista, anche dalla passione per l'organizzazione
culturale - si tennero in stretto contatto fino alla morte di
Capitini, avvenuta nel '68.
Codignola, ben presto
divenuto responsabile della casa fiorentina La Nuova Italia, trovò
in Capitini non solo un prezioso collaboratore, suggeritore, e,
ovviamente, autore, ma altresì un interlocutore politico: alla
militanza nel Psi (nell'ala sinistra) di Codignola, corrispondeva la
posizione di “indipendente di sinistra” di Capitini (il quale si
vantò di essere stato il primo in Italia in questa categoria
destinata ad avere successo). Si trattò di un rapporto che produsse
frutti su vari terreni, a cominciare da quello scolastico ed
educativo, dove il benefico profetismo capitiniano doveva fare i
conti con il pragmatico realismo del militante socialista: un
incontro possibile perché se il primo in realtà, dietro l'apparente
impoliticità, aveva un sicuro intuito politico, il secondo si
lasciava volentieri guidare da un forte tratto di utopismo. Il
carteggio edito dalla casa di Codignola è un interessante documento
della nostra storia politico-culturale, oltre ad essere un omaggio a
due figure di grande spessore civile. Nondimeno, quando si vogliono
rendere omaggi si dovrebbe procedere con maggior attenzione a quel
che si fa e a come lo si fa: non possiamo non rilevare infatti come
queste Lettere 1940-1968, selezionate all'interno di un carteggio
assai più ampio in base a criteri non specificati, risultano
malamente curate (Tiziana Borgogni Migani, aveva dato prova migliore
con gli Scritti politici del Codignola editi dalla stessa casa).
Peccato per Codignola,
che avrebbe meritato dalla sua casa un trattamento migliore: ma
soprattutto per Capitini, sul quale sembra pesare una sorta di
maledizione editoriale che ormai dura da un trentennio.
La Stampa, 29/05/1997
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