Per l'antropologia il cibo è una invenzione culturale. Non fa eccezione lo zucchero.
Marco Belpoliti
Zucchero
Viviamo nell’epoca
delle bustine. Quasi tutto quello che mangiamo ci raggiunge
attraverso buste di diverse dimensioni. Lo zucchero, ad esempio. Sul
bancone del bar ci sono almeno tre bustine: lo zucchero semolato
bianco, lo zucchero bruno di pura canna e un dolcificante a base di
saccarina sodica. Lo zucchero oggi costa poco. Se vogliamo comprarne
un chilo basta entrare in un supermercato: 0,70 euro quello bianco
raffinato, o 2,5 euro il bruno. La strada che lo zucchero ha percorso
per arrivare sino a noi, e raggiungere prezzi così contenuti, è
stata lunga e complessa. Quello che usiamo è saccarosio estratto
dalla canna da zucchero; può anche essere derivato dalla
barbabietola, ma solo a partire dall’Ottocento.
Il saccarosio è un composto chimico organico della famiglia dei carboidrati estratto da un vegetale il cui nome scientifico è Saccharum officinarum. Proviene dalla Nuova Guinea dove, secondo i botanici, sarebbe stato addomesticato alcune migliaia di anni fa. A partire dall’8000 a.C. è arrivato nelle Filippine, in India e poi in Indonesia. Ma sono dovuti trascorrere decine di secoli affinché giungesse da noi a partire dalle isole dove spesso si pensa sia nato: i Caraibi. Lì l’ha portato invece Cristoforo Colombo in uno dei suoi viaggi, nel 1492. Solo dopo questo trasferimento lo zucchero è diventato ciò che è oggi: un alimento.
Tra la Guinea e i Caraibi
c’è di mezzo, come ha raccontato l’antropologo Sidney W. Mintz
(Storia dello zucchero, Einaudi), un’altra storia, quella dello
zucchero che circola per il Mediterraneo e raggiunge alcuni
lidi dell’Europa. Il saccarosio ha seguito il Corano. Sono stati
gli arabi nella loro espansione militare e politica a
portarlo in giro.
Una storia complicata.
Nel 1000 d.C. pochissimi in Europa conoscevano lo zucchero,
nessuno o quasi in Inghilterra. Non era un alimento, bensì un
medicamento, sostanza officinale. La dolcificazione delle bevande si
otteneva con il miele e i derivati della frutta o sciroppi vari.
Prima di diventare cibo è stato una spezia, e come tutte le spezie,
dal pepe alla noce moscata o allo zenzero, era disponibile solo in
piccole quantità: bene di lusso. A usarlo come medicamento, o per
conservare il cibo, in alternativa al costoso sale, erano pochissimi:
re, regine, nobili.
Lo zucchero ha funzionato come sistema di distinzione sociale ed economica. Le storie della tecnologia spiegano che estrarre lo zucchero dalla canna non è un procedimento semplice e immediato. Necessita prima di tutto forza-lavoro, che da un certo punto in poi ha significato: gli schiavi. La cosa interessante è che nessuno degli alimenti che usiamo oggi in Occidente nasce come un fatto “naturale”.
L’antropologo francese Lévi-Strauss l’ha spiegato in modo icastico: prima di diventare “buono da mangiare” deve essere “buono da pensare”. Detto altrimenti, il cibo è sempre un’invenzione culturale, effetto di un processo di civilizzazione. Nelle mani degli arabi e dei loro successori si è trasformato da spezia- condimento e conservante in un simbolo sociale, poi, molto tempo dopo, in un alimento. La sua storia, ricorda Mintz, “è determinata dalle preferenze culturalmente determinate per l’una o l’altra qualità”.
Certo, c’è la questione della dolcezza. Il saccarosio estratto dalla canna si è imposto tra le preferenze alimentari degli europei come soddisfazione di un bisogno, ma questo solo dal 1650 quando l’Inghilterra ne ha fatto uno degli alimenti principali. È allora che diventa il genere coloniale più ricercato insieme con il tabacco, oltre che la fonte principale di dolcezza degli abitanti dell’Inghilterra. Avviene la sua trasformazione. Mintz scrive che lo zucchero è stata la prima merce esotica prodotta su vasta scala per la necessità di una classe di lavoratori proletari. Questo nel momento in cui, a metà del Settecento, comincia a svilupparsi il capitalismo mercantile e nascono le fabbriche moderne. L’antropologo sostiene addirittura che le prime vere fabbriche non sono quelle descritte da Marx inInghilterra, bensì quelle create nei Caraibi per far fronte alla richiesta di zucchero della operaia inglese.
Senza lo zucchero probabilmente non ci sarebbe stata l’energia per lo sviluppo capitalistico. Senza lo zucchero il caffè e la cioccolata non si sarebbero diffusi da noi, e il tè imposto come la bevanda nazionale degli inglesi. A un certo punto gli abitanti della Gran Bretagna lo trovano sul mercato a tonnellate: è sceso di prezzo grazie al lavoroschiavistico e alle tecnologie di trasformazione.
Secondo gli studiosi lo zucchero sarebbe un “livellatore spurio di status”: passando dai re alla borghesia, e da questa alla classe operaia, ha perso nei secoli il suo valore distintivo. In compenso, ha aumentato la disponibilità di calorie del proletariato urbano, in concorrenza con il deleterio alcool di rum e gin.
Un passaggio decisivo
l’hanno prodotto le marmellate. Meglio: pane e marmellata. Dal 1870
in poi confetture e classi lavoratrici si trovarono congiunte;
sciroppi, dolcificanti liquidi e semiliquidi hanno cambiato la dieta
di migliaia di persone. Tutto merito del saccarosio. Alcuni studiosi
sostengono che nell’Ottocento diventò addirittura uno dei
narcotici del popolo. Di certo cambiò il destino di un paese.
Del resto, come “droga”
lo zucchero è meno impegnativo di alcool, caffeina e tabacco; fa
meno male, anche se oggi è tenuto in gran sospetto. Il saccarosio ad
alto grado di raffinazione produce effetti psicologici speciali; fa
bene all’umore e determina una dipendenza, seppur minore delle
altre “droghe”. Non dà ebbrezza o euforia, bensì uno stato di
benessere, almeno temporaneo. Per questa ragione è stato meno
colpito da interdetti religiosi, come è accaduto invece a caffè, tè
e cioccolata ai loro inizi. Dal Seicento in poi, tutti a zuccherare.
Perché amiamo tanto lo
zucchero, o almeno i cibi in cui lo si usa con abbondanza? Non c’è
certezza al riguardo. Gli antropologi sostengono che dipende dai
nostri antenati che si cibavano di bacche e frutta. Altri che abbiamo
una predisposizione naturale al gusto dolce. Tra i vari gusti
percepiti dal nostro palato ci sono varie combinazioni: paesi che
oppongono il dolce al salato, altri al piccante. La cosa più
interessante è che proprio perché non è solo un cibo, ma anche un
sistema di relazioni sociali, culturali, economiche, estetiche e
perfino mentali, nessuno sa dire con certezza perché lo zucchero
estratto dalla canna sia diventato così importante inEuropa dopo
il 1650. C’è e basta. Oggi costa davvero poco. In bustina, poi, è
gratis.
la Repubblica - 18
luglio 2016
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