L’esibizionismo
fisico è una delle tendenze più forti della nostra epoca: siamo
continuamente osservati, fotografati, ridotti a oggetti. Da qui la
mania dilagante della chirurgia estetica
Massimo Recalcati
Le verità nascoste
dietro l’ossessione del corpo perfetto
Intruppamenti di corpi seminudi occupano le spiagge delle nostre vacanze, fanno capolino nelle città, appaiono in tutti i luoghi di villeggiatura. Non si possono non vedere. L’ontologia sartriana del corpo esposta ne L’essere e il nulla trova qui una sua verifica empirica: il nostro corpo è sempre visto, non può evitare di essere sottoposto allo sguardo dell’Altro che ci medusizza fatalmente trasformandoci da soggetti in oggetti.
Il nostro corpo non è
infatti mai solo nostro. Per diverse ragioni: non abbiamo deciso le
sue fattezze, si ammala e muore anche se noi non lo vogliamo. Ma
soprattutto è sempre visto dallo sguardo degli altri. Sartre lo
aveva messo in rilievo con forza: il nostro corpo è sempre guardato,
fotografato, pietrificato dallo sguardo dell’Altro. Se ne accorgono
talvolta traumaticamente le giovani donne quando fanno esperienza
della voluttà dello sguardo maschile: il loro corpo appare per la
prima volta come qualcosa che sfugge a se stesso.
L’esibizionismo prima di essere una patologia deriva da questo statuto sempre visibile del corpo. Il nostro corpo è gettato, gioco forza, in una continua esibizione. Si tratta di un esibizionismo che coincide con la vita stessa e che non possiamo evitare in nessun modo ma solo vivere con più o meno gioia o angoscia. Questo statuto necessariamente esposto, esibito, alienato del nostro corpo può però accentuarsi patologicamente. Le insistite diete quaresimali, gli esercizi fitness massacranti, l’ossessione per la propria forma, gli interventi di chirurgia estetica per modellare il corpo adattandolo ai suoi stereotipi sociali ne sono un esempio evidente.
Una paziente anni fa mi
raccontava dell’effetto depressivo che il suo corpo allo specchio,
superata la cinquantina d’anni, le faceva ogni volta. In
particolare vedeva amplificarsi i numerosi interventi di chirurgia
estetica ai quali si era sottoposta: alle labbra, agli zigomi, ai
seni, alle gambe e ai fianchi. La sensazione estraniante che provava
era quella di avere il corpo di un’altra. In effetti la sua domanda
«per chi ho fatto tutto questo?» lasciava trapelare che non era
certo per lei stessa, per piacersi di più che aveva offerto il suo
corpo al bisturi.
Già Freud aveva
messo in relazione l’esibizionismo con l’angoscia di castrazione:
mostrare il proprio corpo perfettamente in forma esibendone la
bellezza o la forza muscolare sono tentativi per ricoprire un senso
profondo di inadeguatezza. L’eccessiva attenzione per la propria
immagine, diversamente da quello che si può credere, non denuncia
tanto il narcisismo del soggetto, ma una sua ferita che esige di
essere compensata.
Questi soggetti per
esistere devono conformarsi all’ideale che lo sguardo dell’Altro
gli impone come normativo. Non ci vuole lo psicoanalista per cogliere
che certe trasformazioni tramite chirurgia estetica a cui si
sottopongono i corpi femminili non rispondono affatto al criterio
dell’abbellimento del proprio corpo, ma a quello di una sua
radicale metamorfosi al fine di renderlo il più possibile simile a
quello che l’immaginario erotico maschile esige.
Il canone che si impone è solitamente quello delle commedie alla Alvaro Vitali. Il corpo si assimila a una bambola che deve soddisfare le esigenze sessuali del proprio partner. Il ritornello delle attricette di turno che parlano delle operazioni estetiche alle quali si sono sottoposte sostenendo di averlo fatto per stare bene con se stesse molto spesso non dice la verità. Si tratta in realtà di modificare il proprio corpo per renderlo più attraente per lo sguardo dell’Altro e non per il proprio. È l’essenza dell’esibizionismo narcisistico.
L’esibizionismo
come forma specifica di perversione non ha però a che fare con tutto
questo. Né con lo statuto ontologicamente sempre visibile del nostro
corpo, né con il suo modellamento sullo sguardo e sul fantasma
dell’Altro. L’esibizionismo diventa davvero perverso quando, come
spiega lucidamente Lacan, non gode nel presentarsi allo sguardo
dell’Altro, nel farsi vedere, come si dice, ma nel provocarne
l’angoscia. L’immagine dell’esibizionista che gira nudo sotto
il suo immancabile impermeabile per offrirsi allo sguardo dell’Altro
deve essere ripensata. Non si tratta di godere nell’esporsi ma
nello sconcertare chi osserva la scena, nell’infrangere non il
proprio tabù ma quello dell’Altro.
È questo lo specifico della dimensione propriamente perversa dell’esibizionismo: più che sul bello, sulla seduzione, sulla compiacenza o sulla esibizione del proprio corpo per ammaliare lo sguardo dell’Altro, esso punta a impadronirsene, a scuoterlo per trascinarlo nell’angoscia, Esiste un godimento (inconscio o conscio) nel mostrare il proprio corpo divenuto mostro che consiste nell’impadronirsi dello sguardo dell’Altro.
È qualcosa che possiamo
vedere all’opera in quei corpi che mostrano senza pudore le proprie
deformazioni. Accade, per esempio, nelle grandi obesità o nelle
forme gravi di anoressia o in quei corpi che portano su di sé
alterazioni profonde della loro immagine resa marziana, per esempio,
da un uso eccessivo e provocatorio di piercing.
È quello, infine, che si evidenzia in certe tendenze dell’arte contemporanea dove l’ostentazione del brutto, dell’orrido, dell’osceno e dell’abietto serve per fare abbassare lo sguardo dello spettatore, per riempirlo di angoscia.
La Repubblica – 3
luglio 2016
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