25 luglio 2016

M. RECALCATI, Terrorismo e psicopatici



Una società, che alimenta abnormi speranze di successo e di consumo, crea anche precoci falliti carichi di frustrazioni e di odio verso chiunque anche di sfuggita presenti un'immagine di "normalità" e di riuscita. Qui l'ideologia politica o religiosa non c'entra, anche se può essere rivendicata. I fatti di Monaco dimostrano quanto in fretta l'Europa si sia americanizzata, anche nella produzione di vere e proprie patologie sociali.

Massimo Recalcati

Il terrorismo degli psicopatici

Era evidente che gli ultimi due attentati — quello del Tir a Nizza e quello del giovane armato di ascia in Germania — ci obbligavano ad uno scenario del terrore più articolato di come appariva all’indomani degli attentati di Parigi e Bruxelles. Era assolutamente evidente che un altro protagonista si stava aggiungendo a quello già conosciuto, tetro e feroce, dell’Is e dei suoi “martiri” fanatici. Questo nuovo protagonista ha un nome e cognome. È la follia, il passaggio all’atto chiaramente psicotico, la psicopatologia di coloro che hanno compiuto gli ultimi attentati.

Ancora una volta l’Occidente si trova confrontato al problema della marginalità sociale che caratterizza il profilo degli ultimi attentatori e che, respinta dagli identikit sociologici dei professionisti del terrore (giovani inseriti, universitari, borghesi, ecc), ci ritorna addosso come un flash che non possiamo più ignorare. Allo stesso modo la giovane età di questi assassini non può non segnalare un’altra grave emergenza: come ridare senso alla vita dei nostri figli, come ridare loro futuro, speranza, avvenire, fiducia, lavoro? L’apparizione dell’allucinazione psicotica sulla scenario della lotta contro il terrorismo non deve ridurre ovviamente il fenomeno dell’Is ad un fenomeno psicopatologico, ma indubbiamente lo dilata, lo espande e lo insinua nelle pieghe più precarie della nostra vita sociale.

La dichiarazione di guerra dell’Is all’Occidente ha creato cioè un contraccolpo: il gesto estremo del terrorista contagia, diviene un modello, genera emulazione, si moltiplica coinvolgendo anche coloro che non appartengono a quella ideologia politico-religiosa. Sono giovani, disperati e psicotici. Conosciamo bene la psicologia delle masse che sottintende questo effetto domino: se quello che pareva impossibile — ammazzare brutalmente vite sconosciute colpevoli solo di vivere più felicemente di noi — diviene non solo possibile, ma si carica altresì di significati ideali, offre a giovani disadattati e senza prospettive, fragili e, almeno negli ultimi tre casi, pare francamente psicotici, l’occasione di dare un senso alla propria vita.

Il gesto che genera terrore può rendere infatti una vita anonima, una vita che viene finalmente nominata, ricordata, promossa agli onori della cronaca, capace di incidere il suo nome nella storia. In questo modo delle esistenze che si percepiscono prive di senso, superflue, messe ai margini dalla società, fallite, incapaci di affermarsi, provano allucinatoriamente a dare un senso alla loro vita.

Sentendosi vittime del sistema che le rifiuta colpiscono deliberatamente quel sistema come accade alla vittima di bullismo — tale si definisce in modo sconcertante il giovane assassino di Monaco -, che, come in un sogno ad occhi aperti, può colpire con un’arma da fuoco i suoi coetanei selezionandoli tra la folla anonima di un centro commerciale, vendicando in questo modo folle tutti i torti subiti.

La magia nera dello specchio sequestra la mente — lo psicotico, come la massa, affermava Wilfred Bion, è «privo di mente e privo di pensiero» — e sospinge irresistibilmente verso il passaggio all’atto. L’Is ha offerto, dunque, l’occasione per la detonazione psicotica di una violenza radicale che è assolutamente pre-religiosa e pre-ideologica.

I suoi vertici non possono che, solo in seconda battuta, strumentalizzare politicamente questa detonazione rivendicando come propri militanti giovani che, in realtà, non appartengono a nessuno se non al loro delirio. In questo modo i terroristi rafforzano, spesso con l’aiuto involontario dei media, la loro immagine militare e il loro potere. Bisogna invece mantenersi lucidi distinguendo le azioni militari dai passaggi all’atto psicotici per non amplificare certi eventi e, soprattutto, per non assumere provvedimenti che, seminando ulteriore panico, fanno solo il gioco dell’Is che vuole rendere le nostre viti invivibili.

Non bisogna poi dimenticare il grande tema della giovinezza. Lo scrivevo proprio il giorno prima dell’attentato di Monaco sulle pagine di questo giornale: in gioco non c’è solo la partita militare e politica dello scontro con i terroristi e il loro esercito. In gioco c’è un appello disperato che proviene dalle nuove generazioni e che dobbiamo ascoltare e tradurre culturalmente: dare senso, dare avvenire, dare prospettive alla vita dei nostri figli è il vero antidoto ad ogni forma di violenza.

Il mix fatale di crisi economica, terrorismo e psicopatologia si può trattare solo rafforzando la nostra identità europea. Una volta Sartre scrisse che furono i nazisti, durante la loro occupazione della Francia, a far conoscere ai francesi il vero senso della libertà. Si può dire oggi lo stesso del terrorismo? Sarà questa l’occasione per farci assumere davvero, senza incertezze e tentennamenti, gli Stati Uniti d’Europa come il nostro destino più proprio?


La Repubblica – 24 luglio 2016

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