Una società, che
alimenta abnormi speranze di successo e di consumo, crea anche
precoci falliti carichi di frustrazioni e di odio verso chiunque
anche di sfuggita presenti un'immagine di "normalità" e di riuscita.
Qui l'ideologia politica o religiosa non c'entra, anche se può
essere rivendicata. I fatti di Monaco dimostrano quanto in fretta
l'Europa si sia americanizzata, anche nella produzione di vere e
proprie patologie sociali.
Massimo Recalcati
Il terrorismo degli
psicopatici
Era evidente che gli
ultimi due attentati — quello del Tir a Nizza e quello del giovane
armato di ascia in Germania — ci obbligavano ad uno scenario del
terrore più articolato di come appariva all’indomani degli
attentati di Parigi e Bruxelles. Era assolutamente evidente che un
altro protagonista si stava aggiungendo a quello già conosciuto,
tetro e feroce, dell’Is e dei suoi “martiri” fanatici. Questo
nuovo protagonista ha un nome e cognome. È la follia, il passaggio
all’atto chiaramente psicotico, la psicopatologia di coloro che
hanno compiuto gli ultimi attentati.
Ancora una volta
l’Occidente si trova confrontato al problema della marginalità
sociale che caratterizza il profilo degli ultimi attentatori e che,
respinta dagli identikit sociologici dei professionisti del terrore
(giovani inseriti, universitari, borghesi, ecc), ci ritorna addosso
come un flash che non possiamo più ignorare. Allo stesso modo la
giovane età di questi assassini non può non segnalare un’altra
grave emergenza: come ridare senso alla vita dei nostri figli, come
ridare loro futuro, speranza, avvenire, fiducia, lavoro?
L’apparizione dell’allucinazione psicotica sulla scenario della
lotta contro il terrorismo non deve ridurre ovviamente il fenomeno
dell’Is ad un fenomeno psicopatologico, ma indubbiamente lo dilata,
lo espande e lo insinua nelle pieghe più precarie della nostra vita
sociale.
La dichiarazione di
guerra dell’Is all’Occidente ha creato cioè un contraccolpo: il
gesto estremo del terrorista contagia, diviene un modello, genera
emulazione, si moltiplica coinvolgendo anche coloro che non
appartengono a quella ideologia politico-religiosa. Sono giovani,
disperati e psicotici. Conosciamo bene la psicologia delle masse che
sottintende questo effetto domino: se quello che pareva impossibile —
ammazzare brutalmente vite sconosciute colpevoli solo di vivere più
felicemente di noi — diviene non solo possibile, ma si carica
altresì di significati ideali, offre a giovani disadattati e senza
prospettive, fragili e, almeno negli ultimi tre casi, pare
francamente psicotici, l’occasione di dare un senso alla propria
vita.
Il gesto che genera
terrore può rendere infatti una vita anonima, una vita che viene
finalmente nominata, ricordata, promossa agli onori della cronaca,
capace di incidere il suo nome nella storia. In questo modo delle
esistenze che si percepiscono prive di senso, superflue, messe ai
margini dalla società, fallite, incapaci di affermarsi, provano
allucinatoriamente a dare un senso alla loro vita.
Sentendosi vittime del
sistema che le rifiuta colpiscono deliberatamente quel sistema come
accade alla vittima di bullismo — tale si definisce in modo
sconcertante il giovane assassino di Monaco -, che, come in un sogno
ad occhi aperti, può colpire con un’arma da fuoco i suoi coetanei
selezionandoli tra la folla anonima di un centro commerciale,
vendicando in questo modo folle tutti i torti subiti.
La magia nera dello
specchio sequestra la mente — lo psicotico, come la massa,
affermava Wilfred Bion, è «privo di mente e privo di pensiero»
— e sospinge irresistibilmente verso il passaggio all’atto. L’Is
ha offerto, dunque, l’occasione per la detonazione psicotica di una
violenza radicale che è assolutamente pre-religiosa e
pre-ideologica.
I suoi vertici non
possono che, solo in seconda battuta, strumentalizzare politicamente
questa detonazione rivendicando come propri militanti giovani che, in
realtà, non appartengono a nessuno se non al loro delirio. In questo
modo i terroristi rafforzano, spesso con l’aiuto involontario dei
media, la loro immagine militare e il loro potere. Bisogna invece
mantenersi lucidi distinguendo le azioni militari dai passaggi
all’atto psicotici per non amplificare certi eventi e, soprattutto,
per non assumere provvedimenti che, seminando ulteriore panico, fanno
solo il gioco dell’Is che vuole rendere le nostre viti invivibili.
Non bisogna poi
dimenticare il grande tema della giovinezza. Lo scrivevo proprio il
giorno prima dell’attentato di Monaco sulle pagine di questo
giornale: in gioco non c’è solo la partita militare e politica
dello scontro con i terroristi e il loro esercito. In gioco c’è un
appello disperato che proviene dalle nuove generazioni e che dobbiamo
ascoltare e tradurre culturalmente: dare senso, dare avvenire, dare
prospettive alla vita dei nostri figli è il vero antidoto ad ogni
forma di violenza.
Il mix fatale di crisi
economica, terrorismo e psicopatologia si può trattare solo
rafforzando la nostra identità europea. Una volta Sartre scrisse che
furono i nazisti, durante la loro occupazione della Francia, a far
conoscere ai francesi il vero senso della libertà. Si può dire oggi
lo stesso del terrorismo? Sarà questa l’occasione per farci
assumere davvero, senza incertezze e tentennamenti, gli Stati Uniti
d’Europa come il nostro destino più proprio?
La Repubblica – 24
luglio 2016
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