La mappa concettuale della tesina di Maria Grazia Di Sclafani
“Carissima mamma, non ti
vorrei ripetere ciò che ti ho spesso scritto per rassicurarti sulle mie
condizioni fisiche e morali. Vorrei, per essere proprio tranquillo, che tu non
ti spaventassi o ti turbassi troppo qualunque condanna siano per darmi. Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione.”
Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, Einaudi
Dalla lettera alla madre del 10 maggio 1928
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MARIA CHIARA DI SCLAFANI "MATURA" CON GRAMSCI
MARIA CHIARA DI SCLAFANI "MATURA" CON GRAMSCI
Le
tesine che si presentano agli esami di maturità, a parte qualche rara eccezione,
non sono una cosa seria. Nella maggior parte dei casi non sono altro che un
esercizio retorico utile solo a conquistare qualche punto in più nella valutazione
finale.
Il
caso di cui mi piace parlare oggi rappresenta un’ eccezione: Maria Chiara Di Sclafani è una ragazza seria che, dopo avere seguito con
amore i suoi studi superiori al Liceo Classico di Corleone, ammessa all’esame
di Stato con una media superiore all’8, ieri è stata ufficialmente proclamata “matura”,
con un voto più basso di quello che meritava.
Maria Chiara ha studiato con
passione e profitto tutte le materie comprese nel suo corso di studi. Ma ha
particolarmente amato quelle che una volta si chiamavano “ umane lettere”.
Anche per questo non si è limitata a leggere i libri di testo, cosicchè una
delle sue letture, non previste dal programma ministeriale, è diventata il perno
attorno a cui ha ruotato la sua originale tesina di cui pubblico la breve
introduzione e la “mappa concettuale”. (fv)
Dalla tesina di MARIA CHIARA DI SCLAFANI
(V L Liceo Classico di Corleone)
Prima di leggere Antonio Gramsci (1891-1937) ho
conosciuto, sin da piccola, la figura di Enrico Berlinguer, attraverso i
discorsi di mio nonno; successivamente, avendo acquisito una certa maturità,
ho cominciato a studiare meglio la storia del Partito Comunista Italiano, imbattendomi presto con la figura straordinaria di Gramsci.
Per
comprendere meglio il suo carattere, il suo carisma, nonché il suo pensiero, ho cominciato a leggere le sue bellissime “LETTERE DAL CARCERE”. Un’opera che può considerarsi la sua autobiografia.
Gramsci, prima di essere eletto come
rappresentante del nascente PCI, è stato un giovane socialista, grande difensore degli operai, considerati dei "produttori", proma ancora che dei salariati. Nel primo dopoguerra, a Torino, si fa promotore dei “Consigli di Fabbrica” per
sostenere gli operai che avevano occupato le fabbriche metallurgiche torinesi. Redattore principale de “L’Ordine Nuovo”, Rassegna Settimanale di cultura socialista e, successivamente, dopo la rottura con il Partito Socialista, fondatore,
insieme a Bordiga, del PARTITO COMUNISTA d’ ITALIA, nato a Livorno il 21
Gennaio 1921.
In questo lavoro ho deciso di concentrarmi nell'esame della Lettera alla madre, di cui cito un brano in epigrafe, perché tra tutte
quelle che ho letto, a mio parere, è quella dove meglio risalta il carattere determinato
e coraggioso dell’uomo. E, in un tempo come il nostro, dove prevalgono le persone prive di ideali, l'esempio di Gramsci dovrebbe essere tenuto in maggiore considerazione. Gramsci, nel corso della sua breve vita, è stato sempre fedele alle sue idee, che
maturerà anche nel periodo di prigionia tanto da scrivere i Quaderni
(pubblicati postumi). Egli è stato una fonte inesauribile di intelligenza, di razionalità
ma anche di passione e amore per la vita. Leggendo le sue lettere mi sono
accorta che in ogni sua azione, vi era consapevolezza, anche in quella più
banale.
·
Trovo
una profonda analogia tra la sua vita e quella di Dante Alighieri. Quest'ultimo ha vissuto nel 1300 a
Firenze, città di grande rinomanza, sede della cultura e motore dei cambiamenti
socio-politici laddove erano prevalsi i Guelfi i quali, a loro volta, si
dividevano in due fazioni: Guelfi neri e bianchi. Dante, in particolare aveva
aderito, nel 1295, ai guelfi bianchi, più moderati rispetto agli estremisti di
parte nera. I bianchi lottavano per l’autonomia fiorentina, al contrario, i
neri appoggiavano le mire espansionistiche del Papa Bonifacio VIII. Quest’ultimo, non
a caso, sarà la causa della disgrazia di Dante e così egli, a seguito di una sorta di "colpo di stato", viene condannato all’esilio.
Facendo
le dovute differenze tra tempo e contesto storico, ritrovo proprio
in una epistola del fiorentino una profonda affinità e analogia tra il coraggio del toscano e quello del sardo. (Maria Chiara Di Sclafani)
Nella sua tesina Maria Chiara propone altri confronti, come si evince dalla Mappa che illustra questo post che in questo spazio non riprendiamo. (fv)
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