Umberto Terracini
Amedeo Bordiga
Poco
più di novant'anni fa, tra il maggio e il giugno dei 1928, presso il Tribunale
Speciale istituito dal regime fascista per giudicare gli oppositori, si svolse
il processo - illegittimo secondo gli stessi principi dello Statuto Albertino
allora ancor in vigore - ai dirigenti del Partito Comunista d'Italia. Gli
imputati, compresi 5 latitanti, erano 22. Tra di essi Amedeo Bordiga,Antonio
Gramsci, Umberto Terracini, Camilla Ravera, Palmiro Togliatti, ma gli ultimi
due erano latitanti. Riporto qui le dichiarazioni finali di Terracini che,
essendo Avvocato, prese la parola a nome di tutti gli imputati.
Giugno
1928. Il Tribunale Speciale
processa i comunisti.
Le dichiarazioni finali di
Umberto Terracini, secondo il verbale del Processo.
Infine il 4 giugno, prima che il
Tribunale si ritiri in Camera di Consiglio, hanno la parola gli accusati. Per
tutti, si leva Terracini.
TERRACINI: «Quale fosse stata la
nostra posizione nell'organizzazione del partito ciascuno di noi ha detto nella
propria deposizione. Né le nostre parole sono state minimamente modificate
dalle varie testimonianze di polizia comodamente trincerate dietro il principio
di irresponsabilità, altrimenti detto "segreto d'ufficio", e secondo
le quali tutti noi, senza eccezioni, saremmo stati capi di partito. E d'altronde,
se anche ciò fosse vero?».
PRESIDENTE: «Bene, bene, ne prendo
atto».
TERRACINI: «Ottimamente, signor
Presidente, ma prenda atto anche di quanto dirò ora. Mi ricordo che posso
fregiarmi del titolo di avvocato e voglio fare sfoggio di giurisprudenza. Oh,
non della vecchia giurisprudenza delle vecchie sentenze emanate sotto i vecchi
regimi, ma della giurisprudenza nuovissima quale balza dai giudicati di
tribunali già ispirati ai nuovi principi di etica e di politica. Ecco: vi è una
sentenza emanata, or non è molto, da un tribunale posto assai più in alto di
questo...».
PRESIDENTE : « Come ? Come ? ».
TERRACINI: «... da un tribunale che,
a differenza di questo, è un tribunale costituzionale...».
PRESIDENTE : «Badate a ciò che
dite».
TERRACINI: «Signor Presidente, ella
non può che essere d'accordo con me, poiché parlo del Senato costituito in Alta
Corte di Giustizia, cioè della magistratura somma fra tutte la cui esistenza e
funzionamento sono previsti e stabiliti dalla stessa Costituzione dello Stato.
Orbene, in codesta sentenza, che il Governo volle fosse larghissimamente
diffusa a conoscenza e ad ammonimento di tutti i cittadini, è detto che nessun
capo o dirigente di partito o di altra organizzazione può essere tenuto
penalmente responsabile di atti commessi da soci o da seguaci dei partiti o
delle organizzazioni in questione, quando non ne possa venire provata
concretamente la reità. Il tribunale ha certamente compreso: mi riferisco alla
sentenza della Commissione istruttoria presso l'Alta Corte di Giustizia nel
procedimento contro il generale Luigi De Bono, accusato di complicità
nell'omicidio dell'onorevole Matteotti ed assolto per insufficienza di prove.
Ora io chiedo: è valida per noi questa giurisprudenza? Il Pubblico Accusatore
nella requisitoria ha implicitamente sostenuto di no. E, in quanto a me, io non
ho alcun dubbio su quello che sarà il responso del tribunale. Eppure anche
dinanzi a queste previsioni, previsioni di accettazione integrale delle
richieste del Pubblico Accusatore, previsioni di massimo di pena, io non posso
celare un certo qual intimo compiacimento. Né vi è da stupirsene. Infatti, se
prendiamo codeste conclusioni, che furono sino adesso formulate soltanto in
linguaggio giuridico, e le traduciamo in linguaggio politico, qual è il
significato che ne balza?».
PRESIDENTE : «Lasciate stare la
politica ed attenetevi alla materia della causa».
TERRACINI: «Signor Presidente, io
chiedo di poter almeno sul finire di questo processo che trova la sua origine e
la sua ragione d'essere esclusivamente in cause e necessità di ordine politico,
io chiedo di potere, sia pure un solo momento, fare quello che per sei giorni
ci è stato proibito: parlare politicamente. Io dicevo: quale è il significato
politico delle conclusioni del Pubblico Accusatore? Nient'altro che questo: che
il fatto puro e semplice della esistenza del Partito Comunista è sufficiente,
di per se stesso, a porre in pericolo grave e imminente il regime. Oh, eccolo
dunque lo Stato forte, lo Stato difeso, lo Stato totalitario, lo Stato
armatissimo! Esso si sente minacciato nella sua solidità; di più, nella sua
sicurezza, solo perché di fronte a lui si leva questo piccolo partito,
disprezzato, colpito e perseguitato, che ha visto i migliori fra i suoi
militanti uccisi o imprigionati, obbligato a sprofondarsi nel segreto per
salvare i
suoi legami con la massa lavoratrice
per la quale e con la quale vive e lotta. Vi è da meravigliarsi se io dichiaro
di fare mie, integralmente, queste conclusioni del Pubblico Accusatore?».
PRESIDENTE : «Adesso basta su questo
argomento. Avete altro da dire?».
TERRACINI: «Avrei finito se non mi
sentissi impegnato a seguire il Pubblico Accusatore sul terreno delle
previsioni. Non di quelle sentimentali, però, sulle quali egli si è soffermato,
nelle quali mi è troppo facile avere contro di lui la vittoria. Non la gioia e
il plauso, accoglieranno la nostra condanna ma la tristezza e il dolore, io ne
sono certo. Ma è una previsione politica, ancora una volta signor Presidente,
quella che io faccio: noi saremo condannati perché riconosciuti colpevoli di
eccitamento all'odio fra le classi sociali e di atti incitanti alla guerra
civile. Ebbene, non vi sarà alcuno, domani, che leggendo l'elenco pauroso delle
nostre condanne non si convinca che questo processo e il verdetto che sta per
concluderlo siano essi stessi un episodio di guerra civile, un possente
eccitamento all'odio fra le classi sociali. (Il presidente lo interrompe.
Vorrebbe togliergli la parola). Ma ciò non può dirsi, nevvero? Allora io voglio
concludere con un pensiero più gaio. Signor Presidente, signori giudici, questo
dibattimento è stato davvero la più caratteristica e degna commemorazione
dell'ottantesimo anniversario dello Statuto, che voi ieri fra salve di cannoni
e squilli di fanfare avete solennizzato per le vie di questa capitale».
(Interruzione definitiva del
presidente).
Nessun commento:
Posta un commento