Anna Vasta
Prosa e pensiero della poesia e della vita di
Anna Vasta
L’ultimo libro di Anna Vasta, “La prova del bianco” (Le farfalle ed., 2015), densa raccolta di pensieri, aforismi, poemes-en-prose, nel mare magnum della poesia e della letteratura di questi nostri (dis)informatissimi tempi, presenta un carattere di unicità da sottolineare. Con un exergo da Manlio Sgalambro, questi testi, per le vie casualmente miracolose del pensiero e della creazione artistica, fanno in qualche modo sistema sulla poesia, sulla vita, sul legame/conflitto tra l’una e l’altra, secondo un naturale approdo morale. “Naturale” perché la tensione morale non si fa mai predica moralistica e il pensiero non si fa mai gabbia ideologica. E la parola, la parola della poesia e della letteratura, come parte integrante della vita e delle sue vicende (“Non si legge per distrarsi, ma per concentrarsi” … “Gli uomini apprendono di sé dalla letteratura”), come pensiero capace di riflessione su male, bene, morte, idea di Dio, Natura, cui l’umano inevitabilmente viene a incontrarsi. Poesia che si fa, inestricabilmente, pensiero e vita, oltre che pensiero sulla vita e sull’esistenza. Fra gli amori letterari dell’autrice, traspaiono nette figure come Holderlin e Leopardi, e pensatori come Schopenauer. E il bianco, coraggiosamente minimalista, del titolo del libro, pronto ad aprire alle infinite possibilità della scrittura (e.d.l.).
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Alcuni testi da LA PROVA DEL BIANCO:
Finché morte non vi separi! Non è la morte a separare, ma la vita.
Ogni ricerca poetica è un ritorno a un luogo che è anche un tempo d’origine.
Una poesia che graviti attorno a un luogo e lo assuma come fonte di emozioni, di immagini, di pensieri, non ha niente di localistico. In un’ideale geografia dello spirito il luogo diventa metafora, figura di allusività e significanze non soggettive.
Al luogo dell’infanzia che è luogo di poesia è possibile tornare soltanto nella consapevolezza della sua perdita. Ma anche nella maturata convinzione della sua trasformazione in un topos di originaria innocenza.
Se la morte è lo scandalo della vita, il non senso supremo, resta comunque la sola ineluttabile certezza nella precarietà del nostro stare al mondo.
La forza della poesia è nella sua inattualità.
Inattuale e asincrono è il tempo della poesia. Tempo del sogno e della visione, tempo di recupero e di salvezza, che si avvita su se stesso, sottraendosi alle insidie di quello esistenziale. Ma è nello scarto tra il tempo oggettivo e quello interiore che la poesia recupera detriti e macerie della contemporaneità.
Della poesia si potrebbe dire ciò che Kafka nelle “Lettere a Milena” dice dell’amore: amore è il fatto che tu sei per me il coltello con cui frugo dentro me stesso. La lama che affonda nella realtà e nello stesso tempo la mano che risana. Ma non guarisce. Non ristabilisce l’equilibrio infranto, o solo per qualche istante, per poi di nuovo ferire.
La poesia s’insinua nel cono d’ombra del reale. Come lampo improvviso lacera l’oscurità per portare alla luce altra oscurità.
Il caos della morte non è il perdere le persone care, ma l’essere noi perduti per loro.
Non si legge per distrarsi, ma per concentrarsi. Senza la letteratura, senza le tracce di vita che gli scrittori disseminano nelle loro opere, il vivere sarebbe materia inerte, bruta, un fardello greve. Sarebbe quindi la letteratura in virtù della sua consapevolezza a dare un senso a ciò che non ne ha, a far luce nel buio degli eventi, quasi a giustificarne l’accadere?
Gli uomini apprendono di sé dalla letteratura. Nei personaggi, nelle vicende, negli accadimenti che rappresenta si riconoscono, si scoprono e da essi imparano a vivere.
Fare scrittura di ogni esperienza, di ogni vissuto, a maggior ragione se di dolore e infelicità, e non per trovare consolazione nella pagina scritta, ma perché l’assurdo quotidiano non prenda il sopravvento, e riduca tutto in cenere. Perché il disordine universale si ricomponga in una forma, e nel rigor mortis della letteratura possa trovare una sua ragione d’essere. Una sorta di pacificazione.
La poesia ha molto della preghiera.
Uomini contro sono i poeti, impegnati in una lotta all’ultimo respiro contro l’irrealtà. E la poesia l’ultimo avamposto contro il nulla.
Sulla vita attiva. È nella sfera della politica che gli uomini si danno in una dimensione di autenticità, di difformità dal pensiero unico e dalle opinioni dominanti. È nell’agire politico, o meglio nella politica condivisione dell’agire che sperimentano l’irriducibile unicità del loro essere individui, non specie.
Il poeta è un predatore. In primis della propria vita.
Articolo ripreso da https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2018/07/26/di-poesia-e-poesia-della-prosa-di-anna-vasta/
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