Ritorna “L'Unico e
la sua proprietà” di Max Stirner. Generazioni di anarchici si sono
formati sulle sue pagine.
Il ritorno di Stirner,
ribelle prima di Nietzsche
Può sembrare un paradosso che colui che ha esaltato l’Egoista, l’interesse personale senza limiti né leggi, abbia vissuto la sua vita come un miserabile. La nuova edizione del classico dell’anarchismo individualista, L’Unico e la sua proprietà, scritto da Max Stirner nel 1845, pubblicata da Bompiani con testo tedesco a fronte (ben tradotto da Sossio Giametta ma purtroppo minato da molti refusi), permette di ripercorrere la vicenda di un filosofo maledetto, fonte d’ispirazione per Black Bloc e insurrezionalisti di varia risma.
Personaggio misterioso,
di lui esiste solo un ritratto tratteggiato da Friedrich Engels dopo
la sua morte. Lo raffigura come il tipico intellettuale con gli
occhialini tondi e l’immancabile sigaretta da cui esce il fumo a
forma di punto interrogativo. Ma Stirner non era un topo da
biblioteca. Restio ad ogni regola e costrizione, dopo gli studi
intraprende una breve carriera di insegnante in un istituto privato
berlinese.
La sua attività
didattica si interrompe bruscamente dopo la pubblicazione de L’Unico
che causa subito scandalo nei circoli intellettuali dell’epoca,
egemonizzati dagli hegeliani di destra e di sinistra. E non deve
stupire visto che il primo capitolo s’intitola, significativamente
«Io ho fondato la mia causa sul nulla». In questa voluminosa
disanima della società ottocentesca, non priva di sarcasmo, butta a
mare Dio, Stato, società e financo l’umanità, considerata da lui
una vuota chimera.
Scrive: «Io, egoista, non ho a cuore il bene
di questa ‘società umana’, non le sacrifico niente, me ne servo
soltanto».
Gli onesti e i moralisti
gli fanno ribrezzo. Gli illuministi lo disgustano: «I nostri atei
sono gente devota». La democrazia è un obbrobrio per l’egoista:
«Che me ne importa a me di quello che vale per il popolo?». Dalle
rovine del vecchio mondo borghese si erge «L’Unico», «la mia
potenza», «Il godimento di me stesso», a fare da apripista al
superuomo nietzchiano.
Il libro viene considerato talmente
radicale nelle sue tesi, così assurdo, che i rigidi censori
prussiani non ritengono opportuno sequestralo. Ai dirigenti della sua
scuola però non sfuggono le conseguenze dirompenti del suo discorso
e viene licenziato in tronco.
Ridotto all’indigenza,
Stirner tenta di aprire una latteria, ma il negozio fallisce ancor
prima di aprire. Inseguito dai debitori, costretto a vivere in una
stamberga, finisce due volte in prigione per insolvenza. Negli ultimi
anni sbarca il lunario come rappresentante di commercio. Muore a 50
anni per la puntura di un insetto.
Questa la fine dell’Unico
che rifiutò sempre di essere ingabbiato, addomesticato in schemi
ideologici. È facile immaginarselo, questo filosofo solitario, che
guarda con disprezzo i rivoluzionari che nei moti del ’48 pensano
di poter migliorare la società, rendere il mondo migliore e più
giusto.
La Stampa – 30 giugno
2018
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