28 maggio 2020

I CAN'T BREATHE! (Non riesco a respirare)




“I can’t breathe!” (NON RIESCO A RESPIRARE) 

È morto così George Floyd, 46 anni, nero, afroamericano, sdraiato pancia a terra, il collo schiacciato dal ginocchio di un poliziotto di Minneapolis (Minnesota), il sangue che gli cola dal naso. "Non uccidetemi" dice. Quando arriva la barella e viene caricato sull'ambulanza, George non si muove più, è già troppo tardi. La sua colpa? Una banconota da 20 dollari falsa.
“I can’t breathe!” Non riesco a respirare.
Sono le stesse, identiche, parole che aveva pronunciato sei anni fa, a New York, Eric Garner, anche lui nero, anche lui afroamericano, anche lui morto soffocato mentre veniva arrestato con l'accusa di vendere sigarette contraffatte. Causa ufficiale di morte: arresto cardiaco.
A distanza di sei anni non c'è ancora un colpevole per la morte di Garner.
Non c'è - e probabilmente non ci sarà mai - un colpevole neanche per George Floyd.
Non c'è mai stato per Michael Brown, il ragazzo ucciso a Ferguson a colpi di pistola, e per una lista infinita di nomi morti ammazzati per strada, senza processo, né alcuna giustizia.

Questa, anche questa, è l'America, la terra dei diritti. I diritti di qualcuno e non di tutti. Un luogo dove, se sei nero, se sei povero, un agente può toglierti la vita in pieno giorno, davanti a tutti, senza neppure essere incriminato. Dove essere afroamericano è una sentenza di morte.
Che quest'immagine vi resti nella memoria!
Che questo nome, George Floyd, non sia dimenticato.
Che questa frase diventi una pietra d’inciampo dell’umanità.
“I can’t breathe” Non riesco a respirare.

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