Tutti sanno quanto è difficile e rischioso dire la verità. Ancor più difficile scriverla. Tra i pochi che ci hanno provato a farlo, io ricordo sempre, con particolare simpatia, B. Brecht. (fv)
Cinque
difficoltà per chi scrive la verità
di Bertolt
Brecht
Chi ai nostri giorni voglia combattere la
menzogna e l'ignoranza e scrivere la verità, deve superare almeno cinque
difficoltà. Deve avere il coraggio di scrivere la verità,
benché essa venga ovunque soffocata; l'accortezza di
riconoscerla, benché venga ovunque travisata; l'arte di
renderla maneggevole come un'arma; l'avvedutezza di saper scegliere
coloro nelle cui mani essa diventa efficace; l'astuzia di
divulgarla fra questi ultimi. Tali difficoltà sono grandi per coloro che
scrivono sotto il fascismo, ma esistono anche per coloro che sono stati
cacciati o sono fuggiti, anzi addirittura per coloro che scrivono nei paesi
della libertà borghese.
1. Il coraggio di
scrivere la verità.
Sembra cosa ovvia che colui che scrive
scriva la verità, vale a dire che non la soffochi o la taccia e non dica cose
non vere. Che non si pieghi dinanzi ai potenti e non inganni i deboli. Certo, è
assai difficile non piegarsi dinanzi ai potenti ed è assai vantaggioso
ingannare i deboli. Dispiacere ai possidenti significa rinunciare al possesso.
Rinunciare ad essere pagati per il lavoro prestato può voler dire rinunciare al
lavoro e rifiutare la fama presso i potenti significa spesso rinunciare a ogni
fama. Per farlo, ci vuole coraggio. Le epoche di massima oppressione sono quasi
sempre epoche in cui si discorre molto di cose grandi ed elevate. In epoche
simili ci vuole coraggio per parlare di cose basse e meschine come il vitto e
l'alloggio dei lavoratori, mentre tutt'intorno si va strepitando che ciò che
più conta è lo spirito di sacrificio. Quando i contadini vengono ricoperti di
onori, è prova di coraggio parlare di macchine e foraggi a buon prezzo, capaci
di agevolare quel loro lavoro tanto onorato. Quando tutte le radio vanno
gridando che un uomo privo di sapere e d'istruzione è meglio di un uomo
istruito, è prova di coraggio domandare: meglio per chi? Quando si discorre di
razze superiori e inferiori, è prova di coraggio chiedere se non siano la fame
e l'ignoranza e la guerra a produrre certe deformità. Così pure ci vuole
coraggio per dire la verità sul conto di se stesso, di se stesso, il vinto.
Molti di coloro che vengono perseguitati perdono la capacità di riconoscere i
propri difetti. La persecuzione appare loro, come la più grave delle
ingiustizie. I persecutori, dato che perseguitano, sono i malvagi, mentre loro,
i perseguitati, vengono perseguitati per la loro bontà. Ma questa bontà è stata
battuta, vinta, inceppata e doveva quindi trattarsi di una bontà debole; di una
bontà difettosa, inconsistente, su cui non si poteva fare affidamento; giacché
non è lecito ammettere che alla bontà sia congenita la debolezza così come si
ammette che la pioggia debba per definizione essere bagnata. Per dire
che i buoni sono stati vinti non perché erano buoni, ma perché erano deboli, ci
vuole coraggio. Naturalmente la verità bisogna scriverla in lotta
contro la menzogna e non si può trattare di una verità generica, elevata,
ambigua. Di tale specie, cioè generica, elevata, ambigua, è proprio la
menzogna. Se a proposito di qualcuno si dice che ha detto la verità, vuol dire
che prima di lui alcuni o parecchi o uno solo hanno detto qualcos'altro, una
menzogna o cose generiche; lui invece ha detto la verità, cioè qualcosa di
pratico, di concreto, di irrefutabile, proprio quella cosa di cui si trattava.
Poco coraggio invece ci vuole per
lamentarsi della malvagità del mondo e del trionfo della brutalità in genere e
per agitare la minaccia che lo spirito finirà col trionfare, quando chi scrive
si trovi in una parte del mondo in cui ciò è ancora permesso. Molti assumono
l'atteggiamento di uno che stia sotto il tiro dei cannoni, mentre sono
semplicemente sotto il tiro dei binocoli da teatro. Vanno gridando le loro
generiche rivendicazioni in un mondo amico della gente innocua. Chiedono
genericamente una giustizia per la quale non hanno mai mosso un dito e chiedono
genericamente la libertà, quella di ottenere una parte del bottino che già da
gran tempo è stato spartito con loro. Considerano verità solo ciò che ha un bel
suono. Se la verità ha a che fare con cifre, con fatti, se è cosa arida, che
per essere trovata richiede sforzo e studio, allora non è una verità che faccia
per loro, non ha nulla che li possa inebriare. Solo esteriormente hanno
l'atteggiamento di chi dice la verità. Con loro il guaio è che non
conoscono la verità.
2. L'accortezza di
riconoscere la verità.
Poiché è difficile scrivere la verità,
dato che ovunque essa viene soffocata, i più pensano che scrivere o non
scrivere la verità sia una questione di carattere. Credono che basti il
coraggio. E dimenticano la seconda difficoltà, cioè quella di trovare la
verità. Nessuno potrà mai dire che trovare la verità sia cosa facile.
Prima di tutto non è affatto facile
rendersi conto quale verità valga la pena di esser detta.
Oggi, per esempio, i grandi stati civilizzati vanno sprofondando l'uno dopo
l'altro nell'estrema barbarie davanti agli occhi del mondo intero. È inoltre
noto a chiunque che la guerra interna, condotta coi mezzi più spietati, può
trasformarsi da un giorno all'altro in una guerra esterna che forse ridurrà il
nostro continente a un ammasso di rovine. Questa senza dubbio è una verità, ma
naturalmente ce ne sono anche altre. Così per esempio è perfettamente vero che
le sedie servano per sedersi e che la pioggia cada dall'alto verso il basso.
Molti poeti scrivono verità di questo tipo. Sono simili a pittori che ricoprano
di nature morte le pareti di una nave che sta affondando. Per loro la nostra
prima difficoltà non esiste, eppure si sentono la coscienza tranquilla. Senza
lasciarsi turbare dai potenti, ma altrettanto imperturbabili alle grida delle
vittime della violenza, essi continuano a ripassare il pennello sulle loro
immagini. L'assurdità del loro modo di comportarsi genera in loro stessi un
pessimismo che essi smerciano a buon prezzo e che, a dire il vero, sarebbe più
giustificato negli altri di fronte a tali maestri e a tale smercio. E, bisogna
dire, non è nemmeno facile riconoscere che le loro sono verità del genere di
quelle sulle sedie e sulla pioggia: di solito hanno un suono ben diverso, come
se fossero verità che riguardano cose importanti. Infatti la creazione
artistica consiste proprio nel conferire importanza a una cosa.
Solo a guardare con molta attenzione ci
si rende conto che essi altro non dicono se non che e che .
Codesta gente non è capace di trovare una
verità che valga la pena di scrivere. Altri invece si occupano realmente dei
compiti più urgenti, non temono i potenti né la povertà e nondimeno non sono in
grado di trovare la verità. Mancano loro le nozioni necessarie. Sono pieni di
vecchie superstizioni, di pregiudizi famosi, la cui felice formulazione risale
spesso ai tempi più antichi. Per loro, il mondo è troppo complicato, non
conoscono i dati di fatto e non vedono le connessioni. Oltre ai principi
occorrono delle nozioni che si possono acquisire e dei metodi che si possono
imparare. Tutti coloro che scrivono nella nostra epoca di rapporti complicati e
di grandi mutamenti debbono conoscere il materialismo dialettico, l'economia e
la storia. Sono nozioni che si possono acquisire mediante i libri e
l'insegnamento pratico, quando non faccia difetto la necessaria applicazione.
Parecchie verità, parti di verità e situazioni di fatto che portano a
rintracciare la verità si possono scoprire in modo più semplice. Quando si ha
intenzione di cercare, è bene avere un metodo, ma si può trovare anche senza metodo
e persino senza cercare. In questa maniera casuale è certo però assai difficile
che si riesca a rappresentare la verità in modo tale che gli uomini, grazie a
questa rappresentazione, sappiano come devono agire. La gente che annota solo i
piccoli dati di fatto non è in grado di rendere maneggevoli le cose di questo
mondo. Questo però e nessun altro è lo scopo della verità. Quella gente non è
all'altezza di scrivere la verità.
Quando uno è pronto a scrivere la verità
e capace di riconoscerla, gli restano ancora tre difficoltà da superare.
3. L'arte di rendere
la verità maneggevole come un'arma.
La verità deve essere detta per trarne
determinate conclusioni circa il proprio comportamento. Quale esempio di una
verità da cui non si possono trarre conclusioni, o soltanto conclusioni
sbagliate, ci può servire l'opinione largamente diffusa secondo la quale le
condizioni deplorevoli in cui versano certi paesi derivano dalla barbarie. Tale
opinione vede nel fascismo un'ondata di barbarie che si è abbattuta su certi
paesi come una catastrofe naturale.
Secondo tale opinione il fascismo sarebbe
una nuova terza forza accanto al capitalismo e al socialismo (e al di sopra di
essi); secondo essa, non solo il movimento socialista ma anche il capitalismo
avrebbe potuto continuare ad esistere senza il fascismo, ecc. Questa
naturalmente è una affermazione fascista, una capitolazione dinanzi al
fascismo. Il fascismo è una fase storica in cui è entrato il capitalismo, si
tratta quindi di un qualcosa di nuovo, e di vecchio allo stesso tempo. Nei
paesi fascisti il capitalismo non esiste se non come fascismo e il fascismo
non può essere combattuto se non come capitalismo, come la forma più nuda, più
sfacciata, più oppressiva e ingannevole di capitalismo.
Come è possibile che uno pretenda di dire
la verità sul fascismo - del quale è avversario - se pretende di non dire
niente contro il capitalismo che lo genera?
Come è possibile che la sua verità
risulti praticamente applicabile?
Coloro che sono contro il fascismo senza
essere contro il capitalismo, che si lamentano della barbarie che proviene
dalla barbarie, sono simili a gente che voglia mangiare la sua parte di vitello
senza però che il vitello venga scannato. Vogliono mangiare il vitello, ma il
sangue non lo vogliono vedere. Per soddisfarli basta che il macellaio si lavi
le mani prima di servire la carne in tavola. Non sono contro i rapporti di
proprietà che generano la barbarie, ma soltanto contro la barbarie. Alzano la
voce contro la barbarie e lo fanno in paesi in cui esistono bensì gli stessi
rapporti di proprietà, ma i macellai si lavano ancora le mani prima di servire
la carne in tavola.
Le sonanti accuse contro certi
provvedimenti barbarici possono avere efficacia per breve tempo, finché coloro
che le odono siano convinti che nei loro paesi provvedimenti del genere non
siano possibili. Certi paesi sono ancora in grado di mantenere i loro rapporti
di proprietà con mezzi meno brutali che non altri. La democrazia rende loro
ancora quei servigi per i quali gli altri sono costretti a far ricorso alla
violenza; garantisce cioè la proprietà dei mezzi di produzione. Il monopolio
sulle fabbriche, le miniere, le terre genera ovunque condizioni barbariche;
tuttavia qui esse sono meno evidenti. La barbarie diviene evidente non appena
per proteggere il monopolio si rende necessario far ricorso alla violenza
aperta.
Alcuni paesi che non sono ancora
costretti, per salvaguardare questi barbari monopoli, a rinunciare anche alle
garanzie formali dello stato di diritto e a cose piacevoli come l'arte, la
filosofia, la letteratura, prestano ascolto con particolare compiacimento ai
loro ospiti che accusano la propria patria di aver rinunciato a tali cose
piacevoli, dato che ciò può tornar loro utile nelle guerre che si prevedono. Si
può forse dire che abbiano riconosciuto la verità coloro che, per esempio,
vanno richiedendo a gran voce una lotta spietata contro la Germania ? È
piuttosto il caso di dire che si tratta di gente stolta, impotente e nociva.
Infatti la conclusione da trarre da tali vaniloqui sarebbe che bisogna
distruggere la Germania. L'intero paese con tutti i suoi abitanti poiché i gas,
quando uccidono, non stanno a scegliere i colpevoli.
La persona superficiale che non conosce
la verità si esprime in termini generici, elevati e imprecisi. Va cianciando
tedeschi, va lamentandosi male e chi lo ascolta, nel migliore dei casi, non sa
che fare. Deve forse decidere di non essere più tedesco? E forse che l'inferno
sparirebbe purché lui fosse buono? Anche i discorsi sulla barbarie generata
dalla barbarie sono della medesima lega. A sentirli, la barbarie proviene dalla
barbarie e sparisce con la civiltà che proviene dall'istruzione. Tutto ciò
viene espresso in termini assolutamente generici, non in vista di conclusioni
da trarne per l'azione e in fondo non è rivolto a nessuno in particolare.
Un simile modo di raffigurare le cose
mette in luce solo pochi anelli della catena causale e presenta certe forze
motrici come forze incontrollabili. Un simile modo di raffigurare le cose
contiene in sé molti lati oscuri i quali nascondono le forze che stanno
preparando le catastrofi.
Basta un po' di luce perché si veda che
all'origine delle catastrofi ci sono degli uomini! Infatti noi viviamo in
un'epoca in cui il destino dell'uomo è l'uomo.
Il fascismo non è una catastrofe naturale
la cui chiave si possa rinvenire semplicemente nella «natura» dell'uomo. Ma
persino nel caso di catastrofi naturali si possono raffigurare le cose in
maniera degna dell'uomo, facendo cioè appello alla sua energia combattiva.
Dopo un grande terremoto che distrusse
Yokohama, in molte riviste americane si potevano vedere delle fotografie che
mostravano una distesa di macerie. Sotto c'era scritto (l'acciaio è rimasto in
piedi) e in effetti chi alla prima occhiata non aveva visto altro che rovine
ora, reso più attento dalla didascalia, notava alcuni alti edifici che erano
rimasti in piedi. Tra tutte le possibili maniere di parlare di un terremoto, la
più importante è senza confronto quella degli ingegneri che, tenendo conto
degli spostamenti del terreno, della violenza delle scosse e del calore che si
sviluppa ecc., aprono la via a nuove costruzioni antisismiche. Chi vuole
descrivere il fascismo e la guerra, grandi catastrofi che non sono catastrofi
naturali, deve costruire una verità suscettibile di essere tradotta in pratica.
Deve dimostrare che si tratta di catastrofi a danno delle enormi masse di
coloro che lavorano senza possedere mezzi di produzione propri, provocate dai
proprietari di tali mezzi di produzione.
Quando si vuole scrivere efficacemente la
verità su certe condizioni deplorevoli, bisogna scriverla in modo che se ne
possano riconoscere le cause evitabili. Quando le cause evitabili vengono
riconosciute, le condizioni deplorevoli si possono combattere.
4. L'avvedutezza di
saper scegliere coloro nelle cui mani la verità diventa efficace.
Grazie alle secolari consuetudini che,
sul mercato delle opinioni e delle descrizioni, hanno regolato il commercio
degli scritti, grazie cioè al fatto che lo scrittore veniva liberato da ogni
preoccupazione circa le sorti dei suoi scritti, lo scrittore si è fatto l'idea
che il suo cliente o committente, il mediatore, provvedesse a mettere i suoi
scritti a disposizione di tutti. Pensava: io parlo e chi vuole sentirmi mi
sente. In realtà, egli parlava e chi poteva pagare lo sentiva. Le sue parole
non erano udite da tutti e chi le udiva non voleva udirle tutte. Questo è un
punto di cui si è parlato molto, anche se sempre troppo poco; qui voglio solo
mettere in rilievo che lo «scrivere per qualcuno» si mutò
semplicemente in «scrivere» . Ma la verità non si può semplicemente scriverla e
basta; è indispensabile scriverla per qualcuno che possa
servirsene. La conoscenza della verità è un processo comune a chi scrive e a
chi legge. Per dire delle cose buone bisogna sapere ascoltare bene e udire cose
buone. La verità deve essere detta con calcolo, e deve essere udita con
calcolo. E per noi che scriviamo è importante sapere a chi la diciamo e chi ce
la dice.
La verità su certe condizioni deplorevoli
dobbiamo dirla a coloro che di queste condizioni più soffrono e da loro
dobbiamo apprenderla. Non basta parlare a coloro che hanno una data opinione;
bisogna parlare a coloro ai quali, data la loro situazione, tale opinione può
convenire. E il vostro uditorio muta di continuo! Persino ai carnefici è
possibile parlare, quando per impiccare non ricevono più il salario o quando la
loro professione si fa troppo pericolosa. I contadini bavaresi erano contrari a
ogni rivoluzione, ma dopo che la guerra fu durata abbastanza a lungo e dopo che
i loro figli, tornando a casa, non trovarono più posto nelle fattorie, allora
fu possibile conquistarli alla rivoluzione.
Importante per quelli che scrivono è
trovare il tono giusto per dire la verità. Quello che comunemente si ode è un tono
molto mite e lamentoso, il tono di chi non sarebbe capace di far male a una
mosca. Chi lo ode e si trova in miseria non può che diventare ancora più
miserabile. Così parlano, uomini che forse non sono nemici ma certo non sono
dei compagni di lotta. La verità è combattiva, non solo combatte la menzogna,
ma anche quelle determinate persone che la divulgano.
5. L'astuzia di
divulgare la verità fra molti.
Vi sono molti che, fieri di avere il
coraggio di dire la verità, felici di averla trovata, stanchi forse della
fatica che costa il ridurla a una forma maneggevole, impazienti di vederne
entrare in possesso coloro i cui interessi essi vanno difendendo, non ritengono
più necessario usare una particolare astuzia per divulgarla. In tal modo tutto
il frutto della loro fatica va spesso in fumo. In tutti i tempi, quando la
verità veniva soffocata e travisata, si è fatto ricorso all'astuzia per
divulgarla. Confucio falsificò un vecchio e patriottico almanacco storico. Si
limitò a cambiare certe parole. Dove era scritto: «Il sovrano di Kun fece
uccidere il filosofo Wan oerché aveva detto questo e quello» , Confucio, invece
di «uccidere», metteva «assassinare» . Se c'era scritto che il tiranno tal dei
tali era rimasto vittima di un attentato, egli metteva che «era stato
giustiziato». Con ciò Confucio aprì la strada a un nuovo modo di giudicare la
storia.
Chi al giorno d'oggi dice «popolazione» invece
di «popolo» e «proprietà fondiaria» invece di «suolo» già
così evita di dar credito a parecchie menzogne. Infatti spoglia le parole del
loro marcio misticismo. La parola «popolo» indica una certa unità e allude a
interessi comuni; la si dovrebbe quindi usare soltanto quando si parla di
diversi popoli, poiché tutt'al più in questo caso è concepibile una comunanza
di interessi. La popolazione di un dato territorio ha interessi diversi, anche
contrastanti, e questa è una verità che si vuole soffocare. Così anche chi dice
«suolo» e rende percepibili al naso e agli occhi i campi che descrive e parla
del loro odore di terra e del loro colore, favorisce le menzogne dei potenti;
giacché ciò che conta non è la fertilità del terreno e nemmeno l'amore e la
cura che l'uomo gli porta, ciò che più conta è il prezzo del grano e del
lavoro. Quelli che traggono il loro utile dalla terra non sono gli stessi che
ne traggono il grano e l'odore di zolla che emana dai campi è ignoto alle
Borse. Esse hanno tutt'altro odore. «Proprietà fondiaria» è invece il
termine giusto; con esso è meno facile imbrogliare. Là dove regna
l'oppressione, la parola disciplina dovrebbe essere sostituita
dalla parola ubbidienza, perché la disciplina è possibile
anche senza i potenti e per questo ha in sé qualcosa di più nobile che non
l'ubbidienza. E meglio della parola onore è
l'espressione dignità umana. Usandola è meno facile che il
singolo scompaia dal campo visivo. Si sa bene che gentaglia si fa avanti per
difendere l'onore di un popolo! E con quanta prodigalità i sazi largiscono
onori a coloro che li saziano soffrendo a loro volta la fame. L'astuzia di
Confucio può venir usata ancora oggi. A dei giudizi ingiustificati su certi
avvenimenti nazionali egli ne sostituiva altri giustificati. L'inglese Tommaso
Moro in un'utopia descrive un paese le cui condizioni di vita erano giuste -
era un paese ben diverso da quello in cui egli viveva, ma gli somigliava in
molte cose, tranne che nelle condizioni di vita!
Lenin, minacciato dalla polizia dello
zar, voleva descrivere lo sfruttamento e l'oppressione dell'isola di Sakhalin
da parte della borghesia russa. Scrisse «Giappone» in luogo di Russia e
«Corea» in luogo di Sakhalin. I sistemi della borghesia giapponese richiamavano
alla mente di ogni lettore quelli della borghesia russa a Sakhalin ma, dato che
il Giappone era nemico della Russia, lo scritto non fu proibito. Parecchie cose
che in Germania non si possono dire della Germania, sono lecite parlando
dell'Austria.
Ci sono varie
astuzie con le quali è possibile eludere la sospettosa vigilanza dello stato.
Voltaire combatté la fede clericale nei
miracoli scrivendo un poema galante sulla Pulzella d'Orléans. Egli descrisse i
miracoli che senza dubbio erano stati necessari perché, in mezzo a un esercito,
a una corte e fra dei monaci Giovanna restasse vergine.
Coll'eleganza del suo stile e descrivendo
avventure erotiche, ispirate alla lussuriosa vita dei potenti, egli induceva
costoro ad abbandonare una religione che procurava loro i mezzi per tale vita
dissoluta. Anzi, ciò gli permise di far giungere per via illegale i suoi lavori
a coloro cui erano destinati. I suoi lettori appartenenti alle classi dominanti
ne favorivano o tolleravano la diffusione, tradendo così quella polizia che
proteggeva i loro piaceri. E il grande Lucrezio dice esplicitamente di fare
grande affidamento sulla bellezza dei suoi versi per la diffusione dell'ateismo
epicureo.
L'alto livello letterario di certe prese
di posizione può effettivamente costituire per esse uno schermo. Sovente però
esso desta anche dei sospetti. Allora può essere il caso di abbassarlo
coscientemente. Ciò accade per esempio quando nella disprezzata forma del
romanzo poliziesco si introduce di contrabbando qualche descrizione di
condizioni deplorevoli in punti che non diano nell'occhio. Descrizioni del
genere sarebbero senz'altro sufficienti a giustificare un romanzo poliziesco.
Per ragioni assai meno importanti il grande Shakespeare abbassò il proprio tono
drammatico quando, volutamente, impresse una forma inefficace al discorso con
cui la madre di Coriolano affronta il figlio che sta per attaccare la sua città
natale - egli voleva che Coriolano fosse distolto dall'attuazione del suo piano
non già da argomenti validi o da una profonda emozione, bensì da una certa
inerzia che lo faceva cedere a una vecchia abitudine. In Shakespeare troviamo
anche un esempio di verità propagata con l'astuzia, nell'orazione che Antonio
tiene davanti al cadavere di Cesare. Egli non si stanca di insistere sul fatto
che l'assassino di Cesare, Bruto, è un uomo onorevole, ma nello stesso tempo
descrive l'azione che egli ha compiuto e la descrive in maniera più efficace di
quel che non faccia per il suo esecutore; l'oratore lascia così che siano i
fatti stessi a vincerlo, conferendo loro un'eloquenza maggiore che non . Un
poeta egiziano vissuto quattromila anni fa si servì di un metodo simile. Era
un'epoca di grandi lotte di classe. La classe fino allora dominante si
difendeva a fatica dal suo grande avversario, cioè da quelle parte della
popolazione che fino allora era stata asservita. Ora, nel poema, si presenta
alla corte del sovrano un savio che esorta a lottare contro i nemici interni. A
lungo, con insistenza, egli descrive il disordine causato dall'insurrezione
delle classi inferiori. La descrizione suona così:
"Non è forse così? I nobili sono
pieni di doglia e gli umili pieni di gioia. Ogni città va dicendo: scacciamo i
forti dal nostro seno.
Non è forse così? Gli uffici pubblici
vengono aperti e presi i registri; gli schiavi divengono padroni.
Non è forse così? Il figlio di un
notabile non si riconosce più; il bambino della padrona diventa il figlio della
sua schiava.
Non è forse così? Hanno messo i cittadini
alla macina. Coloro che non vedevano mai il giorno sono usciti alla luce.
Non è forse così? Le cassette di ebano
dei sacrifici vengono fatte a pezzi; del preziosissimo legno di Sesnem si fanno
lettiere.
Guardate, in un'ora la capitale è
crollata.
Guardate, i poveri del paese sono
diventati ricchi.
Guardate, chi non aveva pane, ora
possiede un granaio; le provviste del suo granaio erano proprietà di un altro.
Guardate come fa bene a un uomo mangiare
il suo pasto.
Guardate, chi non aveva un chicco di
grano ora possiede interi granai; chi chiedeva il grano in elemosina, ora lo fa
distribuire.
Guardate, chi non aveva un giogo di buoi,
possiede ora delle mandrie; chi non si poteva procurare i buoi per l'aratro, possiede
ora degli armenti.
Guardate, chi non poteva farsi una
stanza, ora possiede quattro pareti.
Guardate, i consiglieri cercano ricovero
nei fienili; chi non osava riposarsi nemmeno sui muri, ora possiede un letto.
Guardate, chi non poteva costruirsi una
barca, ora possiede delle navi; se il proprietario va per vederle, esse non
sono più sue.
Guardate, coloro che possedevano abiti,
ora vanno coperti di cenci; chi non tesseva per sé, ora ha del lino finissimo.
Il ricco va a dormire assetato; chi prima
chiedeva la feccia del suo bicchiere, ora possiede della birra forte.
Guardate, chi non s'intendeva di musica,
ora possiede un'arpa; colui per il quale non si cantava, ora apprezza la
musica.
Guardate, chi era tanto povero da dover
dormire da solo, ora trova delle gran dame; colei che mirava il suo viso
nell'acqua, ora possiede uno specchio.
Guardate, i maggiorenti del paese vanno
in giro e non trovano niente da fare. Ai grandi non si portano più messaggi.
Chi prima li portava, ora manda un altro...
Guardate, ecco cinque uomini mandati dai
loto padroni. Essi dicono: ora camminate voi, noi siamo arrivati."
Evidentemente questa descrizione ci
presenta un disordine che agli oppressi deve apparire molto desiderabile. Ma
sarebbe difficile farne colpa al poeta. La sua condanna di quel disordine è
esplicita, anche se mal condotta...
In un libello Jonathan Swift propose, per
portare il benessere nel paese, di mettere in salamoia i bambini dei poveri e
venderli come carne. Fece dei calcoli esatti che dimostravano quanto si possa
risparmiare purché si lasci da parte ogni scrupolo.
Swift faceva il finto tonto. Difendeva
con molto zelo e precisione una certa mentalità che detestava e lo faceva a
proposito di una questione in cui l'infamia di quella mentalità doveva risultare
chiara a chiunque. Chiunque poteva essere più intelligente di Swift, o almeno
più umano, soprattutto chi fino ad allora non aveva badato alle conseguenze che
derivano da certe opinioni.
La propaganda perché la gente ragioni, in
qualsiasi campo la si faccia, è sempre utile alla causa degli oppressi. Questa propaganda è altamente necessaria.
Sotto i governi che servono gli sfruttatori, il ragionare è considerato cosa
bassa e volgare.
Si giudica basso e volgare ciò che è
utile a quelli che sono tenuti in basso. Si giudica bassa e volgare la continua
ansia di riuscire a saziarsi; il disprezzo per gli onori che vengono fatti
balenare davanti agli occhi di colui che dovrebbe difendere il paese in cui
soffre la fame; i dubbi nei riguardi di un condottiero che conduce alla rovina;
l'avversione per il lavoro che non nutre chi lo compie; il ribellarsi quando
viene imposta una condotta insensata; il disinteresse per la famiglia cui
l'interesse non servirebbe più a nulla. Quelli che hanno fame vengono insultati
per la loro ingordigia, quelli che non hanno niente da difendere per la loro
codardia, quelli che dubitano del loro oppressore per i loro dubbi sulla
propria forza, quelli che vogliono farsi pagare il lavoro che fanno per la loro
pigrizia, ecc. Sotto simili governi il ragionare è considerato in genere cosa
bassa e volgare e viene screditato. Non si insegna più a pensare e il pensiero
viene perseguitato ovunque si manifesti. Ciò nonostante ci sono sempre dei
campi in cui è possibile additare senza pericoli i successi del pensiero; sono
quei campi in cui le dittature hanno bisogno di esso. Per esempio è possibile
mostrare i successi del pensiero nel campo della scienza militare e della
tecnica. Anche per rimediare, grazie all'organizzazione e all'invenzione di
surrogati, all'insufficienza delle riserve di lana è necessario il pensiero. Il
peggioramento dei generi alimentari, l'addestramento dei giovani per la guerra,
sono tutte cose che richiedono l'uso del pensiero: e questa è una cosa che è
possibile descrivere. Si può invece astutamente evitare l'elogio della guerra,
dello sconsiderato scopo di tanto sforzo cerebrale; così il ragionamento
derivante dalla domanda può portare a domandarsi e si può applicare alla
domanda
Naturalmente è ben difficile porre
pubblicamente una simile domanda. Non è dunque possibile sfruttare il pensiero
che si è propagato, renderlo cioè efficace? Sì che è possibile.
Perché in un'epoca come la nostra
continui ad essere possibile l'oppressione che permette a una parte della
popolazione (la meno numerosa) di sfruttare l'altra (la più numerosa), è
indispensabile da parte della popolazione un ben preciso atteggiamento di fondo
che investa tutti i campi. Una scoperta nel campo della zoologia come quella
dell'inglese Darwin poteva da un momento all'altro mutarsi in un pericolo per
gli sfruttatori; tuttavia per un certo tempo fu solo la chiesa a
preoccuparsene, mentre la polizia non si accorgeva di niente. In questi ultimi
anni le ricerche dei fisici hanno portato a certe conclusioni nel campo della logica
che senza dubbio potrebbero rappresentare un pericolo per tutta una serie di
dogmi utili all'oppressione. Hegel, il filosofo dello stato prussiano, occupato
in ardue indagini nel campo della logica, ha fornito a Marx e a Lenin, i
classici della rivoluzione proletaria, metodi di inestimabile valore. Lo
sviluppo delle diverse scienze avviene in maniera organica ma non uniforme e lo
stato non è in grado di tenere d'occhio ogni cosa. I pionieri della verità
possono scegliere posti di combattimento che passano relativamente inosservati.
L'unica cosa che conta è che si insegni un modo giusto di ragionare, un modo di
ragionare che in ogni cosa e in ogni avvenimento ricerchi il lato transitorio e
mutevole. I potenti nutrono una forte ostilità nei riguardi dei grandi
mutamenti. Vorrebbero che tutto restasse com'è, possibilmente per mille anni.
La cosa migliore sarebbe che la luna si fermasse, che il sole non girasse più!
Allora a nessuno verrebbe fame e nessuno pretenderebbe di cenare la sera. Dopo
che hanno sparato loro, il nemico non dovrebbe più avere il diritto di sparare,
vorrebbero che il loro colpo fosse l'ultimo. Considerare le cose mettendo in
particolare rilievo il loro lato transitorio è un buon sistema per rianimare
gli oppressi. Mostrare che in ogni cosa, in ogni condizione, sorge e si
sviluppa una contraddizione: anche questo è un fatto che bisogna opporre ai
vincitori. Un simile modo di ragionare (cioè la dialettica e la dottrina del
flusso delle cose) si può adottare per settori di ricerca che per qualche tempo
sfuggono ai potenti. Lo si può applicare alla biologia o alla chimica. Ma anche
descrivendo il destino di una famiglia ci si può esercitare ad applicarlo senza
dar troppo nell'occhio. La dipendenza di ogni cosa da molte altre che mutano di
continuo è un pensiero, pericoloso per le dittature e lo si può presentare in
molti modi senza offrire appigli alla polizia. Una descrizione completa di
tutte le circostanze, di tutte le procedure in cui si trova coinvolto un uomo
che apra una tabaccheria può rappresentare un serio colpo contro la dittatura.
Basta che uno ci rifletta un poco per capire il perché. I governi che conducono
le masse umane alla miseria devono evitare che nella miseria si pensi ai
governi. Parlano molto del destino. Il destino - non già i governi - è
responsabile dell'indigenza. Chi tenta di scoprire le cause dell'indigenza
viene arrestato prima che si imbatta nel governo. Tuttavia è possibile opporsi
in termini generali ai discorsi sul destino; si può dimostrare che chi fa il destino
dell'uomo sono gli uomini.
Anche a questo si può arrivare in diversi
modi. Per esempio, si può raccontare la storia di una fattoria, mettiamo una
fattoria di contadini islandesi. Tutto il paese va dicendo che sulla fattoria
pesa una maledizione. Una contadina si è buttata nel pozzo, un contadino si è
impiccato. Un bel giorno si conclude un matrimonio, il figlio del contadino
sposa una ragazza che porta in dote alcuni campi. E la maledizione sparisce. Il
villaggio non è concorde nel giudicare questa svolta felice. Gli uni
l'attribuiscono all'eccellente carattere del giovane contadino, gli altri ai
campi che la ragazza ha portato in dote e che hanno permesso al podere di
cominciare a fruttare. Ma persino in una poesia che descrive un paesaggio si
può raggiungere qualche risultato, e precisamente nel caso che nella natura si
incorporino le cose create dall'uomo.
Per diffondere la verità ci vuole
astuzia.
Riepilogo.
La grande verità della nostra epoca (che
non è sufficiente limitarsi a riconoscere, ma senza la quale non è possibile
scoprire nessun'altra verità importante) è questa: il nostro continente sta
sprofondando nella barbarie perché i rapporti di proprietà dei mezzi di
produzione vengono mantenuti con la violenza. A che cosa servirebbe uno scritto
coraggioso dal quale risulti la barbarie delle condizioni nelle quali stiamo
per cadere (il che in sé è verissimo), se poi non risultasse chiara la ragione
per cui veniamo a trovarci in queste condizioni? Dobbiamo dire che degli uomini
vengono torturati perché i rapporti di proprietà rimangano immutati. Certo, se
lo diciamo, perderemo molti amici che sono contrari alla tortura perché credono
che i rapporti di proprietà si possano mantenere anche senza di essa (il che
non è vero).
Dobbiamo dire la verità in merito alle
barbare condizioni del nostro paese, dobbiamo dire che è possibile fare ciò che
è sufficiente a farle sparire, e cioè qualcosa che modifichi i rapporti di
proprietà.
Dobbiamo dirla inoltre a coloro che di
questi rapporti di proprietà soffrono più di tutti, che hanno il maggiore
interesse a cambiarli, ai lavoratori e a coloro che possiamo trasformare in
loro alleati perché in realtà non partecipano nemmeno loro alla proprietà dei
mezzi di produzione, anche se partecipano ai guadagni.
E per quinta cosa dobbiamo procedere con
astuzia.
E queste cinque difficoltà dobbiamo
risolverle tutte contemporaneamente perché non possiamo ricercare la verità
sulla barbarie di certe condizioni senza pensare a coloro che soffrono di
questo stato di cose; e mentre - combattendo costantemente ogni impulso di
viltà - cerchiamo di scoprire le vere connessioni, mirando a coloro che sono
pronti a utilizzare la loro conoscenza, dobbiamo anche pensare a porger loro la
verità in modo tale che divenga un'arma nelle loro mani e al tempo stesso con
tanta astuzia che il nemico non si accorga che gliela porgiamo e non possa
impedirlo.
Tutto ciò viene richiesto allo scrittore,
quando gli si chiede di scrivere la verità.
1935.
(da B. Brecht, Scritti sulla
letteratura e sull'arte, Einaudi, Torino 1973)
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