"L'artista non può rimanere sordo al richiamo della verità poiché è unicamente questa che determina la sua volontà creatrice, che la organizza. Solo in questo caso egli è in grado di trasmettere la sua fede all'altro. L'artista che non ha fede assomiglia a un pittore cieco dalla nascita...il tema matura dentro di lui come un frutto e comincia a richiedere di essere espresso. E' come un parto... Perciò non c'è di che inorgoglirsi: egli non è padrone della situazione, è un servo. La creazione è per lui l'unica forma di esistenza possibile e ogni sua opera equivale a un gesto che egli non può fare a meno di compiere...Lo scopo dell'arte consiste nel preparare l'uomo alla morte, nell'arare e nel rendere soffice la sua anima in modo che sia atta a rivolgersi al bene.
Quello che mi interessa è l'uomo, nel quale è racchiuso l'Universo; per esprimere l'idea, il senso della vita umana, non è assolutamente necessario costruire una trama di avvenimenti a sostegno di quest'idea. Parlando dell'attrazione che esercita su di me la debolezza umana, alludo all'assenza di un'espansione esteriore della personalità, all'assenza di aggressività verso gli altri e la vita nel suo complesso, all'assenza del desiderio di sottomettere l'altro e utilizzarlo per realizzare i propri intenti allo scopo di affermare se stessi.
Ritengo che il mio dovere consista nello spingere a riflettere su ciò che di specificamente umano ed eterno viva nell'anima di ciascuno. Ma questo elemento eterno e fondamentale, il più delle volte, viene ignorato dall'uomo; sebbene il destino sia nelle sue mani, rincorre fantasmi. Eppure, in ultima analisi, si riduce tutto a questa semplice particella elementare, l'unica su cui l'uomo possa basare la sua esistenza: la capacità di amare. Tale particella può crescere nell'anima di ciascuno fino a costituire l'impostazione centrale della vita, dare un senso alla vita umana. Ritengo che il mio dovere consista nel far sì che l'uomo avverta in sé l'esigenza di amare, di donare il proprio amore, che senta il richiamo del bello nel vedere i miei film.
Quando parlo dell’aspirazione al bello e affermo che l’ideale è lo scopo dell’arte e che è dalla nostalgia dell’ideale che essa nasce, non intendo assolutamente sostenere che essa debba rifuggire dal ‘fango’. Al contrario! L’immagine artistica è sempre un’allegoria, ossia la sostituzione di una cosa con un’altra. Del più grande col più piccolo. Narrando di ciò che è vivo l’artista opera con ciò che è morto; parlando dell’infinito, propone il finito. Si tratta di una sostituzione! Non si può materializzare l’infinito, si può soltanto creare l’illusione di esso, la sua immagine.
L’orribile è sempre racchiuso nello stupendo, così come lo stupendo è racchiuso nell’orribile. La vita è compenetrata dal lievito di questa contraddizione grandiosa fino all'assurdo, che nell’arte si presenta in una unità contemporaneamente armonica e drammatica.
Mi sono sempre piaciute le persone che non riescono ad adattarsi alla realtà in senso pragmatico. Nei miei film non ci sono mai stati eroi, solo uomini forti grazie alla propria convinzione spirituale che si fanno carico degli altri. Le persone di questo genere assomigliano sovente a bambini forniti del pathos di un adulto, tanto irrealistica e disinteressata è la loro impostazione secondo il buonsenso.
Le opere d’arte, a differenza dalle speculazioni scientifiche, non perseguono alcuna finalità pratica quanto al loro significato materiale. L’arte è un metalinguaggio per mezzo del quale gli uomini tentano di entrare in contatto l’uno con l’altro: di comunicare informazioni su se stessi e di far propria l’esperienza altrui. Ma, di nuovo, non in vista di un vantaggio pratico, ma in nome della realizzazione dell’idea di amore, e il significato dell’amore è racchiuso nel sacrificio che contraddice il pragmatismo. Io non riesco assolutamente a credere che l’artista sia capace di creare mosso soltanto dal desiderio di autoespressione. L’autoespressione senza la comprensione reciproca non ha senso. L’autoespressione in nome della realizzazione del collegamento spirituale con gli altri è tormentosa, svantaggiosa e, in ultima analisi, conduce al sacrificio di se stessi. Vale forse la pena di affaticarsi per udire la propria eco?"
Andrej Tarkovskij, da Scolpire il tempo - Traduzione di V. Nadai
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