UN INEDITO RITRATTO DI GRAMSCI SARDO
di Attilio Gatto
Il 27 aprile
1937 moriva a Roma Antonio Gramsci, colpito da emorragia cerebrale dopo 10 anni
di carcere fascista. A noi resta l’eredità di un politico, di un intellettuale
che appare ancora oggi uno dei grandi pensatori italiani, tra i più originali
del Novecento.
Io m’immagino Antonio Gramsci di nuovo tra di
noi, passeggiare per le sue strade di Ales, Ghilarza, Santulussurgiu, Cagliari,
Torino, Roma. “Uno spettro”, fatto “della stessa sostanza dei sogni”, che percorre
– con passo agile e deciso – gli scenari d’Italia e d’Europa. Davanti ai suoi
occhi indagatori lo spettacolo non nuovo di una sinistra confusa, in difficoltà, che stenta a frequentare alcune invenzioni
linguistiche e culturali senza età. Come l’egemonia, che invita ad avventurarsi
lungo sentieri tortuosi e non ancora esplorati. Che illumina con i suoi
scritti, capaci ancora di liberare idee, intuizioni, di suggerire progetti,
visioni. E’ una sinistra che oggi tenta il cambio di passo per una società più
giusta, in un mondo in cui rispunta la guerra come risoluzione delle
controversie. Viviamo in un secolo difficile, in un piano inclinato
paurosamente verso la decadenza.
Enrico Berlinguer, a Cagliari, nel 1977,
ricordando Gramsci a 40 anni dalla morte, disse che lui è sempre con noi:
”Gramsci è con voi che lottate, con voi operai e contadini che lottate in ogni
parte della Sardegna. Gramsci è con voi
giovani, studenti intellettuali che volete la redenzione e il riscatto della
Sardegna, una Italia nuova e giusta, un mondo unito, senza più guerre e
oppressione.
E Gramsci parla ancora oggi a tutti gli
intellettuali, a tutti i democratici, a tutte le forze di progresso che
emergono e si affermano nella società italiana. L’esempio di Gramsci ci esorta
tutti a combattere, a non disarmare, a costruire il nuovo.”
Volevano impedire al suo cervello di funzionare,
dietro le sbarre del carcere fascista e fortunatamente non ci riuscirono. Ma,
se ci fossero riusciti, Gramsci sarebbe stato comunque un protagonista del nostro
Novecento. E se avesse trovato spazio in altro campo? Se sul politico geniale
avesse prevalso il prodigioso critico teatrale?
Eccolo Nino, nel 1908. Ha 17 anni. Vive col
fratello Gennaro e frequenta il liceo Dettori. Cagliari è una città ancora
scossa dai moti contro il carovita del 1906. È culturalmente vivace, ci sono
due teatri, il Civico e il Politeama Regina Margherita. E lui – cito dalla
biografia di Giuseppe Fiori – è “studente scapigliato”,
“loggionista tumultuoso”. Divertito, irriverente, incurante del giudizio dei
benpensanti, di quelli che si piegano al vento del senso comune, si descrive
così: ”Per la mia splendida criniera, che mi ondeggia ad ogni soffio, mi hanno preso per una ragazza e si sono meravigliati che
una donna facesse tanto chiasso in un teatro, perché vedevano solo la testa e
una mano che faceva un sonoro pennacchio. Io non me la sono presa a male, anzi
ho ringraziato dell’attenzione che mi usavano.”
Sembra il ritratto di un un poeta futurista che,
dalla platea, contesta i confezionatori di drammi insinceri, di intrecci con
personaggi di cartapesta. Così come a Torino, la città della scelta marxista,
dalle pagine de l’Avanti! riserverà corsivi fulminanti, al vetriolo, agli
autori del teatro borghese, digestivo, in cui il pubblico sonnecchiante ama
rispecchiarsi. E presterà attenzione per primo alla poetica rivoluzionaria di
Pirandello e dei grotteschi, quelli che rovesciano le commedie zeppe di falsa
coscienza. Un linguaggio assolutamente nuovo, che s’innerva sul Secolo Breve
(da Sergio Tofano a Carmelo Bene, da Petrolini a Troisi) per arrivare ad oggi,
a chi ancora cerca di orientarsi su tragitti sconosciuti. Senza dimenticare
Nino Gramsci, quello “studente scapigliato”, quel “loggionista tumultuoso”.
Quel ragazzo come tanti, inquieto, curioso del mondo, affamato di libri e teatro, che ancora non sapeva cosa avrebbe
fatto da grande.
ATTILIO GATTO
Nessun commento:
Posta un commento