16 aprile 2023

SPENGLER e FURIO JESI SUL TRAMONTO DELL'OCCIDENTE

 


La Fondazione Feltrinelli ripropone l’Introduzione scritta da Furio Jesi per l’edizione Longanesi 1978 de Il tramonto dell’occidente di Oswald Spengler, con interventi su Jesi interprete di Spengler (di Enrico Manera) e sulle letture dell’opera del pensatore tedesco (di David Bidussa). Pubblichiamo parte dell’intervento di Manera per gentile concessione dell’editore, (mc)]


FURIO JESI E IL TRAMONTO DELL'OCCIDENTE

di Enrico Manera

Gli ingranaggi della “morfologia della storia” di Spengler*


All’interno di una attivissima officina culturale – che ha prodotto una eredità con cui continuiamo a confrontarci – nel 1978 con il gruppo di lavoro palermitano composto da Margherita Cottone e Rita Calabrese Conte, il mitologo e e germanista torinese Furio Jesi dà alle stampe una nuova edizione de Il tramonto dell’occidente[1] di Oswald Spengler: un classico del pensiero politico di destra, di cui viene proposta una lucida decostruzione e una attenta problematizzazione. Il monumentale ed epocale testo è introdotto da un brillante saggio, ora riproposto; le successive edizioni della medesima traduzione de Il tramonto sarebbero infatti state sostituite da una nuova introduzione di Stefano Zecchi, intonata valorizzazione della «difesa della propria tradizione culturale» e del «significato mitico» e «simbolico» del mondo, che sembra marcare il cambio di clima nella stagione culturale che inizia con gli anni ottanta del Novecento[2]. […] L’opera di Spengler era già da tempo un classico della cultura di destra, benché sia sintomatico come proprio il suo libro più famoso e iconico – centrato sull’idea di un pessimismo culturale e di una decadenza inarrestabile tale da invocare una risposta politica basata sulla forza – arrivi in traduzione italiana nella forma completa molto tardi: la prima edizione tedesca, in due volumi, è infatti uscita tra il 1918 e il 1923. L’edizione italiana Longanesi del 1957 era da tempo ormai introvabile al momento della ristampa del 1978, ed è in ogni caso un testo molto lungo e complesso (che nella riedizione Guanda del 1991 consta di quasi 1500 pagine). Cottone scrive che «l’interesse per Spengler e per le sue opere non è mai stato un fatto di cultura, nel senso di conoscenza oggettiva di qualunque espressione del reale in qualsiasi forma esso si manifesti, bensì espressione di una “determinata cultura” e quindi fittizio strumento attraverso cui rendere operante ancora una volta “quel retaggio dei nostri padri che abbiamo nel sangue: idee senza parole”»[3]. Spengler sembra cioè essere prima di tutto un autore-simbolo, un riferimento identitario da citare e esibire: l’espressione spengleriana «idee senza parole» è nell’analisi proposta da Jesi la formula-chiave che caratterizza il vocabolario della cultura di destra, fatto da parole tali da comunicare in modo mitico, a partire dall’enunciazione e dalla grafica, un di più di valore simbolico e capaci di evocare “Verità” che si vogliono eterne, preziose e a tratti iniziatiche, in cui il passato possa essere la promessa di un futuro. Si tratta di una forma verbale dell’azione, del gesto e del rito che per Jesi indica il «linguaggio letterario adatto a “idee senza parole”, cioè fatto di parole tanto spiritualizzate, tanto lontane dal “materialismo”» tipico della destra tradizionale, fascista e neofascista, «creato dentro la cultura borghese» e «pronto all’uso»[4]: una «trama di luoghi comuni, stereotipi, frasi fatte, formule che paiono chiare ma che non richiedono di essere capite, che anzi sembrano chiare proprio perché non devono essere capite: riducendo le parole a ciò che sarebbe già in noi prima di tutte le parole»[5].

Questo snodo teorico è centrale in Cultura di destra (1979)[6], libro che contiene saggi editi tra il 1975 e 1978 e che è oggi forse il lavoro più noto di Jesi, nel quale sono messi in luce diversi aspetti del mondo mentale della destra, a partire dalle sue diverse manifestazioni (destra tradizionale, fascista e neofascista): la sua analisi si concentra su cosa definisca il paesaggio mentale della destra da un punto di vista qualitativo e comunicativo a partire dai suoi materiali testuali e visuali. In una genealogia di lungo periodo, per Jesi il modo di interpretare il mondo da destra è difficilmente separabile dalla cultura classica, umanistica e borghese e da una matrice conservatrice ed eurocentrica che dai Lumi al Romanticismo si è trasformata radicalizzandosi dalla fine dell’Ottocento al Novecento in connessione con le trasformazioni sociali della Rivoluzione industriale e della Guerra dei trent’anni del XX secolo. La cultura di destra così intesa si situa all’incrocio di correnti che si trasmettono in modo irriflesso nel linguaggio e nell’immaginario, si realizza in culture dogmatiche e autoritarie, si riflette nella produzione degli intellettuali e dei partiti come nei dispositivi legislativi statuali e si riflette nei canoni e nel monumentalismo, nel luogo comune e nelle rappresentazioni sociali di largo consumo. Parole, simboli, immagini sono strumenti per fare cose, determinare azioni collettive e siglare appartenenze: in estrema sintesi, creare identità e comunità[7]. […]

La ricostruzione di Jesi colloca l’opera di Spengler all’interno di una “malattia” dell’interpretazione storica che ha intaccato lo spirito tedesco tra Ottocento e Novecento[8]: si focalizza su figure  di artisti e intellettuali che hanno elaborato e reso disponibile un immaginario politico e ne mette in luce componenti ideologiche e pratiche devozionali attraverso le quali questi si sono autorappresentati come «“Erlöser” (redentori) della storia, quali depositari di qualità profetiche»[9], in continuità con la produzione ideologica di partiti e governi di destra che a quelle si ispirano. Nei suoi saggi, prestando attenzione a momenti e ambienti caratterizzati dalla religio mortis e dal mito del mito[10], dalla cultura illuministica e romantica alla Monaco della Reggenza e ad alcuni protagonisti degli incontri di Eranos[11], Jesi ha indagato correnti della storia delle idee con un livello di profondità e radicalità che incrocia la filosofia politica e che, ponendosi il problema degli “sfondi irrazionali della razionalità”, ha inteso ampliare i confini della religionistica e dell’estetica in quel territorio della storia delle idee che è anche una «scienza di come ci si sbaglia» e una «scienza di ciò che non c’è»[12]. La sua analisi fa emergere l’idea della profezia come tratto di lungo periodo della «vicenda “mistica” […] dell’iniziazione della cultura europea, nel XIX e nel XX secolo, ad un rapporto configurabile in termini di scienza con il mito e la mitologia, dunque con il presunto motore immobile della macchina mitologica e con i prodotti di tale macchina»[13].

 

(da: Furio Jesi, Una grandiosa profezia. Il tramonto dell’Occidente di Spengler, a cura di D. Bidussa e Enrico Manera, Fondazione Feltrinelli, Milano 2023)

 

*           Desidero ringraziare Margherita Cottone, Giulio Schiavoni e David Bidussa per il confronto sul testo, i materiali d’archivio e la memoria.

[1]           O. Spengler, Il tramonto dell’occidente, a cura di R. Calabrese, M. Cottone e F. Jesi, Longanesi, Milano 1978.

[2]           S. Zecchi, Introduzione, in O. Spengler, Il tramonto dell’occidente, Milano, Guanda, Parma 1991, pp.  XI-XXVIII. Cfr. A. Gnoli, Fu vero tramonto?, in «La Repubblica», 29 dicembre 1991, p. 30.

[3]           M. Cottone, Recezione di Spengler in Italia, in O. Spengler, Il tramonto dell’occidente, Longanesi, Milano 1978, p. XL. La citazione interna viene da O. Spengler, Anni decisivi, Bompiani, Milano 1934, p. 4.

[4]           F. Jesi, Cultura di destra, Nottetempo, Roma 2011, p. 24-25.             [4]

[5]           A. Cavalletti, Prefazione, in F. Jesi, Cultura di destra, cit., p. 11.

[6]           La prima edizione di Cultura di destra è quella Garzanti, Milano 1979 (rist. 1993).

[7]           Cfr. E. Manera, Un linguaggio di “idee senza parole”, in «Doppiozero», 2 novembre 2019, https://www.doppiozero.com/cultura-di-destra-di-furio-jesi; Id., Mito e religione politica, in G. De Luna, Fascismo e storia d’Italia. A un secolo dalla Marcia su Roma, Feltrinelli, Milano 2022, pp. 45-68.

[8]           Cfr. F. Jesi, Rilke, Nietzsche e il nietzscheanesimo del primo 900, in «Studi germanici», XIV, 2-3, giugno-ottobre 1976, pp. 255-295.

[9]                 G. Schiavoni, Rovine della simbolica, in F. Masini e G. Schiavoni (a cura di), Risalire il Nilo, Sellerio, Palermo 1983, pp. 349-369, p. 357.

[10]          F. Jesi, Mitologie intorno all’illuminismo, Lubrina, Bergamo 1990; Id., Esoterismo e linguaggio mitologico. Studi su Rainer Maria Rilke, Quodlibet, Macerata 2002.


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