Nino Pepe al pianoforte
Nel clima rissoso che sta contrassegnando il dibattito sul referendum del prossimo 4 dicembre, sta diventando più facile insultare che ragionare. Ma noi non ci stancheremo mai di contrapporre alle grida e agli insulti il ragionamento. Così oggi pubblichiamo con piacere un ben argomentato manifesto dell'amico Nino Pepe:
PERCHÉ VOTO NO
1. Voto No perché in termini di produzione legislativa l’Italia non ha un deficit di velocità ma di qualità. I numeri dimostrano chiaramente che il Parlamento italiano approva più leggi di tutti gli altri Paesi europei ed è secondo solo alla Germania. Tra il 2008 e il 2013 il Parlamento ha licenziato la bellezza di 391 leggi. In questa legislatura, dal Jobs Act alla Buona scuola, le riforme sono tutte state scritte e approvate in tempi fulminei.
Se i problemi sono una Costituzione troppo “vecchia” e il bicameralismo paritario come mai gli Stati Uniti, che hanno una Carta scritta oltre 200 anni fa e un sistema bicamerale identico a quello italiano, non se ne sono mai accorti?
2. Voto No perché le riforme necessarie per il reale sviluppo del Paese sono quelle su una seria lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, l’esatto contrario dei condoni. Non è certo colpa della Costituzione se ogni anno l’Italia è puntualmente collocata in fondo a tutte le classifiche.
L’on. Violante, ospite da Mentana per il confronto con il prof. Montanari, ha candidamente ammesso che il problema italiano non è istituzionale ma politico. Cioè dei politici arrivisti e incapaci vogliono adattare la Costituzione ai loro vizi.
3. Voto No perché il bicameralismo paritario non viene abolito ma incasinato. Contraddittoriamente allo slogan “semplifichiamo” la riforma sostituisce gli attuali due iter parlamentari con dieci contorti meccanismi, tutti diversi tra loro che cambiano procedure e tempi a seconda della materia, tutto fuorché chiara, ingolfando così i lavori in Parlamento e creando contenziosi tra le camere. È lo stesso comma 6 dell’art. 70 a prevedere ingorghi e litigi, non configurando però alcuna soluzione perché se i presidenti di Camera e Senato non giungono ad un accordo nessuno sa come procedere. Tanto sono stati veloci da essersi dimenticati di scriverlo.
4. Voto No perché il Senato da camera alta si trasformerà in una camera delle clientele.
Nel Bundesrat tedesco, incredibilmente citato come esempio dagli stessi sostenitori della riforma, i senatori sono delegati dei Lander, hanno vincolo di mandato e sono obbligati a votare compatti. Se il Land della Bassa Sassonia si esprime a favore della legge “A”, tutti i suoi rappresentanti nel Bundesrat devono votare in quel modo. In caso di disaccordo hanno l’obbligo di astenersi. Come voteranno i colleghi italiani? Ognuno come gli pare, presumibilmente per meri interessi partitocratici o per riconoscenza verso chi li ha mandati a Roma regalando loro l’immunità parlamentare.
5. Voto No perché un Senato al quale viene riconosciuto, tra i tanti compiti, il potere di revisione costituzionale (art. 70), di elezione del presidente della Repubblica (art. 83) e di nomina di parte dei giudici della Corte costituzionale (art. 135) non può essere composto da politici nominati e liberi da qualsiasi mandato (art. 57, comma 2). Il Senato attuale si differenzia da quello della riforma sostanzialmente per la non elettività e l’impossibilità di controbilanciare lo strapotere della soverchiante Camera, governata da una minoranza. Per il resto manterrà gran parte delle attuali competenze, ma a questa parità di funzioni corrisponde, appunto, disparità di elezione.
Chi vota No sceglie di tenersi quanto di buono c’è: “I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno”. Art. 58
6. Voto No perché un testo solenne come la Costituzione dev’essere chiaro e comprensibile. Quello della riforma è ambiguo, prolisso e cavilloso come un milleproroghe: solo lo sterminato articolo 70 rinvia ad altre disposizioni per ben undici volte.
Il testo in alcuni punti è addirittura contraddittorio: i commi 2 e 5 dell’articolo 57 sono antitetici.
Questa riforma sembra una cambiale in bianco tante solo le disposizioni transitorie previste dall’art. 39, ovviamente ancora tutte da definire. Firma e stai sereno.
7. Voto No perché il risparmio diretto e accertato ammonta ad appena 57,7 milioni (Ragioneria dello Stato, cioè il governo). La riduzione dei costi è demagogica e irrilevante e non giustifica minimamente la modifica di 47 articoli della Costituzione. Un risparmio così irrisorio rischia pure di ridursi a fronte dei cospicui rimborsi spese che spetteranno ai consiglieri-senatori per le trasferte a Roma per viaggio, vitto, alloggio, portaborse, segreterie etc.
Se avete cercato invano un pezzo di carta ufficiale che documenta i 500 milioni pubblicizzati dal governo, non temete: non lo avete trovato perché semplicemente non esiste.
8. Voto No perché difronte la crescente disaffezione degli elettori verso la politica la soluzione è allargare gli strumenti partecipativi, non ridurli. Per le leggi di iniziativa popolare saranno triplicate le firme: dalle attuali 50 mila si passerà a 150 mila (art. 71, comma 3).
Per i referendum abrogativi il quorum si riduce solo se le firme raccolte da 500 mila raggiungono quota 800 mila (art. 75, comma 4). Le modalità di attuazione degli altri Istituti, come i tempi di discussione per le leggi di iniziativa popolare, sono rimandati ad un futuro non definito (art. 71, comma 4). Anche qui, firma e stai sereno.
Per effetto dei capilista bloccati previsti dall’Italicum gran parte dei deputati (il 60,8%) saranno nominati dai capi-partito. A questi si aggiungono 100 senatori, pure loro nominati. La riduzione della partecipazione dei cittadini alla vita politica è dovuta anche all’impossibilità di eleggere gran parte dei deputati e nessun senatore, né consigliere né sindaco.
Dunque a spadroneggiare in un Parlamento che rappresenta quattro gatti sarà la falsa maggioranza monocolore messa al vertice della piramide dal premio dell’Italicum.
9. Voto No perché una minoranza non può ritrovarsi al governo e legiferare senza ostacoli e limiti (“decidere velocemente”, come ammettono gli stessi promotori) in virtù di un premio di maggioranza sconsiderato affiancato da una Costituzione priva di contrappesi e garanzie (il Senato sarà escluso dal sistema fiduciario e i diritti delle minoranze non codificati – artt. 94 e 64). Negli ultimi anni abbiamo assistito inermi alla drastica riduzione della linea che separa il potere esecutivo (governo) da quello legislativo (Parlamento). La riforma spazza via quel poco che resta accentrando ulteriormente il potere nelle mani di pochi che avranno il controllo permanente dell’agenda parlamentare in forza anche dell’Istituto della decretazione d’urgenza inserito in Costituzione (art. 72, comma 7).
La storia insegna che l’eccessiva “semplificazione”, senza le dovute contromisure, produce delle storture. La fiducia in capo alla sola Camera era prevista già nello Statuto Albertino, che resse tutta l’Italia monarchica, ventennio fascista compreso. Discorso identico per il premio alla lista assegnato dall’Italicum, presente già nella legge Acerbo, altro pilastro del regime fascista.
10. Voto No perché per deliberare lo stato di guerra sarà sufficiente la maggioranza assoluta, quella eletta con l’Italicum, tra l’altro. Sarà cioè il partito al governo a decidere sulle missioni militari senza che nessuno possa opporsi (art. 78).
11. Voto No perché la riforma cancella qualsiasi forma di autonomia locale radendo al suolo il principio di decentramento previsto dall’art. 5. Un governo onnipotente non può decidere arbitrariamente calpestando ripetutamente le istituzioni territoriali. Benché, dicono i sostenitori della riforma, il Senato sarà una “camera delle autonomie”, proprio le autonomie locali scompaiono in quanto non avranno alcuna voce in capitolo in materia di infrastrutture e grandi opere (lettere v e z, comma 2, articolo 117). Quello che dovrebbe essere un “interesse nazionale” sarà invece deciso secondo l’interesse di pochi. Che si tratti di gasdotto o ponte sullo stretto, pioveranno insindacabili ordini dall’alto.
Anche per quelle poche materie ancora di competenza delle Regioni lo Stato, per mano del governo, ovvero la minoranza trasformata in maggioranza dall’Italicum, potrà comunque imporre il suo volere attraverso la clausola di supremazia (art. 117, comma 4).
12. Voto No perché la riforma non è stata concepita e scritta nell’interesse dell’Italia e di noi cittadini. A tal proposito è sufficiente leggere la relazione del governo n. 1429 presentata l’8 aprile 2014. Gli obiettivi della riforma sono “lo spostamento del baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione del processo di integrazione europea e, in particolare, l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea (da cui sono discesi, tra l’altro, l’introduzione del Semestre europeo e la riforma del patto di stabilità e crescita) e alle relative stringenti regole di bilancio (quali le nuove regole del debito e della spesa); le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale”. Riassumendo: più potere al governo e cessione di sovranità ad Istituzioni sovranazionali non democraticamente elette come l’Unione europea.
13. Voto No perché per ammissione degli stessi fautori questa è una riforma che rafforza il governo e indebolisce il Parlamento e l’accentramento dei poteri inevitabilmente intaccherà, più di quanto non avvenga già ora, i princìpi stabiliti nella prima parte. È infatti la seconda parte della Costituzione a dare attuazione ai princìpi e ai valori stabiliti nella prima.
14. Voto No perché il governo non può impossessarsi del potere costituente. Lo stesso statuto del Pd ammonisce che la Costituzione “non è alla mercè della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Partito Democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza”. Se non bastasse l’esecutivo che ha approvato questa riforma è sostenuto da una falsa maggioranza, e per giunta di nominati (sentenza 1/2014 della Consulta). Senza il premio incostituzionale del Porcellum il Pd avrebbe 180 seggi e con questi numeri la riforma non sarebbe passata. Ma neanche il truffaldino premio di maggioranza è stato sufficiente perché la riforma fosse approvata. Il governo ha adottato qualsiasi tipo di forzatura, lecita e non, per aggirare il Parlamento: ricatti; epurazioni dei dissidenti; canguri; sedute fiume.
Per meglio rendere l’idea: l’Assemblea costituente, eletta con sistema proporzionale puro, approvò la Costituzione con 458 voti favorevoli e 62 contrari.
15. Voto No perché la Costituzione non sia stravolta ma ammodernata e revisionata ponderatamente, secondo reali esigenze e per il bene del Paese, con interventi mirati e razionali che davvero producono un miglioramento, coinvolgendo tutte le forze politiche per giungere al risultato condiviso richiesto dall’art. 138. Questa riforma, nonostante diktat e ricatti, in nessuna delle sei votazioni ha ottenuto la maggioranza qualificata dei due terzi (il 66%).
Due alternative: la sfiducia costruttiva, per garantire maggiore stabilità, e una commissione di conciliazione come la conference committee statunitense, per sanare eventuali disaccordi tra le camere.
Una postilla. Hanno firmato l’appello per il No tutti i più importanti e autorevoli costituzionalisti italiani, dei più diversi orientamenti politici e culturali, fra i quali 10 presidenti emeriti e 10 vicepresidenti emeriti della Corte costituzionale. Se nessun giurista di questo livello è presente nel comitato del Sì, un motivo ci sarà.
Nino Pepe
1. Voto No perché in termini di produzione legislativa l’Italia non ha un deficit di velocità ma di qualità. I numeri dimostrano chiaramente che il Parlamento italiano approva più leggi di tutti gli altri Paesi europei ed è secondo solo alla Germania. Tra il 2008 e il 2013 il Parlamento ha licenziato la bellezza di 391 leggi. In questa legislatura, dal Jobs Act alla Buona scuola, le riforme sono tutte state scritte e approvate in tempi fulminei.
Se i problemi sono una Costituzione troppo “vecchia” e il bicameralismo paritario come mai gli Stati Uniti, che hanno una Carta scritta oltre 200 anni fa e un sistema bicamerale identico a quello italiano, non se ne sono mai accorti?
2. Voto No perché le riforme necessarie per il reale sviluppo del Paese sono quelle su una seria lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, l’esatto contrario dei condoni. Non è certo colpa della Costituzione se ogni anno l’Italia è puntualmente collocata in fondo a tutte le classifiche.
L’on. Violante, ospite da Mentana per il confronto con il prof. Montanari, ha candidamente ammesso che il problema italiano non è istituzionale ma politico. Cioè dei politici arrivisti e incapaci vogliono adattare la Costituzione ai loro vizi.
3. Voto No perché il bicameralismo paritario non viene abolito ma incasinato. Contraddittoriamente allo slogan “semplifichiamo” la riforma sostituisce gli attuali due iter parlamentari con dieci contorti meccanismi, tutti diversi tra loro che cambiano procedure e tempi a seconda della materia, tutto fuorché chiara, ingolfando così i lavori in Parlamento e creando contenziosi tra le camere. È lo stesso comma 6 dell’art. 70 a prevedere ingorghi e litigi, non configurando però alcuna soluzione perché se i presidenti di Camera e Senato non giungono ad un accordo nessuno sa come procedere. Tanto sono stati veloci da essersi dimenticati di scriverlo.
4. Voto No perché il Senato da camera alta si trasformerà in una camera delle clientele.
Nel Bundesrat tedesco, incredibilmente citato come esempio dagli stessi sostenitori della riforma, i senatori sono delegati dei Lander, hanno vincolo di mandato e sono obbligati a votare compatti. Se il Land della Bassa Sassonia si esprime a favore della legge “A”, tutti i suoi rappresentanti nel Bundesrat devono votare in quel modo. In caso di disaccordo hanno l’obbligo di astenersi. Come voteranno i colleghi italiani? Ognuno come gli pare, presumibilmente per meri interessi partitocratici o per riconoscenza verso chi li ha mandati a Roma regalando loro l’immunità parlamentare.
5. Voto No perché un Senato al quale viene riconosciuto, tra i tanti compiti, il potere di revisione costituzionale (art. 70), di elezione del presidente della Repubblica (art. 83) e di nomina di parte dei giudici della Corte costituzionale (art. 135) non può essere composto da politici nominati e liberi da qualsiasi mandato (art. 57, comma 2). Il Senato attuale si differenzia da quello della riforma sostanzialmente per la non elettività e l’impossibilità di controbilanciare lo strapotere della soverchiante Camera, governata da una minoranza. Per il resto manterrà gran parte delle attuali competenze, ma a questa parità di funzioni corrisponde, appunto, disparità di elezione.
Chi vota No sceglie di tenersi quanto di buono c’è: “I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno”. Art. 58
6. Voto No perché un testo solenne come la Costituzione dev’essere chiaro e comprensibile. Quello della riforma è ambiguo, prolisso e cavilloso come un milleproroghe: solo lo sterminato articolo 70 rinvia ad altre disposizioni per ben undici volte.
Il testo in alcuni punti è addirittura contraddittorio: i commi 2 e 5 dell’articolo 57 sono antitetici.
Questa riforma sembra una cambiale in bianco tante solo le disposizioni transitorie previste dall’art. 39, ovviamente ancora tutte da definire. Firma e stai sereno.
7. Voto No perché il risparmio diretto e accertato ammonta ad appena 57,7 milioni (Ragioneria dello Stato, cioè il governo). La riduzione dei costi è demagogica e irrilevante e non giustifica minimamente la modifica di 47 articoli della Costituzione. Un risparmio così irrisorio rischia pure di ridursi a fronte dei cospicui rimborsi spese che spetteranno ai consiglieri-senatori per le trasferte a Roma per viaggio, vitto, alloggio, portaborse, segreterie etc.
Se avete cercato invano un pezzo di carta ufficiale che documenta i 500 milioni pubblicizzati dal governo, non temete: non lo avete trovato perché semplicemente non esiste.
8. Voto No perché difronte la crescente disaffezione degli elettori verso la politica la soluzione è allargare gli strumenti partecipativi, non ridurli. Per le leggi di iniziativa popolare saranno triplicate le firme: dalle attuali 50 mila si passerà a 150 mila (art. 71, comma 3).
Per i referendum abrogativi il quorum si riduce solo se le firme raccolte da 500 mila raggiungono quota 800 mila (art. 75, comma 4). Le modalità di attuazione degli altri Istituti, come i tempi di discussione per le leggi di iniziativa popolare, sono rimandati ad un futuro non definito (art. 71, comma 4). Anche qui, firma e stai sereno.
Per effetto dei capilista bloccati previsti dall’Italicum gran parte dei deputati (il 60,8%) saranno nominati dai capi-partito. A questi si aggiungono 100 senatori, pure loro nominati. La riduzione della partecipazione dei cittadini alla vita politica è dovuta anche all’impossibilità di eleggere gran parte dei deputati e nessun senatore, né consigliere né sindaco.
Dunque a spadroneggiare in un Parlamento che rappresenta quattro gatti sarà la falsa maggioranza monocolore messa al vertice della piramide dal premio dell’Italicum.
9. Voto No perché una minoranza non può ritrovarsi al governo e legiferare senza ostacoli e limiti (“decidere velocemente”, come ammettono gli stessi promotori) in virtù di un premio di maggioranza sconsiderato affiancato da una Costituzione priva di contrappesi e garanzie (il Senato sarà escluso dal sistema fiduciario e i diritti delle minoranze non codificati – artt. 94 e 64). Negli ultimi anni abbiamo assistito inermi alla drastica riduzione della linea che separa il potere esecutivo (governo) da quello legislativo (Parlamento). La riforma spazza via quel poco che resta accentrando ulteriormente il potere nelle mani di pochi che avranno il controllo permanente dell’agenda parlamentare in forza anche dell’Istituto della decretazione d’urgenza inserito in Costituzione (art. 72, comma 7).
La storia insegna che l’eccessiva “semplificazione”, senza le dovute contromisure, produce delle storture. La fiducia in capo alla sola Camera era prevista già nello Statuto Albertino, che resse tutta l’Italia monarchica, ventennio fascista compreso. Discorso identico per il premio alla lista assegnato dall’Italicum, presente già nella legge Acerbo, altro pilastro del regime fascista.
10. Voto No perché per deliberare lo stato di guerra sarà sufficiente la maggioranza assoluta, quella eletta con l’Italicum, tra l’altro. Sarà cioè il partito al governo a decidere sulle missioni militari senza che nessuno possa opporsi (art. 78).
11. Voto No perché la riforma cancella qualsiasi forma di autonomia locale radendo al suolo il principio di decentramento previsto dall’art. 5. Un governo onnipotente non può decidere arbitrariamente calpestando ripetutamente le istituzioni territoriali. Benché, dicono i sostenitori della riforma, il Senato sarà una “camera delle autonomie”, proprio le autonomie locali scompaiono in quanto non avranno alcuna voce in capitolo in materia di infrastrutture e grandi opere (lettere v e z, comma 2, articolo 117). Quello che dovrebbe essere un “interesse nazionale” sarà invece deciso secondo l’interesse di pochi. Che si tratti di gasdotto o ponte sullo stretto, pioveranno insindacabili ordini dall’alto.
Anche per quelle poche materie ancora di competenza delle Regioni lo Stato, per mano del governo, ovvero la minoranza trasformata in maggioranza dall’Italicum, potrà comunque imporre il suo volere attraverso la clausola di supremazia (art. 117, comma 4).
12. Voto No perché la riforma non è stata concepita e scritta nell’interesse dell’Italia e di noi cittadini. A tal proposito è sufficiente leggere la relazione del governo n. 1429 presentata l’8 aprile 2014. Gli obiettivi della riforma sono “lo spostamento del baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione del processo di integrazione europea e, in particolare, l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea (da cui sono discesi, tra l’altro, l’introduzione del Semestre europeo e la riforma del patto di stabilità e crescita) e alle relative stringenti regole di bilancio (quali le nuove regole del debito e della spesa); le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale”. Riassumendo: più potere al governo e cessione di sovranità ad Istituzioni sovranazionali non democraticamente elette come l’Unione europea.
13. Voto No perché per ammissione degli stessi fautori questa è una riforma che rafforza il governo e indebolisce il Parlamento e l’accentramento dei poteri inevitabilmente intaccherà, più di quanto non avvenga già ora, i princìpi stabiliti nella prima parte. È infatti la seconda parte della Costituzione a dare attuazione ai princìpi e ai valori stabiliti nella prima.
14. Voto No perché il governo non può impossessarsi del potere costituente. Lo stesso statuto del Pd ammonisce che la Costituzione “non è alla mercè della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Partito Democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza”. Se non bastasse l’esecutivo che ha approvato questa riforma è sostenuto da una falsa maggioranza, e per giunta di nominati (sentenza 1/2014 della Consulta). Senza il premio incostituzionale del Porcellum il Pd avrebbe 180 seggi e con questi numeri la riforma non sarebbe passata. Ma neanche il truffaldino premio di maggioranza è stato sufficiente perché la riforma fosse approvata. Il governo ha adottato qualsiasi tipo di forzatura, lecita e non, per aggirare il Parlamento: ricatti; epurazioni dei dissidenti; canguri; sedute fiume.
Per meglio rendere l’idea: l’Assemblea costituente, eletta con sistema proporzionale puro, approvò la Costituzione con 458 voti favorevoli e 62 contrari.
15. Voto No perché la Costituzione non sia stravolta ma ammodernata e revisionata ponderatamente, secondo reali esigenze e per il bene del Paese, con interventi mirati e razionali che davvero producono un miglioramento, coinvolgendo tutte le forze politiche per giungere al risultato condiviso richiesto dall’art. 138. Questa riforma, nonostante diktat e ricatti, in nessuna delle sei votazioni ha ottenuto la maggioranza qualificata dei due terzi (il 66%).
Due alternative: la sfiducia costruttiva, per garantire maggiore stabilità, e una commissione di conciliazione come la conference committee statunitense, per sanare eventuali disaccordi tra le camere.
Una postilla. Hanno firmato l’appello per il No tutti i più importanti e autorevoli costituzionalisti italiani, dei più diversi orientamenti politici e culturali, fra i quali 10 presidenti emeriti e 10 vicepresidenti emeriti della Corte costituzionale. Se nessun giurista di questo livello è presente nel comitato del Sì, un motivo ci sarà.
Nino Pepe
Ripropongo di seguito alcuni commenti pervenuti via facebook:
RispondiEliminaFrancesco Virga: Caro Nino, ho sempre apprezzato il tuo amore per la musica classica anche se in politica abbiamo avuto idee diverse e ci siamo trovati spesso in disaccordo. Ma oggi sono felice di ritrovarmi pienamente nelle cose che hai scritto a proposito del prossimo referendum. Ti abbraccio
Nino Pepe: Il troppo è troppo e Renzi si sta comportando in maniera troppo vastasa.
Agnese Di Sclafani: Condivido il post!
Ezio Spataro: condivido questa analisi
Riccardo Farci: Tutti dovrebbero avere la possibilità di leggere queste ragioni di merito e , quindi , convintamente dire NO ad una riforma che potrebbe stravolgere il nostro sistema democratico. Condivido pienamente ogni punto delle motivazioni del no.