Cioran tra paradossi e divagazion
di Nicola Vacca
Esce per la prima volta in italiano Razne,
l’ultimo libro scritto da Cioran in lingua romena. Fino a questo
momento il libro non conosceva altre versioni oltre a quella romena.
Lo pubblica Lindau con il titolo Divagazioni
(a cura e tradotto da Horia Corneliu Cicortaș) e rappresenta un evento
letterario unico visto che il libro non è stato edito in altre
traduzioni, né in francese, né in altre lingue,
Il libro rappresenta lo spartiacque nella
produzione letteraria di Cioran che abbandonerà per sempre la sua
lingua madre per quella francese.
«Il libro che presentiamo ai lettori italiani è la traduzione del volume Emil Cioran, Razne,
a cura di Constantin Zaharia (Humanitas, București, 2012), comprensiva
dei relativi apparati critici (prefazione, nota all’edizione e varianti
testuali).
Delle 338 note a piè di pagina dell’edizione originale, che segnalano le lezioni varianti presenti nel testo manoscritto di Cioran, abbiamo conservato, traducendole e inserendole in corsivo nelle note, quelle che evidenziavano differenze semantiche o sfumature stilistiche significative, tralasciando invece tutte quelle che rappresentavano soltanto cambiamenti grammaticali minori, i quali perdono inevitabilmente, nell’atto traduttivo, la loro rilevanza». Queste sono le parole con cui il curatore e traduttore spiega ai lettori italiani l’importanza di questo libro – cerniera in cui Cioran ha superato l’orlo del precipizio andando olte e toccando un terreno fertile che si dimostrerà importante per la sua condizione futura di scrittore.
Delle 338 note a piè di pagina dell’edizione originale, che segnalano le lezioni varianti presenti nel testo manoscritto di Cioran, abbiamo conservato, traducendole e inserendole in corsivo nelle note, quelle che evidenziavano differenze semantiche o sfumature stilistiche significative, tralasciando invece tutte quelle che rappresentavano soltanto cambiamenti grammaticali minori, i quali perdono inevitabilmente, nell’atto traduttivo, la loro rilevanza». Queste sono le parole con cui il curatore e traduttore spiega ai lettori italiani l’importanza di questo libro – cerniera in cui Cioran ha superato l’orlo del precipizio andando olte e toccando un terreno fertile che si dimostrerà importante per la sua condizione futura di scrittore.
Il passaggio dal romeno al francese, – scrive Constantin Zaharia nella prefazione all’edizione
romena- perché di questo si tratta, non è qui annunciato in maniera
altisonante, ma lo è certamente in modo discreto. Una serie di
costruzioni e forme della frase rivelano in modo evidente l’influenza
della lingua francese. A circa trentacinque anni, Cioran inizia a
esitare nel trovare la formula più felice per dare vita ai propri
pensieri. Si avverte che la punta della penna stilografica vorrebbe
scivolare verso un’altra lingua.Come dire che l’episodio Mallarmé a
Dieppe non è lontano».
In Divagazioni troviamo un
Cioran impegnato a costruire l’universo tematico che comprende la
malinconia, la noia, il tempo, osservazioni sulla morte.
Ma soprattutto il suo pensare per
paradossi che nasce dalla nuova lingua che abbraccia e in cui decide di
scrivere. Il francese che regalerà a Cioran nuovi concetti e libri
importanti (decomposizione, squartamento, amarezza, inconveniente) e
soprattutto un modo nuovo di scorticare i pensieri e gli suggerirà la
strada per continuare a coltivare il suo straordinario «coraggio di
disperare» per cui oggi noi lo amiamo.
Di seguito alcuni dei pensieri contenuti nel libro
Noi diamo voce solo a dolori senza
nome; gli altri, che formano l’ordito e la trama degli istanti, li
gettiamo nella pattumiera dell’evidenza.
Ho accettato la mia fine solo quando sono stato sorpreso da quell’accettazione, che sembrava provenire da una voce estranea al sangue come alla veglia.
Quando si trascorrono giornate intere
senza scambiare parola con un essere vivente, quando si dimenticano i
propri simili e perfino la condizione umana, l’io si rivela una forza
grande quanto il mondo. La conversazione ci offre la misura della nostra
piccolezza; la solitudine la intensifica, ma in modo tale che la nostra
piccolezza non è minore di quella del mondo.
Certamente la vita non ha alcun senso; ma è ancora più certo che noi viviamo come se ne avesse uno.
Per chi è contagiato dalla malattia di vivere, i rimedi non sono meno dannosi dei veleni, trattandosi sempre di espressioni e arnesi di questo mondo.
Quand’anche fossero di un altro, non c’è cura che possa addolcire quella
consapevolezza. Essendo consustanziale all’esserci, quel male può
cessare solo insieme a esso. Riusciamo a dimenticarlo solo riposando
nella nostra cenere. La tomba è l’unica farmacia della malinconia.
Da https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2016/11/29/cioran-tra-paradossi-e-divagazioni/
Nessun commento:
Posta un commento