La morte di Dio libera
l’uomo o lo priva di ogni senso etico? Due classici visti da Leo
Strauss nella crisi della modernità. Resta incerto l’esito del
conflitto tra ragione e rivelazione. La fragilità degli ideali
illuministi alla luce della terribile catastrofe di Weimar.
Mauro Bonazzi
Nietzsche ospite (inatteso) di Spinoza
Ci si chiede sempre cosa
sia un classico. Leo Strauss non avrebbe avuto dubbi: è chi aiuta a
capire i problemi. Come Baruch Spinoza, ad esempio. Strauss gli si
era avvicinato quasi per caso, su invito dell’Accademia per le
Scienze del Giudaismo. Non se ne allontanò più. La ragione della
lunga frequentazione è facile da intuire: chi meglio di Spinoza,
emarginato dalla sua comunità per l’empietà delle dottrine
professate, il pensatore radicale per eccellenza, poteva servire come
guida per indagare il grande problema della modernità, lo scontro
tra religione e filosofia (e scienza)?
Lo Spinoza del Trattato
teologico-politico è colui che più decisamente si era scagliato
contro il principio di autorità e dunque la Rivelazione. Ma neppure
lui era riuscito a riportare una vittoria definitiva. Quello che
rende il suo attacco così interessante agli occhi di Strauss è il
fallimento: neanche Spinoza è riuscito a dimostrare la superiorità
di filosofia e scienza rispetto alle verità rivelate.
Certo, riconosce Strauss, filosofia e scienza godono ormai di maggior prestigio, nel discorso pubblico, rispetto alle tradizioni religiose. Nel mondo disincantato (il riferimento corre ovviamente a Max Weber) in cui viviamo non c’è più posto per miracoli e profeti. Ma il maggior prestigio di filosofia e scienza rispetto alla religione non si fonda sulle basi solide di una confutazione autentica.
Perché se è vero che la
Rivelazione non riesce a sottomettere la filosofia, non meno vero è
che la filosofia non riesce a debellare la Rivelazione: dimostrare
(per via di ragionamento o ricorrendo all’esperienza concreta) che
Dio non esiste è impossibile. Così come è impossibile dimostrare
che esiste (è un fatto di fede, non di argomentazioni). Ed è questo
che importa a Strauss: la persistenza della tensione tra due modi di
considerare la realtà, diversi e incompatibili; è lo scontro tra
Atene e Gerusalemme, come scriverà negli anni della maturità.
Ma già in quegli anni giovanili, l’analisi di Spinoza lo aveva aiutato a capire che la questione decisiva, in questo scontro, riguardava la (presunta) autonomia della ragione. Il progetto della modernità, che si propaga fino ai nostri giorni, si fonda sulla convinzione che la ragione umana basti per rendere adeguatamente conto della realtà, permettendoci di costruire un mondo di pace e benessere. Il progetto è nobile e ambizioso. Ma anche realizzabile?
Strauss aveva iniziato le
sue letture nel pieno della crisi di Weimar: una bella espressione,
la Repubblica di Weimar, degli ideali illuministici, che però stava
implodendo di fronte a una realtà che si rivelava più complicata,
refrattaria a farsi irreggimentare secondo schemi e categorie
moderni. Non sono diversi i problemi che stiamo affrontando oggi.
Intanto Strauss era finito esule, come molti altri, ebrei e non solo.
Il testamento di
Spinoza (Mimesis) contiene la prima traduzione italiana dei saggi che
Strauss era venuto scrivendo su questo tema tra il 1924 e il 1932, a
completamento dell’opera principale La critica della religione in
Spinoza , uscita nel 1930, e chiarisce alcuni punti decisivi della
sua interpretazione. In particolare, questi lavori aiutano a meglio
comprendere l’importanza della presenza di un ospite inatteso, a
cui Strauss continuamente pensa quasi mai nominandolo. Friedrich
Nietzsche. Senza di lui non si può capire che cosa sia davvero in
gioco.
L’ateismo di Spinoza (perché a questo conduceva il suo razionalismo radicale) nasceva con un intento liberatorio, facendo propria la battaglia di Epicuro contro la paura degli dèi. Dobbiamo liberarci di Dio per smettere di vivere nel terrore, e tornare a guardare serenamente il mondo che ci circonda; seguendo le leggi della natura, non asserviti alla minaccia del peccato.
Con Nietzsche si
comprende che il vero problema è un altro: come pensare a un mondo
senza Dio? Questa è la sfida a cui la rivoluzione scientifica, di
cui sia Nietzsche sia Spinoza erano convinti sostenitori, ci invita.
Liberati dal giogo degli dèi, gli uomini si sono fatti padroni del
loro destino. Per farne cosa? Il Dio biblico, il creatore del cielo e
della terra, era anche il garante dell’esistenza del bene e del
male. Nell’universo retto dalla provvidenza divina vigeva la
fiducia che esistessero valori oggettivi come il bene o la giustizia,
a cui rifarci per le nostre decisioni. La morte di Dio mette in crisi
la fondatezza di questa convinzione: dove contano solo le leggi
fisiche di causa ed effetto ha senso parlare ancora di bene o male?
Qualche anno fa Leo Strauss ha goduto di un’improvvisa notorietà, diventando oggetto di critiche veementi e adesioni incondizionate, in un clima quasi da stadio (soprattutto negli Usa). Questo perché si riteneva che il suo pensiero politico stesse alla base dell’ideologia neo-conservatrice della presidenza di George W. Bush. Molti suoi allievi, in effetti, hanno occupato cariche di rilievo nell’amministrazione repubblicana. Ma le interpretazioni solo politiche della sua filosofia sono inutilmente riduttive. Il suo interesse è altrove: in un pensiero inattuale, capace di illuminare le questioni del presente grazie a una ripresa degli antichi — gli ultramoderni, li chiamava lui.
Sono celebri le due definizioni aristoteliche dell’essere umano: l’animale razionale e l’animale politico. Per natura tendiamo tutti al sapere, si legge all’inizio della Metafisica : conoscere, trovare il senso di ciò che siamo e di ciò che ci circonda, esprime un aspetto essenziale della nostra natura. Ma, a differenza di tanti altri animali, non possiamo vivere da soli, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri: siamo politici nel senso che viviamo sempre insieme (questa è la Politica ).
Leo Strauss
Sembra banale ma non lo
è, perché desiderio di conoscenza e rispetto delle norme
etico-politiche non sempre vanno d’accordo. Oggi lo sappiamo fin
troppo bene. La ricerca scientifica procede impavida verso scoperte
sempre più meravigliose, offrendoci possibilità fino a poco tempo
fa impensabili. Che uso fare però di queste scoperte? Ci sono dei
limiti per la ricerca? E chi li stabilisce?
Con altri termini, discutendo di vita contemplativa (dedicata alla conoscenza) e di vita attiva (dedicata alla politica), sono gli stessi problemi di cui si preoccupava Aristotele, seguito dai filosofi medievali che avrebbero poi influenzato Spinoza (l’ultimo degli ultramoderni, in fondo, perché consapevole di questa tensione insormontabile).
L’impulso inestirpabile
a conoscere che caratterizza i sapienti, nella misura in cui mette in
discussione tutti i valori su cui si fonda la città, non rischia di
essere eversivo? Forse che Socrate è stato condannato giustamente?
Sono domande inquietanti, che almeno ci aiutano a chiarire la portata
dei problemi — di problemi che sembrano scontati e che poi si
scoprono d’impervia risoluzione. A questo servono i classici, come
ha insegnato Leo Strauss, e per questo conviene continuare a
leggerli.
Il Corriere della sera/La
Lettura – 23 ottobre 2016
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