La Libia coloniale. Un laboratorio italiano della persecuzione
Leonardo Paggi
La formazione del primo governo Mussolini segna per la Libia
l'abbandono immediato di qualsiasi ipotesi di costituzionalizzazione e di
dialogo nata nel contesto dello wilsonismo, e un innalzamento brusco dei
livelli di repressione. Il primo dato importante che il fondo Africa settentrionale
dell'archivio storico dell'arma dei carabinieri documenta, è una precisa
consapevolezza che la lotta per la riconquista della colonia si svolge in un
quadro mediterraneo segnato da profonde turbolenze. Nel 1925 la grande rivolta
in Marocco di Abdel Krim, nel 1925-27 la rivolta antifrancese in Siria che
porta a due bombardamenti di Damasco, nel 1929 la prima grande insurrezione
palestinese contro il sionismo e la politica mandataria inglese. A questi
eventi e alla coeva formazione di una coscienza panaraba si guarda in
continuazione, sperimentando nello stesso tempo nuove forme di interevento
coloniale.
La nuova strategia fascista di controllo tendenzialmente
totale del territorio avanza sulla base di un modello che guarda, anche se in
modo non confessato, al più sperimentato colonialismo francese. In primo luogo
l'azione militare per controbattere l'iniziativa dei ribelli tesa a mettere
costantemente in questione la sovranità dell'occupante. Centrale l'impiego
quasi quotidiano del mezzo aereo con cui si bombardano non solo le truppe
ribelli, ma carovane, accampamenti, bestiame, pozzi con una tecnica esplicita
di terra bruciata. Omar El Muktar viene identificato, fin dal 1923-24, come
l'animatore della rivolta. In secondo luogo una politica delle infrastrutture
che ridisegna il territorio secondo principi che sconvolgono i precedenti
assetti di vita, e che per questo sono sempre duramente osteggiati dalle
popolazioni locali. Ma anche costruzione di edifici che incarnano la logica del
nuovo potere che si vuole trapiantare: il palazzo del governo, la stazione dei
carabinieri, la scuola, la chiesa, l'ospedale. La proliferazione di
infrastrutture ben lungi dall'essere una regalia, come vuole la leggenda del
colonialismo buono, è il modo in cui avanza un principio di organizzazione del
territorio ostile e sovvertitore della cultura del luogo. Si coglie qui la
logica del piccolo impero, che interpreta la colonia come «quarta sponda»,
ossia come estrapolazione e continuazione della metropoli. Diversa, già allora,
la logica dell'impero inglese in cui il controllo del territorio è volto
esclusivamente a mantenere lo scorrimento di grandi catene di merci che si
muovono su scala mondiale. Per non parlare della mediazione essenziale che
svolgerà il mercato nel grande impero americano.
Tra Tunisia e Egitto
L'archivio dell'arma documenta tuttavia un'altra importante
consapevolezza strategica. Ritorna per tutti gli anni '20 la constatazione che
non prende corpo in Libia quel fenomeno di un nascente nazionalismo arabo che
sta mettendo radici profonde nei due paesi di confine, Tunisia e Egitto.
Giustamente i rapporti dei carabinieri vedono in questa mancanza di cultura
nazionalista la ragione di una maggiore stabilità relativa. Il motore della
rivolta è la Senussia, una confraternita religiosa che chiama alla lotta
antitaliana nel nome del ristabilimento dei principi originari dell'islamismo
minacciati dalla penetrazione della cultura occidentale. Si tratta insomma di
una rivolta islamica, dai contenuti fortemente arcaici, premoderni (si sarebbe
detto prima della rivoluzione iraniana del 1979), che può tuttavia sempre
trapassare in qualcosa di più complesso e minaccioso.
Per questo i rapporti dell'arma guardano costantemente a
quanto avviene nei due paesi di confine. Dalla Tunisia, verso cui si
indirizzano i rifugiati politici della Tripolitania, è sempre immanente la
minaccia di un sostegno e un'amplificazione della rivolta senussa, in termini
di nazionalismo arabo, in primo luogo. Ma soprattutto a partire dalla fine
degli anni '20 arrivano in Tunisia gli echi dell'opposizione antifascista
italiana emigrata a Parigi che vede nelle colonie un propizio terreno di
organizzazione. Ma non meno importanti sono le influenze che vengono
dall'Egitto. I rapporti dei carabinieri parlano di «una egemonia
politico-commerciale degli egiziani sui territori di confine». In Egitto
sconfina la guerriglia armata e dall'Egitto viene organizzato un contrabbando
di derrate e prodotti che sottrae alla colonia importanti risorse, mentre
rifornisce gli uomini di Omar El Muktar.
La svolta si ha nel 1929. Un rapporto dell'arma è dedicato a
riportare la motivazione con cui Badoglio, appena nominato governatore della
Libia, enuncia la necessità di una fase nuova: «Occorre occupare l'intera
colonia se si vuole pacificarla, oltre che per ragioni di dignità nazionale,
per poter avere il diritto di alzare la voce nel concerto europeo, per ottenere
mandati coloniali». La durezza con cui Graziani si muoverà nel solco di questa
indicazione politica nasce dunque più che da motivazioni interne alla vita
della colonia, dal venire a maturazione di una nuova fase della politica estera
fascista, che nel corso degli anni '30 farà della guerra il suo strumento
principale, dall'Etiopia alla Spagna alla II guerra mondiale.
Quale sia il retaggio della pacificazione lo si trova
riassunto in un promemoria dell'11 maggio '34 in cui si riportano «discordi
commenti» sull'operato di Graziani che circolano al suo rimpatrio: «In
particolare viene rilevato: che i campi di concentramento disposti ed
effettuati in località sprovviste di acqua, legna, con pascolo scarso o nulla
addirittura, hanno messo a dura prova la resistenza di quelle popolazioni tra
le quali hanno infierito lo scorbuto e il tifo esantematico, provocando con la
fame una fortissima mortalità; che il bestiame è stato distrutto quasi
completamente e interi accampamenti di sopravvissuti si sono trovati con poche
decine di pecore, senza cavalli e bestiame di altro genere; che non si può oggi
a così breve distanza dalla cessazione della ribellione, parlare di una
economia cirenaica, quando le popolazioni indigene, eccezion fatta per due, tre
mila persone che lavorano ancora sulle strade e sono perciò salariati, vivono
di sussidi distribuiti dal governo». Ci sono insomma verità che nemmeno il
regime totalitario riesce a scancellare.
La politica del filo spinato
Il salto che si determina nella strategia repressiva risulta
chiaro se si mette a confronto il tipo di azione che Attilio Teruzzi descrive
in Cirenaica verde (Mondatori 1931), ancora concentrata in una risposta
militare alla guerriglia, e quella che Graziani definisce una «decisa politica
di popolazione basata sui termini di assoluto dominio di essa». Le vicende sono
note: l'evacuazione di circa 80 mila beduini, popolazione nomade dedita
all'allevamento del bestiame, dalle colline boscose del Gebel ai deserti della
Sirte, e la loro reclusione in campi di concentramento, con gli effetti che il
rapporto dei carabinieri del 1934 sintetizzava efficacemente. «Tutti i campi - scriveva
Graziani - furono circondati da doppio reticolato, i viveri razionati, i
pascoli contratti e controllati, la circolazione esterna resa soggetta a
permessi speciali. Furono concentrati nel campo-punizione di El Agheila tutti i
parenti dei ribelli, perché più facilmente portati alla connivenza» (Cirenaica
pacificata, Mondadori 1933). Sulla popolazione deportata si abbatte la
giustizia del «tribunale volante»: processi che condannano a morte con
immediata esecuzione delle vittime dinanzi alla popolazione del campo obbligata
ad assistere. Si tratta di felici anticipazioni dello scenario che si determina
sulla Appelplatz del Lager tedesco. Come, in fondo, assai simile ai processi di
«ricostruzione etnica» perseguiti dai nazisti in Europa orientale, è il ripopolamento
del Gebel con agricoltori italiani, destinati a essere vittime della vendetta
araba nel '41, quando la Cirenaica cade sotto il regime di occupazione inglese.
Un rapporto dei carabinieri dell'aprile '42 spiegava il fossato che si era
aperto in quella zona tra italiani e arabi ricordando la politica fatta di
«eccidi di massa, decimazioni e deportazioni di intere popolazioni».
La «politica del filo spinato» torna con il conflitto
mondiale allorché nella seconda metà del 1940, Graziani, da pacificatore della
Cirenaica, diventa il massimo responsabile, anche agli occhi di Mussolini che
lo destituisce, della distruzione della X armata di stanza in Libia al momento
dell'ingresso dell'Italia in guerra. L'abile massacratore di arabi allevato
all'interno del regime non ha la minima idea su come debba essere condotta una
guerra di massa a tecnologia avanzata. Un rapporto dei carabinieri del 31 marzo
'41 così descrive la conclusione finale della rotta imposta dall'offensiva
inglese: «L'afflusso rapido di automezzi, ufficiali e soldati delle varie armi
e specialità, dava l'impressione, all'osservatore obbiettivo, dell'improvviso
debordare di un fiume che ha sommesso gli argini. Quali le cause che portarono
la parte ancora integra della X armata a un rovesciamento così repentino? Esse
sono imponderabili e la genesi del fenomeno potrà essere solo identificata,
dopo maturo studio, nel tempo avvenire». È nel clima della sconfitta e della
conseguente perdita di gran parte del territorio della colonia che ebrei e maltesi
(quest'ultimi spesso con passaporto inglese) cominciano a essere definiti nei
rapporti dei carabinieri come «elementi malfidi» che spargono notizie
catastrofiche e sfiducia. E in effetti una parte della popolazione ebraica
collaborerà con gli inglesi, accogliendo l'invito del sionismo che ha ormai
scelto di battersi a fianco degli alleati, creando una proprio brigata
all'interno della VIII armata di Montgomery.
Il 28 febbraio '42 i carabinieri registrano la svolta che si
sta determinando verso la popolazione ebraica della colonia: «Il ministro
Teruzzi con un foglio riservatissimo ha comunicato al generale Bastico che il
Duce ha deciso che tutti gli ebrei della Cirenaica siano riuniti in un campo di
concentramento della Tripolitania, che in un secondo tempo si esaminerà
l'opportunità di adottare lo stesso provvedimento anche per gli ebrei della
Tripolitania, mentre saranno presi, poi, ulteriori accordi per un eventuale
trasporto degli internati in Italia». Tre settimane dopo l'ordinanza di Bastico
ordina «lo sgombro dalla Cirenaica di tutti indistintamente gli israeliti siano
essi cittadini italiani metropolitani, cittadini italiani libici, ovvero
cittadini e sudditi stranieri». I campi di concentramento dovranno essere
installati a Giado e Jefren. La deportazione dovrà svolgersi con la formazione
di scaglioni giornalieri di circa 200 persone, che potranno portare con sé solo
effetti personali. L'assegnazione ai campi di concentramento può tuttavia
essere sospesa nei confronti di ebrei che abbiano tenuto «un contegno lodevole
durante l'occupazione inglese della Cirenaica» o che «abbiano reso in passato
utili servizi e si siano dimostrati particolarmente benemeriti». Il fascismo
italiano non rinuncia mai all'esercizio di un potere discrezionale che vada in deroga
alla legge. Ma è certo che la colonia dei primi anni '30 ha svolto il ruolo di
importante laboratorio in cui si sono sperimentate non più avanzate strategie
militari, ma spietate politiche di persecuzione destinate a dilagare poi sul
continente.
il manifesto, 1 dicembre 2006
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