17 novembre 2016

ITALIANI IN LIBIA


La Libia coloniale. Un laboratorio italiano della persecuzione

 Leonardo Paggi




La formazione del primo governo Mussolini segna per la Libia l'abbandono immediato di qualsiasi ipotesi di costituzionalizzazione e di dialogo nata nel contesto dello wilsonismo, e un innalzamento brusco dei livelli di repressione. Il primo dato importante che il fondo Africa settentrionale dell'archivio storico dell'arma dei carabinieri documenta, è una precisa consapevolezza che la lotta per la riconquista della colonia si svolge in un quadro mediterraneo segnato da profonde turbolenze. Nel 1925 la grande rivolta in Marocco di Abdel Krim, nel 1925-27 la rivolta antifrancese in Siria che porta a due bombardamenti di Damasco, nel 1929 la prima grande insurrezione palestinese contro il sionismo e la politica mandataria inglese. A questi eventi e alla coeva formazione di una coscienza panaraba si guarda in continuazione, sperimentando nello stesso tempo nuove forme di interevento coloniale.

La nuova strategia fascista di controllo tendenzialmente totale del territorio avanza sulla base di un modello che guarda, anche se in modo non confessato, al più sperimentato colonialismo francese. In primo luogo l'azione militare per controbattere l'iniziativa dei ribelli tesa a mettere costantemente in questione la sovranità dell'occupante. Centrale l'impiego quasi quotidiano del mezzo aereo con cui si bombardano non solo le truppe ribelli, ma carovane, accampamenti, bestiame, pozzi con una tecnica esplicita di terra bruciata. Omar El Muktar viene identificato, fin dal 1923-24, come l'animatore della rivolta. In secondo luogo una politica delle infrastrutture che ridisegna il territorio secondo principi che sconvolgono i precedenti assetti di vita, e che per questo sono sempre duramente osteggiati dalle popolazioni locali. Ma anche costruzione di edifici che incarnano la logica del nuovo potere che si vuole trapiantare: il palazzo del governo, la stazione dei carabinieri, la scuola, la chiesa, l'ospedale. La proliferazione di infrastrutture ben lungi dall'essere una regalia, come vuole la leggenda del colonialismo buono, è il modo in cui avanza un principio di organizzazione del territorio ostile e sovvertitore della cultura del luogo. Si coglie qui la logica del piccolo impero, che interpreta la colonia come «quarta sponda», ossia come estrapolazione e continuazione della metropoli. Diversa, già allora, la logica dell'impero inglese in cui il controllo del territorio è volto esclusivamente a mantenere lo scorrimento di grandi catene di merci che si muovono su scala mondiale. Per non parlare della mediazione essenziale che svolgerà il mercato nel grande impero americano.



Tra Tunisia e Egitto

L'archivio dell'arma documenta tuttavia un'altra importante consapevolezza strategica. Ritorna per tutti gli anni '20 la constatazione che non prende corpo in Libia quel fenomeno di un nascente nazionalismo arabo che sta mettendo radici profonde nei due paesi di confine, Tunisia e Egitto. Giustamente i rapporti dei carabinieri vedono in questa mancanza di cultura nazionalista la ragione di una maggiore stabilità relativa. Il motore della rivolta è la Senussia, una confraternita religiosa che chiama alla lotta antitaliana nel nome del ristabilimento dei principi originari dell'islamismo minacciati dalla penetrazione della cultura occidentale. Si tratta insomma di una rivolta islamica, dai contenuti fortemente arcaici, premoderni (si sarebbe detto prima della rivoluzione iraniana del 1979), che può tuttavia sempre trapassare in qualcosa di più complesso e minaccioso.

Per questo i rapporti dell'arma guardano costantemente a quanto avviene nei due paesi di confine. Dalla Tunisia, verso cui si indirizzano i rifugiati politici della Tripolitania, è sempre immanente la minaccia di un sostegno e un'amplificazione della rivolta senussa, in termini di nazionalismo arabo, in primo luogo. Ma soprattutto a partire dalla fine degli anni '20 arrivano in Tunisia gli echi dell'opposizione antifascista italiana emigrata a Parigi che vede nelle colonie un propizio terreno di organizzazione. Ma non meno importanti sono le influenze che vengono dall'Egitto. I rapporti dei carabinieri parlano di «una egemonia politico-commerciale degli egiziani sui territori di confine». In Egitto sconfina la guerriglia armata e dall'Egitto viene organizzato un contrabbando di derrate e prodotti che sottrae alla colonia importanti risorse, mentre rifornisce gli uomini di Omar El Muktar.

La svolta si ha nel 1929. Un rapporto dell'arma è dedicato a riportare la motivazione con cui Badoglio, appena nominato governatore della Libia, enuncia la necessità di una fase nuova: «Occorre occupare l'intera colonia se si vuole pacificarla, oltre che per ragioni di dignità nazionale, per poter avere il diritto di alzare la voce nel concerto europeo, per ottenere mandati coloniali». La durezza con cui Graziani si muoverà nel solco di questa indicazione politica nasce dunque più che da motivazioni interne alla vita della colonia, dal venire a maturazione di una nuova fase della politica estera fascista, che nel corso degli anni '30 farà della guerra il suo strumento principale, dall'Etiopia alla Spagna alla II guerra mondiale.

Quale sia il retaggio della pacificazione lo si trova riassunto in un promemoria dell'11 maggio '34 in cui si riportano «discordi commenti» sull'operato di Graziani che circolano al suo rimpatrio: «In particolare viene rilevato: che i campi di concentramento disposti ed effettuati in località sprovviste di acqua, legna, con pascolo scarso o nulla addirittura, hanno messo a dura prova la resistenza di quelle popolazioni tra le quali hanno infierito lo scorbuto e il tifo esantematico, provocando con la fame una fortissima mortalità; che il bestiame è stato distrutto quasi completamente e interi accampamenti di sopravvissuti si sono trovati con poche decine di pecore, senza cavalli e bestiame di altro genere; che non si può oggi a così breve distanza dalla cessazione della ribellione, parlare di una economia cirenaica, quando le popolazioni indigene, eccezion fatta per due, tre mila persone che lavorano ancora sulle strade e sono perciò salariati, vivono di sussidi distribuiti dal governo». Ci sono insomma verità che nemmeno il regime totalitario riesce a scancellare.



La politica del filo spinato

Il salto che si determina nella strategia repressiva risulta chiaro se si mette a confronto il tipo di azione che Attilio Teruzzi descrive in Cirenaica verde (Mondatori 1931), ancora concentrata in una risposta militare alla guerriglia, e quella che Graziani definisce una «decisa politica di popolazione basata sui termini di assoluto dominio di essa». Le vicende sono note: l'evacuazione di circa 80 mila beduini, popolazione nomade dedita all'allevamento del bestiame, dalle colline boscose del Gebel ai deserti della Sirte, e la loro reclusione in campi di concentramento, con gli effetti che il rapporto dei carabinieri del 1934 sintetizzava efficacemente. «Tutti i campi - scriveva Graziani - furono circondati da doppio reticolato, i viveri razionati, i pascoli contratti e controllati, la circolazione esterna resa soggetta a permessi speciali. Furono concentrati nel campo-punizione di El Agheila tutti i parenti dei ribelli, perché più facilmente portati alla connivenza» (Cirenaica pacificata, Mondadori 1933). Sulla popolazione deportata si abbatte la giustizia del «tribunale volante»: processi che condannano a morte con immediata esecuzione delle vittime dinanzi alla popolazione del campo obbligata ad assistere. Si tratta di felici anticipazioni dello scenario che si determina sulla Appelplatz del Lager tedesco. Come, in fondo, assai simile ai processi di «ricostruzione etnica» perseguiti dai nazisti in Europa orientale, è il ripopolamento del Gebel con agricoltori italiani, destinati a essere vittime della vendetta araba nel '41, quando la Cirenaica cade sotto il regime di occupazione inglese. Un rapporto dei carabinieri dell'aprile '42 spiegava il fossato che si era aperto in quella zona tra italiani e arabi ricordando la politica fatta di «eccidi di massa, decimazioni e deportazioni di intere popolazioni».

La «politica del filo spinato» torna con il conflitto mondiale allorché nella seconda metà del 1940, Graziani, da pacificatore della Cirenaica, diventa il massimo responsabile, anche agli occhi di Mussolini che lo destituisce, della distruzione della X armata di stanza in Libia al momento dell'ingresso dell'Italia in guerra. L'abile massacratore di arabi allevato all'interno del regime non ha la minima idea su come debba essere condotta una guerra di massa a tecnologia avanzata. Un rapporto dei carabinieri del 31 marzo '41 così descrive la conclusione finale della rotta imposta dall'offensiva inglese: «L'afflusso rapido di automezzi, ufficiali e soldati delle varie armi e specialità, dava l'impressione, all'osservatore obbiettivo, dell'improvviso debordare di un fiume che ha sommesso gli argini. Quali le cause che portarono la parte ancora integra della X armata a un rovesciamento così repentino? Esse sono imponderabili e la genesi del fenomeno potrà essere solo identificata, dopo maturo studio, nel tempo avvenire». È nel clima della sconfitta e della conseguente perdita di gran parte del territorio della colonia che ebrei e maltesi (quest'ultimi spesso con passaporto inglese) cominciano a essere definiti nei rapporti dei carabinieri come «elementi malfidi» che spargono notizie catastrofiche e sfiducia. E in effetti una parte della popolazione ebraica collaborerà con gli inglesi, accogliendo l'invito del sionismo che ha ormai scelto di battersi a fianco degli alleati, creando una proprio brigata all'interno della VIII armata di Montgomery.



Il 28 febbraio '42 i carabinieri registrano la svolta che si sta determinando verso la popolazione ebraica della colonia: «Il ministro Teruzzi con un foglio riservatissimo ha comunicato al generale Bastico che il Duce ha deciso che tutti gli ebrei della Cirenaica siano riuniti in un campo di concentramento della Tripolitania, che in un secondo tempo si esaminerà l'opportunità di adottare lo stesso provvedimento anche per gli ebrei della Tripolitania, mentre saranno presi, poi, ulteriori accordi per un eventuale trasporto degli internati in Italia». Tre settimane dopo l'ordinanza di Bastico ordina «lo sgombro dalla Cirenaica di tutti indistintamente gli israeliti siano essi cittadini italiani metropolitani, cittadini italiani libici, ovvero cittadini e sudditi stranieri». I campi di concentramento dovranno essere installati a Giado e Jefren. La deportazione dovrà svolgersi con la formazione di scaglioni giornalieri di circa 200 persone, che potranno portare con sé solo effetti personali. L'assegnazione ai campi di concentramento può tuttavia essere sospesa nei confronti di ebrei che abbiano tenuto «un contegno lodevole durante l'occupazione inglese della Cirenaica» o che «abbiano reso in passato utili servizi e si siano dimostrati particolarmente benemeriti». Il fascismo italiano non rinuncia mai all'esercizio di un potere discrezionale che vada in deroga alla legge. Ma è certo che la colonia dei primi anni '30 ha svolto il ruolo di importante laboratorio in cui si sono sperimentate non più avanzate strategie militari, ma spietate politiche di persecuzione destinate a dilagare poi sul continente.  


il manifesto, 1 dicembre 2006


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