“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
20 novembre 2016
IL DEFORME NELL' ARTE
Categorie come il «tremendum», il «celato» e il falso, lo «sdoppiato» […] costituiscono la base di un’arte che nel compiacimento dell’orrido, del deforme, o del falso paradisiaco, riusciva a raggiungere spesso straordinarie atmosfere, di terrore e di subdolo fascino. Basti riflettere sul «Giardino delle delizie» di Bosch o sulle «Tentazioni di Sant’Antonio»; o al «Trionfo della Morte» di Bruegel. (Gillo Dorfles, C’è del demoniaco in quell’arte, Corriere della Sera, 22 gennaio 2008)
Il grande pittore tedesco Albrecht Dürer disegnò sua madre con amore. Il suo studio fedele della vecchiaia e dello sfacelo può forse colpire e respingere ma, se vinciamo questo primo moto di ripugnanza, ne saremo ampiamente compensati, poiché nella sua spietata sincerità, il disegno di Dürer è un’opera grandiosa: la bellezza di un quadro, non sta nella bellezza del soggetto. (Ernst Gombrich)
Umberto Eco, Storia della bruttezza, Bompiani, Milano 2007
… dovremo, nel corso della nostra storia, distinguere le manifestazioni di brutto in sé (un escremento, una carogna decomposta, un essere coperto di piaghe che emana un odore nauseabondo) da quelle di brutto formale, come squilibrio nella relazione organica tra le parti di un tutto.
Immaginiamo di vedere per strada una persona con una bocca sdentata: quello che ci disturba non è la forma delle labbra o dei pochi denti rimasti, ma il fatto che i denti sopravvissuti non siano accompagnati dagli altri che dovrebbero esserci su quella bocca. Non conosciamo quella persona, quella bruttezza non ci coinvolge passionalmente e tuttavia – di fronte all’incoerenza o incompletezza di quell’insieme – ci sentiamo autorizzati a dire spassionatamente che quel viso è brutto.
Per questo un conto è reagire passionalmente al disgusto che ci provoca un insetto viscido o un frutto imputridito e un conto è dire di una persona che è sproporzionata o di un ritratto che è brutto nel senso che è malfatto (il brutto artistico è un brutto formale).
E, parlando di brutto artistico, ricordiamo che in quasi tutte le teorie estetiche, almeno dalla Grecia ai giorni nostri, è stato riconosciuto che qualsiasi forma di bruttezza può essere redenta da una sua fedele ed efficace rappresentazione artistica. Aristotele (Poetica 1448 b) parla della possibilità di realizzare il bello imitando con maestria ciò che è repellente e in Plutarco (De audiendis poetis) si dice che nella rappresentazione artistica il brutto imitato rimane tale ma riceve come un riverbero di bellezza dalla maestria dell’artista.
Abbiamo così identificato tre fenomeni diversi: il brutto in sé, il brutto formale e la rappresentazione artistica di entrambi. Quello che c’è da tener presente nello sfogliare le pagine di questo libro è che quasi sempre si potrà inferire che cosa fossero in una data cultura i primi due tipi di bruttezza solo in base a testimonianze del terzo tipo.
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