In
una società che macina tutto rendendolo soap opera (vedi ieri il
centanario della prima guerra mondiale e oggi dell'Ottobre) rimane
sottotono la rievocazione del movimento del 77. Forse ancora troppo
recente per riuscire a disinnescarne nei talkshow la radicale carica sovversiva
bene espressa da riviste come A/traverso di cui Derive Approdi pubblica la raccolta.
Alessandra
Vanzi
Era il ’77 circolava
il Maodadaismo
“Ho ficcato un dito nel
cielo e ho dimostrato è un ladro!” (Majakovskij). Questa frase,
che pronunciavo nel mio primo spettacolo “La rivolta degli oggetti”
(1976), non l’ho mai dimenticata e mi è risuonata continuamente
nelle orecchie leggendo in questi giorni il libro di Luca Chiurchiù
“A/traverso La rivoluzione è finita abbiamo vinto” (ed. Derive
Approdi) che ricostruisce con filologica precisione la storia della
rivista e il contesto movimentista in cui nasce. Le idee viaggiavano
veloci nell’etere trasmesse dalle prime radio libere e penetravano
l’atmosfera con analogie anarchiche e maodadaiste spostandosi tra i
linguaggi, destrutturandoli, mescolando illuminazioni filosofiche,
punk, rivoluzioni sessuali e comportamentali.
Nel teatro d’avanguardia
si moltiplicavano le performances che evadevano dagli spazi deputati
invadendo le strade con il Living, la Postmodern dance e Grotowski,
la musica partoriva i Sex Pistols e Freakantoni, l’arte Keith
Haring e Andrea Pazienza, la scrittura Tondelli e Palandri, la poesia
Bellezza e Ferlinghetti e mille altri artisti; così anche le
riviste, i fogli del movimento si moltiplicavano: Rosso, Zut,
Zizzania, La rivoluzione, il Male, etc. etc. supportati sempre dallo
stesso unico garante Marcello Baraghini fondatore di Stampa
Alternativa. Nel ‘77 A/traverso è una delle voci più
rappresentative del movimento; nasce in Via Marsili a Bologna, casa
di Franco Berardi detto Bifo che insieme a Maurizio Torrealta,
Stefano Saviotti, Luciano Capelli, Claudio Cappi, Paolo Ricci, Matteo
Guerrino, Marzia Bisognin a cui si aggiunge Angelo Pasquini, unico
romano, quasi tutti gravitanti nell’orbita del DAMS, quasi tutti
con formazione estetico-semiotica, sperimentano in
pratica-rivoluzionaria-scrittoria le teorie del situazionismo
Debordiano, la lezione delle avanguardie primo novecentesche, leggono
i noveaux philosophes francesi Deleuze, Guattarì, Foucault, Lacan,
gli scrittori Barthes e Balestrini e il gruppo 63.
Ispirati da Majakoskij
producono il contro manifesto del maodadaismo (Mao Tse Tung diventa
soprattutto un simbolo pop), che leggono al Convegno della
Cooperativa scrittori : “…Diciamo DADA e intendiamo la nostra
collocazione altrove. Oggi – fuori di qui – nella vita
entusiasmante del proletariato giovanile mobile, della classe operaia
in lotta, delle donne e dei gay che sperimentano forme di vita non
sessista e non competitiva, dichiariamo la nascita del MAO-DADAISMO,
una pratica della scrittura non separata, ma trasversale, capace di
ricomporre gli ordini dell’esistenza. Oltre la politica del
compromesso, oltre la cultura del compromesso, fatte per riprodurre e
giustificare il dominio del capitale sul tempo di vita , dichiariamo
la nascita del TRASVERSALISMO, forma teorica che interpreta il
percorso pratico della scrittura-creatività-sovversione. I nuovi
scrittori sono dentro il proletariato giovanile mobile, fra i gay,
fra le donne, fra gli operai assenteisti, fra i rivoluzionari, fra i
lavoratori intellettuali che affrettano la fine della società
fondata sulla miseria e sul lavoro.”
“ Dissolutezza
sfrenatezza festa. Questo è il livello a cui è attestato il
comportamento dei giovani, degli operai, degli studenti, delle donne.
E se per i burocrati questa non è politica, ebbene, è la nostra
politica, magari la chiameremo in un altro modo. Appropriazione e
liberazione del corpo, trasformazione collettiva dei rapporti
interpersonali sono il modo in cui oggi ricostruiamo un progetto
contro il lavoro di fabbrica, contro qualsiasi ordine fondato sulla
prestazione o sullo sfruttamento.”
Naturalmente tanta
provocazione non era accettabile per nessuna Istituzione e dopo i
primi mesi di entusiasmo liberatorio e sfrenato arrivò l’11 marzo
e la polizia di Kossiga, novello Fouchè, fece di Francesco Lo Russo
la sua prima vittima dell’anno, appositamente direi, e precipitò
il livello dello scontro, e vennero tempi di leggi speciali, di
galere e clandestinità, di eroina lasciata correre nelle vene come
sedativo di massa, del teorema Catalanotti. Il 12 marzo, mentre a
Roma scontri durissimi vanno avanti fino a notte fonda, a Bologna
viene chiusa, durante la diretta, radio Alice. Il 14 marzo vengono
arrestati Saviotti, i fratelli Minella e Marzia Bisognin. Bifo riesce
a scappare in Francia. Angelo Pasquini viene arrestato il 4 aprile al
funerale di suo padre.
Ciò nonostante nel
giugno ’77 A/traverso esce con un numero contro la
criminalizzazione del dissenso da cui: “ …Ma l’unica cultura
vivente è quella del movimento. Gli unici poeti italiani che abbiano
saputo cogliere il respiro della storia sono – come Angelo Pasquini
e Stefano Saviotti – in carcere, oppure come Nanni Balestrini
perquisiti e perseguitati , o, come Bifo latitanti. Quando la cultura
deve farsi , per il potere, organizzazione del consenso, ecco allora
che lo stato decreta che il dissenso è criminale, e la persecuzione
stalinista non colpisce la scrittura, la teoria, la poesia, ma la sua
capacità trasversale di collettivizzazione e trasformazione..Non si
tratta di costringere la poesia alla storia, ma di riconoscere che è
solo il respiro della rivolta, lo spessore della storia, a dare al
testo la densità della poesia.”
Il movimento del ’77 è
stato creativo, fulminate, celibe, forse per questo non ha lasciato
eredi. Come dice Torrealta: ”l’avanguardia che si mette l’anello
al dito definendosi tale è un’Avanguardia Sposata, quella che
invece non pensa a definirsi ma canta e balla, dipinge e suona, è
invece un’Avanguardia Celibe.
Per quanto possa
ricordare nessuno del movimento del ’77 si è mai definito
avanguardia. Gli unici a farlo furono i seguaci della lotta
armata…altri decisero di spogliarsi, di segnarsi il viso e il
corpo, come selvaggi in una cerimonia iniziatica, di dimenticare la
grammatica e la sintassi, di anagrammare le parole sconosciute, di
parlare in versi, di regredire al livello più lontano del passato e
di immaginare gli scenari più avanzati del futuro, di riprovare a
reinventarsi tutti i linguaggi del mondo , perché tutti i linguaggi
del mondo avevano già fallito.”
il manifesto/Alias – 18
marzo 2017
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