Un gramsciano lontano
dall’accademia
di Franco Lo Piparo
Tullio De Mauro aveva diverse qualità. Una era ineguagliabile. Il
suo stile di vita corrispondeva alla sua produzione scientifica. Quando da
giovane laureato sono andato a presentarmi da lui per fargli leggere la tesi
fui accolto come mai nessuno dei professori cosiddetti democratici mi aveva
accolto. Mi sono sentito subito a mio agio.
Siamo nell’autunno del 1969 nell’Università di Palermo. De Mauro
non era solo un bravo professore. Era un intellettuale che interveniva sui
giornali e creava opinione. Era noto fuori d’Italia. Aveva al suo attivo opere
fondamentali, tradotte in varie lingue, e su cui molte generazioni di linguisti
e filosofi del linguaggio si formeranno, non solo in Italia: Storia
linguistica dell’Italia unita, 1963; Introduzione alla semantica,
1965; traduzione e commento del Cours de inguistique générale di
Ferdinand de Saussure, 1967.
Era anche cattedratico giovanissimo e questo lo rendeva ancora
più affascinante. Almeno a noi che respiravamo l’aria del Sessantotto.
Naturalmente quello che per noi era fattore attrattivo non era ben apprezzato
dai colleghi glottologi anziani. Amava raccontarmi con una punta di orgoglio
che fu bocciato da arcigni e ignoti professori al suo primo concorso
universitario. Il pezzo forte delle sue pubblicazioni era quello che da tutti è
considerato un classico della storiografia linguistica: Storia linguistica
dell’Italia unita. La motivazione della bocciatura fu che non si trattava
di opera scientifica ma di un pamphlet politico.
La stupidità, tutta accademica, degli arcigni professori a modo
suo aveva visto bene. De Mauro fu un linguista gramsciano, quanto di più
lontano si possa immaginare dall’accademia. Quell’opera valutata negativamente
dall’accademia, oltre che una inedita ricostruzione della storia delle vicende
linguistiche dell’Italia unita, è anche un programma teorico che affonda le sue
radici nei Quaderni di Gramsci.
L’ascendenza gramsciana, però, di quell’opera l’ho capita dopo,
molto dopo. È accaduto quello che accade ai classici. Intercettando lo spirito
profondo e nascosto di altri classici (i Quaderni nel caso specifico)
costringono a rileggere con sensibilità nuova i testi che hanno ispirato il
nuovo approccio. Un virtuoso corto circuito.
Alcune delle colonne portanti dell’approccio gramsciano di De
Mauro alle lingue provo a elencarle.
(1) Le lingue esistono in quanto sono parlate o sono state
parlate. Sembra banale ma non lo era nel panorama linguistico degli anni
Sessanta e Settanta del secolo scorso e credo che non ne siano ancora del tutto
chiare tutte le implicazioni teoriche. Questo vuol dire che in ogni lingua è
leggibile la storia dei conflitti e delle conquiste o delle sconfitte dei suoi
parlanti.
(2) Non esiste la lingua ma la coppia lingua-parlanti. E i
parlanti parlano e/o scrivono non per eseguire regole grammaticali ma per
affrontare problemi che linguistici non sono.
(3) Ciò vuol dire che il senso delle parole e dei modi di
dire è il protagonista delle vicende linguistiche. La semantica è la parte del
linguaggio che guida le altre.
De Mauro questo lo spiega già in opere giovanili come l’Introduzione
alla semantica e nella interpretazione che dà del Cours di Saussure
e delle Ricerche filosofiche di Wittgenstein. Lo approfondirà ancora
meglio in Minisemantica (1982), altra opera di diffusa circolazione internazionale.
I tre pilastri esposti qui in maniera sommaria sono riassumibili
nella costitutiva natura politica delle lingue. Erano due gli autori da cui De
Mauro traeva suggerimenti e ispirazioni.
Uno era l’Aristotele che faceva derivare la specificità delle lingue
storiconaturali dal fatto che l’uomo è animale che può vivere solo come parte
di una città. “Città” in greco polis, donde la definizione di uomo come
animale politikón che letteralmente significa per l’appunto “animale per
natura cittadino”. L’altro era Antonio Gramsci che spiega diffusamente e
analiticamente come nessun potere-egemonia può essere esercitato senza la
cooperazione linguistica e, per questo, chiarisce in maniera incontrovertibile
la politicità di ogni questione linguistica.
La lettura in parallelo della Storia linguistica di De
Mauro e dell’ultimo Quaderno a noi noto, scritto da Gramsci nella
clinica Cusumano nell’aprile 1935, è molto illuminante. Il titolo di quel
quaderno era, se mi è consentito di invertire il prima e il dopo, molto demauriano:
Lingua nazionale e grammatica.
L’impalcatura filosofica che qui ho tratteggiato De Mauro l’ha
declinata in numerosi saggi di alta teoria ma l’ha anche tradotta impegno
politico quotidiano. Convinto che la crescita individuale e collettiva non è separabile
dalle abilità linguistiche è stato un attentissimo analista dei livelli
culturali in cui è stratificata una società.
Penso proprio che De Mauro aveva ragione ad essere orgoglioso
della bocciatura al concorso universitario perché linguista politico. Non
sapendo gli arcigni glottologi che col loro giudizio univano De Mauro con
Aristotele.
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