L'antico teatro greco di Siracusa
“Carena” approda a teatro
Yves Bergeret torna in Sicilia per
realizzare un progetto non solo ambizioso, ma che immerge in maniera
definitiva e irreversibile la scrittura sua e di tutti nella realtà
contemporanea: portare in scena a Catania (in collaborazione con la
brava regista Anna Di Mauro) il suo poema Carène, ancora inedito a stampa – ma di cui Yves stesso nel suo spazio Carnet de la Langue-Espace e Francesco Marotta (eccellente traduttore in italiano del poeta francese) sulla Dimora del Tempo sospeso hanno offerto degli ampi estratti.
Carène è un’Odissea
contemporanea, i suoi eroi-Ulisse sono persone in carne e ossa che
vivono ancora adesso, ancora in questi istanti la loro realtà di
migranti; i nomi degli eroi del poema richiamano per assonanza i nomi
reali dei migranti con i quali Yves è entrato in contatto in Sicilia,
dai quali si è fatto raccontare le singole storie personali, con i quali
ha lavorato ai suoi tipici poemi figurati, con i quali è rimasto in
contatto anche quando periodicamente si è allontanato dalla Sicilia per
periodicamente farvi ritorno, scrivendo come in presa diretta Carène,
i cui Ulisse-migranti, Ulisse-marinai-della-vita sono nello stesso
tempo giovanissimi migranti maliani e senegalesi e antichissimi uomini
che portano nella loro carne e nella loro stratificata memoria millenni
di civiltà e di migrazioni. È così che Alaye, uno dei protagonisti del poema, si chiama in realtà Ali e Husséni
Séni, due giovani migranti che, nella loro non facile vita quotidiana,
posseggono una volontà inflessibile di studiare e di trovare la propria
strada, fungendo anche da mediatori culturali tra i propri compagni di
migrazione e la complicatissima realtà siciliana e italiana cui sono
approdati (realtà, occorre sottolinearlo, non sempre benevola nei loro
confronti, ma talvolta – e uso a ragion veduta tali parole – razzista e
schiavista), oppure provando ad essere menti capaci d’osservare,
analizzare, comprendere e far comprendere la migrazione in ogni suo
aspetto, in ogni suo risvolto geografico e politico: e i flussi
migratori sono anche, in molti casi e in certe situazioni, mero
commercio di persone, una compravendita di esseri umani (non importa la
loro provenienza, età, sesso) ridotti a merce sottoposta a tariffe,
ricatti, minacce quando necessario.
Nel progetto in fase d’attuazione
Ali collabora con l’équipe quale vero e proprio consigliere culturale,
essendo egli capace di sviluppare un’articolata riflessione sulla realtà
migratoria e sui suoi rapporti con le popolazioni locali, mentre Séni è
molto attento ai rapporti tra territori di provenienza e territori
d’approdo.
Yves stesso, radicalmente
antagonista del tipo dell’intellettuale europeo sedentario e compiaciuto
di sé e della propria erudizione, è uno scrittore migrante, incapace di
rimanere fermo a lungo in un luogo, ancor meno nelle soffocanti pareti
di uno studio: l’alta montagna, il mare, il deserto, lo spazio che si
dilata abitato contemporaneamente dal vento-luce e dall’occhio
curiosissimo dell’essere umano, dai richiami degli uccelli e dalla
fantasia illimitata del poeta, dalla morte violenta di tantissimi
fratelli in umanità e cultura e dal desiderio di comprensione e
d’incontro, questi spazi vastissimi accolgono Carène e ne
restituiscono l’eco necessaria che bussa, violenta e inconciliata, alle
porte della coscienza occidentale. E non ci si meraviglia, allora, che
parole scritte con l’inchiostro sulla carta vogliano farsi personaggi
che agiscono e parlano con voce d’esseri umani, persone che mostrano sé
stesse (il loro corpo, il loro passato, il loro presente) ad altre
persone – le parole del poema sono infuocate e solenni, dolci e
disperate, coraggiose e umanissime; la Sicilia, terra dalle
contraddizioni più profonde e dagli slanci più inattesi, vera regione di
confine tra un mondo spinto alla disperazione e un altro spesso chiuso e
incapace di comprensione, ospita questo poema-in-atto che non
appartiene alla moda, pur diffusa, di certa letteratura europea che si
china, condiscendente e pietosa, sulla realtà delle migrazioni: Bergeret
non solo va a parlare e vive con i migranti, ma con loro crea
concretamente poesia e pittura, con loro dialoga anche in versi e in
pittura, ne cerca e ne sollecita l’essenza profonda di giovani uomini
assetati anche di bellezza e di conoscenza – perché c’è pure questo in Carène
e in tutto il lavoro di Yves, la dimostrazione non teorica o
velleitaria, ma fattiva e riscontrabile nella realtà che chi attraversa
prima il deserto a rischio continuo della vita e poi su di un
fragilissimo guscio di noce il Mediterraneo non cerca soltanto un
approdo di pace e un lavoro che gli dia il pane, ma, da essere umano,
nutre e reca in sé anche desideri e valori molto più alti rispetto ai
bisogni basilari per la sopravvivenza.
È così che la parola cultura riacquista
la propria dignità spesso perduta o tradita e il proprio significato
che è quello del coltivare ciò che, in ognuno di noi, è umano, è così
che le genti migranti fanno udire le loro voci, che nel poema di Yves
hanno anche movenze di litania e di canto comunitario, di elegia e di
ribellione, di tradizione e di slancio verso nuovi orizzonti, venendo a
creare una cultura meticcia, cioè ricca di slancio e di fantasia, di
bellezza e capace di costruire davvero, non retoricamente, la pace.
(Tratto da qui)
https://rebstein.wordpress.com/2017/03/08/carena-approda-a-teatro/
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