Quando Sinatra cantava per il Padrino
Beniamino Placido
In tutti (quasi tutti)
gli articoli su Frank Sinatra, in tutte (quasi tutte) le trasmissioni
televisive dedicate a questo grande, grandissimo cantante
nell'occasione della sua morte, si poteva notare un punto scuro, una
zona d'ombra. E di sospetto. Di ambiguità. I suoi rapporti con la
Mafia. Mai acclarati. Mai convertiti in prove di tribunale. Ma noti a
tutti. E da lui stesso quasi sbandierati. La familiarità con Lucky
Luciano. Le strette di mano con Sam Giancana. Le carezze
abbondantemente profuse a donne reduci da altre carezze, promiscue,
di sospetta provenienza. Le allusioni, nemmeno tanto coperte, che si
ritrovano nel film Il padrino di Francis Ford Coppola. E
prima, nel romanzo omonimo di Mario Puzo.
La cosa non ci crea
angosciosi problemi. Sappiamo benissimo che il giudizio su un
personaggio si dà sulla base di una somma non banalmente aritmetica,
ma algebrica. Si mette un più o un meno dinanzi a ciascuno degli
addendi, poi si vede il risultato. A Sinatra assegneremo un bel "più
dieci" per la qualità della sua voce e della sua presenza
scenica. Un "meno due" per i suoi rapporti di eccessiva
confidenza con i mafiosi d' America. Ne viene fuori un bell'"otto".
Si può accontentare, là dove adesso si trova.
Rimane un problema.
Specie in Italia, patria di Machiavelli, dove si professa e si
pratica una curiosa forra di "machiavellismo bambocciante".
Che fa tirar fuori - anche in questa circostanza - i nomi di grandi
artisti. Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio: quante ne ha
combinate, nella sua movimentatissima vita. Però accidenti, quanti
bei quadri ci ha lasciato. Anche qui: facciamo la somma algebrica
delle sue virtù e di quel pittore. La somma risulta ampiamente
positiva; e ci rechiamo tranquillamente, ogni volta che possiamo, a
guardare le storie e le crocefissioni da lui dipinte. A San Luigi dei
Francesi o a Santa Maria del Popolo, se viviamo a (o se siamo di
passaggio per) Roma.
I guai cominciano quando
intervengono le mamme. Le mamme italiane. Delle quali pensiamo tutto
il bene, e tutto il male possibile, insieme. Le quali mamme, quando
sentono che il loro bamboccio è biasimato a scuola perché troppo
indolente, o troppo impertinente, corrono sdegnate a protestare con
la maestra. "Come si permette? Ma non lo sa, lei, che tutti i
grandi uomini erano indolenti e insofferenti (ed anche peggio) a
scuola?". La povera maestrina si vede costretta a spiegare
pazientemente alla madre del bamboccio: "Sarà vero. Tutti i
grandi uomini (ma proprio tutti?) a scuola andavano male, e ci
andavano malvolentieri. Ma non tutti quelli che a scuola sono pigri,
strafottenti e zucconi diventano poi dei grandi uomini, da adulti".
Però il male ormai è
fatto. Diventati grandi, nel senso di adulti, quegli ex-bambocci si
danno a predicare il "machiavellismo bambocciante". Il tale
ha rubato? Embè, quanti altri creatori di imperi industriali e
commerciali non hanno rubacchiato, nel passato? E Giulio Cesare aveva
fama di essere un furfante, prima di partire per le Gallie. E Frank
Sinatra - hai visto? - non spregiava i buoni rapporti con i mafiosi
americani. Epperò, che voce!
Succede allora,
paradossalmente, che il rapporto di contiguità (ambigua) fra una
condotta di vita discutibile e una prestazione artistica eccellente
diventa quasi un rapporto di causa-effetto. È perché frequentava i
mafiosi, che Sinatra cantava tanto bene. Come dobbiamo comportarci
con i personaggi bambineschi che la pensano (se questo è pensare) in
questo modo? Prendendoli sul serio. Tu difendi le tue furfanterie con
l'argomento: ma anche Giulio Cesare... Bene, vammi a conquistare
almeno un paio di Gallie, poi al ritorno, ne riparleremo. Tu vuoi
fare il cantante e per aiutarti nella carriera, rivendichi il tuo
diritto a frequentare la Camorra. Va bene, te lo concedo. A patto che
tu mi dimostri, prima, di avere una voce all' altezza di quella
"Voce". Così ce li saremo tolti di torno. Per un po' ,
mica per tanto.
Beniamino Placido in “la Repubblica”, 19
maggio 1998
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