Goffredo
Fofi è nato a Gubbio nel 1937. Il 15 aprile compirà 80 anni. Fra le testate che
ha creato e diretto: i «Quaderni Piacentini», «Ombre rosse», «Linea d’ombra» e
«Lo Straniero»
Goffredo Fofi: “Non rinuncio ad essere uno Straniero in Italia”
Una vita di letture, scoperte e riviste militanti tra la “regina” Morante, i bambini di Dolci, Bilenchi
Intervista a cura di mirella
serri
«José
Saramago, che gran signore! Elegantissimo, raffinato e molto di sinistra. E lo
dichiarava senza mezzi termini: quando il premio Nobel portoghese intervenne a
una pubblica manifestazione a Roma volle che ci fossi io a dialogare con lui,
desiderava un interlocutore politicamente affine. Elsa Morante è stata un
grande amore, il nostro è stato un rapporto caratterizzato da un intenso
coinvolgimento non solo emotivo e culturale ma pure molto fisico ed erotico»:
fluiscono come un fiume i ricordi di Goffredo Fofi, critico teatrale, cinematografico
e letterario nonché maître à penser del nostro tempo (ma guai a definirlo così!
non ama nemmeno essere chiamato intellettuale).
Al centro
della memoria del saggista vi sono i suoi privilegiati e intensi rapporti con i
grandi della letteratura, da Yehoshua a Salman Rushdie, da Kurt Vonnegut a
Derek Walcott per arrivare a Roberto Saviano, Antonio Scurati, Nicola Lagioia e
Elena Ferrante. Queste e tante altre celebrità hanno dato il loro contributo
alle numerose e storiche testate create e dirette da Fofi come i Quaderni
Piacentini, Ombre rosse, Linea d’ombra e Lo Straniero. Adesso quest’ultima
pubblicazione chiude i battenti e la sua avventura politica e artistica la
possiamo ripercorrere nella mostra «Resistere all’aria del tempo.Venti anni de Lo
Straniero» (testi letterari e 200 splendide copertine sono esposti nella
rassegna realizzata presso la Biblioteca Centrale nazionale di Roma a cura di
Alessandra Mauro e Alessandro Leogrande con Contrasto).
Fofi, gli
autori che hanno scritto per i suoi periodici sono stati dunque anche le
presenze più assidue della sua vita?
«In alcuni
casi certamente: per tornare alla Morante è stata per me un punto di
riferimento, la chiamavo la Regina: era sicura di sé e consapevole delle sue
capacità. Non si tirava mai indietro quando c’erano discussioni e polemiche.
Anna Maria Ortese, al contrario, era spaventata e sempre sulla difensiva. Aveva
alcune debolezze molto commoventi e molto femminili: “Goffredo tu non mi vuoi
bene”, mi disse una volta. “Di Elsa hai scritto che era una bella donna e di me
non lo hai mai detto”».
Lei è stato
anche maestro, assistente sociale e ha spesso scelto come suoi interlocutori i
movimenti giovanili. Ne ha ricavato molte soddisfazioni?
«Grazie ai
ventenni a volte il discorso culturale è diventato vivo e incisivo. Ai giovani
va il merito in alcuni casi di saper coniugare pensiero e azione. Tra le doti
che mi riconosco c’è una grande curiosità e il desiderio di partecipare. Ero
ancora un ragazzo quando sono salito su un treno per andare in Sicilia e dare
il mio contributo alla comunità di Danilo Dolci insegnando ai bambini. Poi mi
sono trasferito a Torino dove una delle esperienze più travolgenti è stata la
collaborazione con Ada Gobetti al Centro dedicato alla memoria di Piero. Mi sentivo
a mio agio in quel contesto segnato da un’impronta etica e morale molto
forte».
Centrale è
sempre stato per lei il rapporto tra espressione artistica e realtà. A quali
romanzieri e poeti vanno le sue preferenze?
«A Svetlana
Alexievich che sembra quasi un personaggio di un romanzo di Tolstoj, molto
semplice, animata da un fuoco interno e da un interesse fortissimo per chi
soffre. Carmelo Bene quando lo conobbi mi conquistò come una persona veramente
speciale: in privato era dolcissimo e per nulla intollerante e aggressivo come
appariva in pubblico. Celava però un’ombra di diffidenza. Ti accettava solo
quando aveva capito che di te si poteva fidare. Pier Paolo Pasolini era
affabile, cortese (a volte persino troppo) e generoso. Quando seppe che Linea
d’ombra era in difficoltà mi offrì un contributo che rifiutai per non trovarmi
in un conflitto d’interessi: lui era un regista e io un critico
cinematografico. Nonostante la grande disponibilità, Pasolini manteneva una
specie di distanza tra sé e gli altri, che superava solo con il suo ristretto
gruppo di intimi, di cui facevano parte, oltre la nipote Graziella Chiarcossi,
Alberto Moravia ed Enzo e Flaminia Siciliano».
A lungo è
stato detto che fosse lei l’autore dei romanzi firmati con lo pseudonimo Elena
Ferrante. Lusingato?
«Lo hanno
detto anche di altri. Io ho fatto da mediatore tra la casa editrice e/o che
pubblica la Ferrante e Mario Martone quando voleva trarre un film da L’amore
molesto. Ma ho sempre sospettato che dietro il nome de plume si nascondesse
Anita Raja e che i suoi romanzi fossero anche il frutto di una collaborazione
con suo marito, Domenico Starnone. Ne riconosco lo stile. La Ferrante però ha
una sua profonda autonomia e scrive spinta da un’esigenza affettiva
caratterizzata da un notevole super io».
I libri
della sua formazione?
«Mio padre
era un operaio emigrato, leggeva l’Avanti! e la Gazzetta dello Sport. Fin da
piccolo sono stato avido di giornali e fumetti e poi sono arrivati i Fratelli
Karamazov di Dostoevskij che mette in scena mirabilmente la complessità
dell’animo umano e le opere di Carlo Levi che mi hanno fatto capire la vita dei
contadini del sud. Ma le mie letture spaziavano in tanti settori, da
Schopenhauer a Roberto Longhi ai narratori italiani come Romano Bilenchi, Italo
Calvino e Paola Masino».
«Lo
Straniero» lascia un vuoto nella nostra cultura e anche nella sua esistenza?
Cosa farà?
«Mi
dedicherò al mensile Gli asini. In queste pagine redatte da scrittori dai 25 ai
35 anni si parla di grandi banche ma anche dei nuovi movimenti studenteschi
attivati dalla presidenza di Trump. Ci siamo anche assunti l’incarico di
indicare quel poco di buono e di accettabile che c’è nella nostra folle
editoria che sforna ben 18 mila romanzi ogni anno. La cultura deve assumersi le
sue responsabilità ed essere non solo qualcosa di digestivo e di consolatorio».
L’epigrafe
che accompagna la mostra dedicata a «Lo Straniero» è tratta dal Congedo del
viaggiatore cerimonioso di Giorgio Caproni: «Ma, cos’importa. Sia/ come sia,
torno/ a dirvi, di cuore, grazie/ per l’ottima compagnia». Ma Fofi, gran
viaggiatore con bastone, eskimo e barba bianca, non rinuncia alle sue
esplorazioni: il sottotitolo di questa sua ultima rivista è «Dentro un mondo
nuovo».
Da LA STAMPA 24/03/2017
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