Intorno 1476 Antonello
da Messina dipinse uno straordinario ritratto di uomo, da allora
definito “l'ignoto marinaio”. Oggi una nuova ricerca storica
chiarisce il mistero: si tratterebbe di un vescovo vicino agli
aragonesi.
Tano Gullo
Ecco chi è l’Ignoto
marinaio di Antonello
Il secondo sorriso più
famoso al mondo, dopo quello della Gioconda, non è di un marinaio di
Lipari, come si pensava. Ora ci sono le prove che confermano i dubbi
che storici dell’arte come Roberto Longhi avevano insinuato nel
secolo scorso.
Un sigillo sul retro
della preziosa tavola di noce intrisa di smalto, pigmento e olio di
lino, conservata al museo Mandralisca di Cefalù, svela il mistero e
apre una pista che porta dritta all’identità dell’ignoto
protagonista del capolavoro di Antonello da Messina.
Altro che navigante,
l’enigmatica espressione appartiene a un potente
vescovo-ambasciatore, precettore di Ferdinando II d’Aragona, re di
Spagna e di Sicilia, quello che con la moglie Isabella di Castiglia
finanziò l’impresa di Colombo.
Il suo nome è Francesco
Vitale, di origini pugliesi, che resse la diocesi di Cefalù dal 1484
fino alla sua morte avvenuta nel 1492. La clamorosa scoperta è
dovuta a tre studiosi: Sandro Varzi, conservatore del museo
Mandralisca, il figlio Salvatore, esperto di araldica, e Alessandro
Dell’Aira, scrittore. Il percorso per svelare l’identità del
personaggio sarà raccontato in un libro, Sfidando l’Ignoto,
pubblicato nelle edizioni Torri del Vento.
Tutto ha inizio quando
Sandro Varzi, nel fotografare e ripulire l’opera, in partenza per
l’Expo di Milano, nota un sigillo a cui nessuno fino ad allora
aveva fatto caso. «Il sigillo che mostrava gli emblemi vescovili –
dice Varzi – ci ha indotto a cercare nell’albero genealogico
della famiglia Pirajno, che possedeva l’opera, dove però non c’era
nessun presule. Ma cerca che cerca ci siamo imbattuti in Giuseppe
Pirajno, che era stato vicario di ben tre vescovi di Cefalù e che,
in assenza dei titolari, a metà Settecento, aveva esercitato per
parecchi anni un grande potere nella curia, tanto da ottenere la
potestà di utilizzare lo stemma episcopale.
Il sigillo sul quadro è
riferibile all’incirca al 1738. Un analogo sigillo chiude il
testamento del vicario stesso. Quindi c’è la prova che l’opera
era stata acquisita nel patrimonio dei Mandralisca ben prima che il
barone Pirajno (1809-1864), quello raccontato da Consolo, facesse la
spola con Lipari, l’isola natia della moglie, dove avrebbe trovato
l’opera». Tutto questo accadeva almeno un secolo e mezzo prima che
a qualcuno venisse in mente di attribuire il sorriso a un marinaio.
Ma perché il
rivoluzionario barone Mandralisca, esaltato poi da Vincenzo Consolo
nel suo capolavoro Il sorriso dell’ignoto marinaio come eroe
risorgimentale, non ha mai smentito la favola della figlia dello
speziale eoliano che in un impeto di rabbia aveva sfregiato il quadro
dell’uomo che la rifiutava?
Un altro enigma nel
misterioso contesto. Con la documentazione della vera identità
chiudiamo il capitolo sul marinaio e apriamo quello relativo a
Francesco Vitale. La sua vita è stata una grande avventura
culturale, politica ed ecclesiastica. Laureato alla Sorbona di
Parigi, trascorse anni alla corte aragonese dove educò alle lettere
il piccolo Ferdinando. Poi, da ambasciatore compì delicate missioni
per conto del monarca e infine fu vescovo di Siracusa e Cefalù, dove
morì nel 1492.
Probabilmente Vitale
conobbe Antonello a Venezia, dove il pittore era all’opera intorno
al 1476. Ovviamente il vescovo portò con sé il ritratto. Bisogna
considerare che solo personaggi facoltosi potevano permettersi un
quadro del messinese. Altro che marinaio. Individuato il
protagonista, i tre autori dell’indagine si mettono al lavoro per
trovare altri elementi per convalidare la loro ipotesi. Scoprono
delle tracce utili in sette medaglie rinascimentali dedicati al
Vitale, in disegni d’epoca in cui ritrovano le fogge del vestito
dell’ignoto, e in un incunabolo in cui c’è la prova che Vitale
morì a Cefalù.
«Quest’ultimo
dettaglio è importante perché prova che i suoi beni restarono
nell’archivio storico della diocesi siciliana – dice Varzi –
Tra tutti gli indizi che abbiamo trovato, c’è un quadro che
raffigura Ferdinando addobbato come il protagonista del ritratto. E
Vitale era certo autorizzato ad abbigliarsi con i preziosi vestiti in
uso dal re. Consideriamo questa una delle prove più evidenti che ci
ha aiutato a svelare l’enigma».
Che il quadro fosse di Antonello non ci sono mai stati dubbi, almeno da quando nel 1860 Giovan Battista Cavalvaselle fece una perizia sulla tavola. In quella circostanza fece dei disegni di suo pugno. «Utili – dice Salvatore Varzi – per ricostruire i restauri e gli interventi fatti sul quadro. Questi preziosi bozzetti oggi sono conservati alla Biblioteca Marciana di Venezia. Nella sua relazione e nello scambio epistolare col barone nessun accenno alla provenienza e all’identità del ritratto.
Come abbia preso il volo
la storia del marinaio resta inspiegabile». «E dire – conclude
Dell’Aira – che già negli anni Trenta, Giovanni Cavallaro,
giornalista de L’Ora, aveva scritto che, per l’abbigliamento,
doveva per forza trattarsi di un uomo di alto rango. Ma gli storici
guardavano in modo miope alla favola preconfezionata chissà da chi».
Potenza della suggestione.
la Repubblica - 27 marzo
2017
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