Con l’aiuto di Alberto Crespi diamo l’addio a Chris Marker, il regista di «Le Jetée»(1962), il corto più famoso del mondo che oggi si può rivedere in rete. Il cineasta è morto il giorno del suo 91° compleanno.
Chris Marker, genio sperimentatore
. . .
Non più tardi di una settimana
fa, all’Est Film Festival di Montefiascone, abbiamo avuto il piacere di
incontrare Terry Gilliam e di rivedere L’esercito delle 12 scimmie.
Davanti a quel film, che pure non è affatto male, non abbiamo potuto fare a
meno di pensare per l’ennesima volta quanto è più bello, più geniale, più
importante il cortometraggio La jetée al quale è ispirato. E siamo
sicuri che Gilliam sarebbe d’accordo con noi. È doppiamente sconcertante,
quindi, apprendere oggi che l’autore di quel micro-capolavoro, Chris Marker, è
morto. Alla coincidenza si aggiunge la sorpresa: avevamo il sospetto che Marker
fosse scomparso già da tempo, ma che nessuno ce l’avrebbe mai detto, perché una
delle caratteristiche di questo artista era la ritrosia. Esistono pochissime
sue foto, da molti anni non si faceva vedere e rilasciava poche (ma densissime)
interviste: al confronto Terry Malick e Stanley Kubrick erano/sono dei
compagnoni. Chris Marker era quel che si definisce un cineasta «appartato», e
un grande sperimentatore del linguaggio. Nonostante questa sua invisibilità, la
sua influenza è fortissima su tutto il cinema che si fa oggi, al di là di Terry
Gilliam. E non sarà facile spiegare il perché.Bisogna comunque partire da lì, da La jetée. Realizzato nel 1962, questo misterioso oggetto dura 28 minuti e la sua visione dovrebbe essere obbligatoria per chiunque ami il cinema. Di più: La jetée dovrebbe essere, per tutti, il primo film da vedere nella vita. È come se tutto cominciasse lì, anche se nel ’62 la settima arte aveva già 70 anni. Il film ha una trama apparentemente esile, in realtà fortissima: un bambino si trova con i genitori all’aeroporto parigino di Orly e assiste a un omicidio.
Trent’anni dopo il bimbo, divenuto uomo, si ritrova in un futuro post-atomico dove alcuni scienziati gli fanno sperimentare il viaggio nel tempo, rimandandolo a Orly nel momento dell’omicidio. Qui si compie un paradosso temporale che è il «grado zero» di tutti i viaggi nel tempo che il cinema e la letteratura possano aver immaginato. L’originalità di La jetée (parola che in francese indica i moli d’imbarco degli aerei) consiste nel fatto che, in 28 minuti, ci sono solo immagini fisse: fotografie in uno smagliante bianco e nero, con una voce fuori campo quasi ininterrotta che racconta la storia e i suoi addentellati scientifico-filosofici. Al sito internet http://www.intercom.publinet.it/2001/jeteel.htm potete trovarne la trascrizione integrale, in francese e in traduzione italiana. Il film è visibile in rete (su youtube e su altri siti) in tutte le salse, integrale e a frammenti: vederlo così -cosa che vi consigliamo caldamente di fare, saranno i 28 minuti meglio spesi della vostra vita -è un gesto quasi dadaista, se si pensa al riserbo con cui Marker ha vissuto la propria arte e la propria vita. Ma un teorico del cinema polimorfo, quale lui era, forse apprezzerebbe.
Perché parliamo di cinema polimorfo? Perché La jetée, e in generale tutta l’opera di Marker, sono una smentita del luogo comune per cui un film è una «cosa» che può durare due ore, o poco meno, e deve «raccontare una storia». Come si diceva, La jetée ne dura 28 ed è forse la più grande storia che il cinema abbia raccontato. Le fond del’air est rouge, film di montaggio sulla storia del comunismo che parte dalle immagini della Corazzata Potemkin per arrivare alla sua contemporaneità (è del 1977), dura 4 ore. Nella sua sterminata filmografia ha frequentato tutti gli stili e tutti i formati. Uno dei suoi film più belli è sicuramente A.K. del 1985, un ritratto di Akira Kurosawa realizzato sul set di Ran: si può dire che, nell’occasione, abbia inventato gli extra dei dvd! Un’altra coincidenza abbastanza clamorosa, in questi giorni, è che il suo primo lungometraggio risulti essere Olympia 52, film ufficiale sui Giochi di Helsinki del 1952. Tra i molti progetti collettivi ai quali Marker ha collaborato il più celebre è sicuramente Loin du Vietnam (1967), il celebre manifesto contro la guerra co-firmato con Joris Ivens, Claude Lelouch, Alain Resnais, Agnès Varda, Jean-Luc Godard e William Klein.
Forse
l’elusività di Marker e il suo gusto per il lavoro collettivo vengono tutti da
quel suo cognome, che era solo il primo dei suoi tanti pseudonimi: era il suo
nome di battaglia durante la Resistenza, alla quale partecipò attivamente. Il
suo vero nome era Christian-Francois Bouche-Villeneuve ed era nato il 29 luglio
1921 a Neuilly-sur-Seine. Che sia morto il 29 luglio del 2012, giorno del suo
91esimo compleanno – studiatevi bene tutte queste date, nascondono una perfida
numerologia – è forse l’ultimo dei suoi calembour. Se volete cominciare a
scalfire il pianeta-Marker leggete la voce francese di wikipedia o andate nel
suo sito www.chrismarker.ch (in francese) o www.chrismarker.org (in inglese). Ma fatelo solo se avete una
settimana di ferie, l’argomento è immenso. Buona caccia.
Alberto Crespi, su
L’Unità del 31 luglio 2012