Sul Quaderno Nuova Busambra, fresco di
stampa, di cui abbiamo già parlato, viene recuperato un testo importante e poco
noto di Vincenzo Consolo, pubblicato
nel 1997 dalla rivista La nuova ecologia. Lo riproponiamo anche in queste pagine:
Vincenzo
Consolo,Conversazione in Sicilia
Questa è una serata nobile. Nobile perché è
assolutamente gratuita, fatta non tanto in omaggio a me, quanto in omaggio
della memoria. Lo scrittore infatti è un custode di memoria.
Molte volte, ad esempio, ci si è chiesti che
cosa significhi la parola Omero. La parola "omeros", nel greco
antico, si traduce in italiano con la parola "ostaggio". E ci si è
chiesti il perché di questo significato. Ostaggio di chi? Ebbene il poeta,
quello che noi chiamiamo Omero, naturalmente è ostaggio della memoria, della
tradizione (...)
Italia,
terra privilegiata
Noi Italiani, da sempre siamo fortunati, perché
siamo nati in una terra estremamente ricca e bella, dal punto di vista storico
e da quello naturale.
Però, vivendo tra tanta bellezza, abbiamo finito
per non vederla più, e sono stati quei viaggiatori, a partire da Montaigne nel
'500, per arrivare sino agli ultimi viaggiatori dell' '800 (i nomi sono
tantissimi), che ci hanno fatto scoprire il nostro Paese. Ci hanno fatto vedere
quale preziosa eredità noi avevamo ricevuto dai nostri antenati.
Ci sono pagine di viaggiatori stranieri
straordinarie, notazioni interessanti su questa bellissima Italia.
E’stato Moravia, grande conoscitore di Paesi ad
avere tracciato una sorta di classifica dei Paesi più belli del mondo. Lui
diceva che i Paesi sono belli quando alla natura uniscono anche la cultura.
Allora al primo posto, naturalmente, metteva
l'Italia, al secondo, se non vado errato, il Messico, al terzo la Spagna, al
quarto la Grecia, e così via. Quindi il nostro Paese era straordinariamente
"donato", "munificato". (...)
Le cause
del degrado odierno
Questa terra hanno finito per distruggerla.
Benché noi abbiamo imparato dai viaggiatori stranieri a vedere l'invisibile e
ad apprezzare questo luogo, questa dimora vitale, tuttavia ci siamo comportati
anche come altri stranieri, che non erano più intellettuali, ma conquistatori
che depredavano e portavano via. Se si pensa alle depredazioni che hanno fatto
i Tedeschi, gli Inglesi, i Francesi in Egitto o in Grecia. Tutto quello che
hanno portato nelle loro nazioni, depauperando queste terre di testimonianze
della loro civiltà e di grandi monumenti.
Ecco, noi ci siamo trasformati nella nostra
terra in predatori. La ricchezza che avevamo abbiamo finito per rapinarla, a
volte anche per trasferirla altrove, come certi quadri, o certe colonne, e a
volte perfino semplicemente per distruggerla sconsideratamente.
Hanno distrutto l'ambiente, hanno distrutto i
monumenti. Tutto questo è avvenuto durante la guerra, con i bombardamenti, ed è
continuato nel dopoguerra, ma io credo che la distruzione principale è avvenuta
negli anni '50-'60, con il cosiddetto miracolo economico, quando si comincio a
ricostruire e si costruì nel modo più anarchico e più insensato, senza alcun
rispetto per l'ambiente in cui le nuove costruzioni nascevano.
Giustissima la ricostruzione, però è stata fatta
nel modo più avvilente e di conseguenza è stato distrutto quello che costituiva
la "bellezza".
La bellezza
come categoria etica
La bellezza non è una categoria estetica, bensì
morale. Non è bello cioè quello che appaga soltanto il nostro senso estetico,
ma è bello quello che soprattutto appaga anche la nostra anima.
Pirandello diceva che noi siamo quello che
vediamo nei primi anni della nostra vita. Se abbiamo avuto la fortuna di vedere
luoghi belli, io credo che la nostra crescita, il nostro sviluppo morale ed
intellettuale sarà diverso da quello di un bambino che nasce in un luogo con un
orizzonte devastato, orrendo e brutto.
Questi segni esterni fatalmente si proiettano
nel nostro interno e uccidono la nostra memoria. (...)
L'utopia
di Vittorini
Vittorini, nel libro postumo che si intitola «Le
città del mondo», fa equivalere la bellezza all'armonia sociale, intesa come
base della democrazia, dove ognuno ha rispetto dell'altro. Nel libro parla del
viaggio che fanno alcune coppie di una Sicilia in movimento, quando sembrava
che l'isola dovesse togliersi di dosso quella condanna del fato, di memoria
verghiana. Vittorini, che era un «antiverghiano» e che pensava che la Sicilia
dovesse scuotersi da questa condanna del destino e che dovesse prendere un
atteggiamento attivo nei confronti della storia, scrive questo libro alla fine
degli anni '50 (senza riuscire a finirlo), dove c'è una Sicilia che parte per
diversi itinerari di vita (...) in attesa di un evento straordinario.
In quegli anni era stato scoperto il petrolio e
s'erano accese tante speranze. Vittorini aveva visto da vicino l'esperienza
olivettiana, di quel grande industriale e insieme sociologo, Adriano Olivetti,
imprenditore illuminato, che aveva creato un'industria a misura d'uomo.
Vittorini s’era entusiasmato di questa idea, che sembrava realizzare un sogno
straordinario e quindi aveva pensato che in Sicilia potesse avvenire qualcosa
di simile. Che cioè (...) l'industrializzazione potesse far diventare il
Siciliano protagonista della storia. Ma senza l'avvilimento, senza quella
schiavitù che di solito l'industria comporta nei confronti dei lavoratori. Lo
sfruttamento, l'alienazione, quello che aveva analizzato un signore, che Tomasi
di Lampedusa chiama: «un ebreuccio di cui non ricordo il nome», e che noi
invece ricordiamo benissimo e si chiama Carlo Marx.
Vittorini pensava nella sua utopia che ci potesse
essere, al di là del conflitto tra capitale e lavoro, un tipo di industria
illuminata, dove l'operaio, il bracciante, il lavoratore non venisse oppresso e
non venisse sfruttato. Utopia che si è infranta contro gli scogli della storia.
La
denuncia delle distruzioni
La storia siciliana degli ultimi cinquant'anni
di distruzione dissennata ha avuto inizio con l'abbandono delle campagne e la
trasformazione dei nostri paesini e delle nostre città. Allora vi sono stati
uomini che hanno cominciato a denunciare queste perdite, non tanto come
distruzioni materiali, quanto per i riflessi morali e sociali che determinavano
sulle persone e sulle popolazioni.
Voglio ricordare Antonio Cederna, un urbanista
che per anni ed anni è stato una voce clamante nel deserto, inascoltata, che ha
parlato e ha scritto prima sulle pagine de "II Mondo", poi su quelle
di "Repubblica", delle devastazioni, dei gravi stupri (mi si perdoni
la parola forte), che avvenivano sul territorio del nostro Paese.
Voglio ricordare un poeta come Pasolini, che con
le sue bellissime metafore, come "La scomparsa delle lucciole",
voleva simbolicamente segnalare questo mutamento nella Società. (...)
Pensiamo ai luoghi più belli e più simbolici del
cuore d'Italia, quelli che hanno subito nell'Umbria e nelle Marche un terremoto
catastrofico. Pensiamo ai luoghi che abbiamo perso, alle ferite arrecate a
monumenti come la Basilica di San Francesco, che sono delle ferite emblematiche
che in un certo senso ci dicono del nostro continuo scadimento.
In questo caso è stata la natura a determinare
la distruzione, ma in altri casi sono gli uomini ad apportare queste ferite.
(...)
Il
miracolo economico e l’origine dello sviluppo distorto
(...) Con il miracolo economico italiano si è
distrutto quella che era la cultura contadina e si è puntato solo sulla
industrializzazione. Questo intendo quando affermo che il Paese è stato
disegnato su misura per l'industria Fiat, con tutto il processo di emigrazione
interna e di spostamento, che hanno chiamato "esodo", di masse di braccianti
meridionali verso il nord. Ne è scaturito un processo massiccio di inurbamento
con costruzioni caotiche, veloci, repentine, per dare alloggi nelle periferie
delle città industriali. Anonime, atroci, definite dormitori, che sono luoghi
senza anima. (...).
Per la
difesa della bellezza
Volevo ricordare un'iniziativa che, a un certo
momento, ho deciso di prendere insieme ad altri tre intellettuali, come il
senatore dei Verdi Luigi Manconi, la poetessa Viviane Lamarque e il giornalista
Vittorio Emiliani. Ci siamo fatti promotori della difesa della bellezza, o di
quello che rimane della bellezza in questo Paese, invitando altri intellettuali
ad aderire. Subito hanno aderito cento altri intellettuali italiani, per
cercare di salvare la bellezza residua della nostra terra.
Ho cercato di spiegare il valore della bellezza,
che non è un fatto estetico, ma un fatto etico ed è anche un debito di eredità
verso le generazioni che verranno. Si è incominciato a fare qualcosa, ci siamo
riuniti la prima volta a Roma, si sta scrivendo un programma, si dovranno
scegliere tre monumenti emblematici dell'Italia settentrionale, dell'Italia
centrale e dell'Italia meridionale. Ognuno di noi dovrà perorare la causa di un
monumento storico. Per quanto mi riguarda ho scelto Noto, che è un paese che
sta crollando. Non è crollata solo la cupola della cattedrale, ma sta crollando
l'intero paese, pur essendo sotto la protezione dell'Unesco. Finora non si è
fatto niente, sono stati messi soltanto tubi Innocenti a puntellare i monumenti.
Se Noto crollasse sparirebbe uno dei segni, non solo artistici, ma anche
storici di quella che era stata la progettazione ex novo di quella insigne
città.
I primi segni di ripresa di un percorso valido
si sono avuti da parte del Governo italiano e da parte delle amministrazioni
comunali, con la demolizione di due mostri che erano stati costruiti: uno alla
periferia di Napoli che chiamano "Le Vele" e poi un albergo abusivo
sulla costa amalfitana.
Dunque ci sono già i segni del ripristino. Siamo
stati depauperati del paesaggio. Adesso è ora che si distruggano quei mostri,
draghi che bisogna abbattere.
Spero che si possa andare avanti in questo
progetto di eliminazione di orrori, per rendere più vivibile questo nostro
paesaggio, questo nostro ambiente.
Cercare di far rinascere la Conca d'Oro, cercare
di far rinascere la Piana di Milazzo, per quanto compatibilmente oggi si possa
fare, cercare di recuperare dei beni che e erano e che abbiamo perduto.
Credo che questo sia compito di noi oggi riuniti
in questo scorcio del secondo millennio, e faccio questo augurio a me stesso,
di poter vedere il paesaggio in qualche modo ricompensato, e a noi stessi di
essere in qualche modo ricompensati delle terribili perdite che abbiamo
sofferto.
Siamo
figli della cultura
Considero questa bella serata come omaggio a
Omero, poeta della memoria. Ho avuto la sorte di vivere a cavallo tra la
civiltà contadina e la civiltà industriale, che ho visto nascere, e poi tra due
luoghi estremi come la Sicilia e Milano, sono stato testimone di una grande
trasformazione e quindi ho cercato di conservare la mia memoria e di
trasferirla agli altri che mi leggono o mi leggeranno. Reputo questo omaggio a
me, come un omaggio alla memoria e ai suoi custodi, siano essi scrittori,
musicisti, o chiunque non abbia il vuoto dietro le spalle.
Noi non siamo figli di nessuno. Noi siamo figli
della Cultura e ci portiamo dentro dei segni. Cerchiamo dunque di non farci
cancellare questi segni dai barbari, dagli imbecilli o dai violenti.
Vincenzo Consolo, ora in Nuova Busambra.
Nessun commento:
Posta un commento