Oggi sottopongo alla vostra
attenzione un breve articolo di Alberto Lucarelli -Assessore ai Beni Comuni, Acqua
Pubblica e Democrazia Partecipativa del Comune di Napoli - apparso ieri su Il fatto
quotidiano.
FISCAL COMPACT
In nome della crescita
europea l’Italia sacrifica il suo fondamento costituzionale: approvando, senza
dibattito e in via definitiva il disegno di legge di ratifica del Trattato sulla stabilità,
sul coordinamento e la governance nell’Unione
economica e monetaria (il cosiddetto fiscal compact), la Camera
ha spostato la sovranità dal popolo (come recita l’art. 1 della Costituzione)
alla burocrazia europea. In pratica, il voto impone all’Italia di tagliare per
20 anni 45 miliardi di debito pubblico all’anno: solo per dare un’idea della
dimensione della scure Ue, a confronto la spending review cancella spese per un
di 29 miliardi in tre anni. A questo esborso, inoltre, va aggiunto quello
previsto dal trattato istitutivo del Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità),
ratificato contestualmente al fiscal
compact, che impegna l’Italia a versare 15 miliardi in 5 anni
per la realizzazione di un fondo “paracadute” per le banche.
Quella che può essere
considerata una vera e propria cessione all’Europa della sovranità politica
economica e fiscale, è irrigidita da una serie di clausole “di rigore”, tese a
sanzionare a sanzionare gli inadempienti con una multa fino allo 0,1% del Pil. Un
Paese, dunque, non può rifiutarsi né di ridurre il debito né di obbedire alle
correzioni richieste. Un meccanismo, voluto dall’Eurogruppo, che indebolisce la
commissione europea, rafforzando un’Europa intergovernativa fortemente voluta
dai governi di destra negli ultimi anni.
Oltre ad immaginare dove il
Governo
andrà ad operare questi tagli (dove l’ha fatto finora, penalizzando
ulteriormente il welfare e accelerando le politiche di privatizzazione), il
fiscal compact ci impone una riflessione sul grado di democrazia operante oggi, ma
direi sin dalla sua fase costitutiva, all’interno dell’Unione.
L’unico principio
all’interno dell’Europa che sembra orientato ad esprimere una dimensione democratica
è il principio di coesione economico sociale quale paradigma dei diritti
sociali. Tale principio, seppur tra mille contraddizioni, va considerato quale
vero e unico fondamento “costituzionale” europeo, dal valore prescrittivo e non
meramente programmatico, tale da costituire il presupposto di un ampio concetto
di partecipazione alla convivenza sociale, politica ed economica.
Questo principio, finora
assolutamente disatteso, deve essere messo in grado di attivare politiche
pubbliche tese a realizzare un governo europeo dei beni comuni, in
contrapposizione al modello mercantile e concorrenziale che sempre più spesso
viene utilizzato quale paravento a scelte di politiche pubbliche. Su questo
versante tutte le norme relative alla privatizzazione sono state intese, con
estrema ipocrisia e mistificazione, come “comunitariamente necessarie”, ovvero
norme alle quali il nostro legislatore, per non violare il diritto comunitario,
non si sarebbe potuto sottrarre.
Dietro il meccanismo del
fiscal compact, ma ancor di più dietro il Mes, il grande burattinaio è
rappresentato dalla Bce, la Banca Centrale Europea, che ha adottato, in maniera
assolutamente illegale e illegittima, misure fuori dall’ordinario quali lo
stanziamento di fondi, tramite aste a tasso fisso ed a piena aggiudicazione,
con scadenza a 36 mesi, e l’abbassamento temporaneo del coefficiente di riserva
obbligatoria dal 2 all’1%. Queste iniziative, “motivate” dalla crisi
internazionale, violano il seppur debole diritto pubblico europeo dell’economia
(come anche riconosciuto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 24 del
2011 di ammissibilità del quesito referendario contro la privatizzazione
dell’acqua) che sancisce i diritti fondamentali quale fattore irrinunciabile di
tutela sociale e territoriale ed elemento imprescindibile della coesione
europea (eguaglianza sostanziale). In questa visione la regola della
concorrenza sarebbe limitata dal raggiungimento de fini sociali e dal rispetto
dei valori fondanti dell’Unione, quali lo sviluppo armonioso, equilibrato e
sostenibile delle attività economiche, la solidarietà, l’elevato livello
dell’occupazione e la protezione dell’ambiente, della salute, dei consumatori.
Ma non è mai stato così!
L’Europa può
rinascere solo
attraverso processi di mobilitazione e di affermazione di principi decisamente
antiliberisti, che pongano al centro del confronto politico il lavoro, lo Stato
sociale ed i beni comuni. Quindi, ridando piena effettività all’art. 1 della Costituzione,
riconoscendo nel lavoro il fondamento della Repubblica e nel popolo, e non nei
potentati economico-finanziari europeo, l’esclusiva sovranità.
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