Pubblico con piacere un racconto inedito di Domenico
Passantino che, con lieve ironia, tratteggia la condizione giovanile in un paese della
provincia di Palermo. Domenico è un giovane promettente scrittore di Ciminna
(PA) che si è già fatto notare per la scioltezza del suo stile e per la sua acuta coscienza critica.
DOMENICO PASSANTINO: I giovani di Donnafugata
Qualcosa.
Sì,
la sentiva quella mancanza.
La
percepiva.
Ne
era certo: gli mancava qualcosa.
Si
guardò intorno e guardò se stesso, per realizzare in che condizione si trovava.
La
sigaretta forse? Doveva accendersi una sigaretta? Forse la mancanza di
nicotina, si sa l’assuefazione alla nicotina…no! non era la sigaretta che gli
mancava; ce l’aveva tra le mani la sigaretta, accesa.
Come
spesso gli accadeva l’aveva accesa in automatico, immerso com’era in quelle stupide
riflessioni!
Ma
che cosa stava cercando allora? Aveva l’impressione di avere perso qualcosa e
non sapeva né cosa aveva perso né dove la doveva cercare.
Che
cosa non andava nella sua vita?
Aveva
l’età in cui cominci a sentire il significato di famiglia, di lavoro.
Già.
Famiglia
e lavoro.
Una
donna non l’aveva. Un lavoro neanche. E le due cose sembravano tragicamente e
indissolubilmente legate.
Si
era laureato a lettere. Una “mini-laurea” però. Il giochetto dell’università prevede
centottanta crediti per una piccola laurea e altri centoventi per la “grande”
laurea. Poi dopo devi fare le integrazioni. A pagamento. Infine sei pronto per
lavorare. Anzi lo sei anche prima, pronto per lavorare. Solo che non lavori
mai. La scuola: debiti e crediti, entrate ed uscite; una banca, una fanghiglia
di cifre dove c’è posto per tutto tranne che per la cultura.
E
intanto sguazzi succube del benessere: venti euro al mese per l’abbonamento ad
internet, dieci euro per i messaggi e le chiamate “gratis” Wind, dieci euro al
giorno per l’andirivieni dall’università, quattro euro e ottanta per un
pacchetto di Merit, centoventi euro di bollo per la macchina ogni anno e
duecentoventi ogni sei mesi per l’assicurazione.
Sorrise.
Ogni
mattina, appena sveglio era già in debito col mondo di circa venti euro.
Ogni
giorno.
Ogni
sera aveva speso circa venti euro e ne aveva guadagnati zero. Le entrate non
devono mai superare le uscite. E scoppiò in una clamorosa risata.
Guardava
avanti ogni tanto.
Pensava
positivo e ai sorrisi positivi e rassicuranti dei politici.
I
suoi amici l’avevano trovato un lavoro. Nell’esercito. Ma non si erano
arruolati perché in Sicilia non ci sono altre vie d’uscita. No. L’avevano fatto
perché amano la patria.
D’altra
parte si sa: Cristo si è fermato ad Eboli.
Nel
mondo e nella storia gli operai e il proletariato sono sempre stati il”terzo
stato”, i poveri. In Sicilia chi possiede un salario da fabbrica non lavorando
in nero e con una settimana all’anno di ferie viene considerato da sempre un
benestante e guardato con invidia da tutti.
È
proprio vero che Cristo e la storia sono rimasti fuori da qui.
Viveva
a Donnafugata, un piccolo paese della provincia palermitana.
Dio,
Patria, Famiglia.
Dio
intanto sembrava essersi ritirato dietro gli altari.
La Patria
veniva nominata solo alle partite di calcio dei mondiali.
La Famiglia
divorziava, si allargava, insomma subiva mutamenti.
Gli
uomini sono tutti uguali.
E
intanto chi era troppo ricco e chi troppo povero.
E
c’erano pure gli omosessuali; a qualcuno facevano paura, qualcun altro li
sentiva vicini. Come gli stranieri.
Gli
stranieri extracomunitari e clandestini erano una gran piaga; le
extracomunitarie un po’ meno. Poteva scapparci una relazione clandestina, e
nessuno la disdegnava.
Poi
c’era la televisione e quei film dove il papà torna da lavoro la sera con la
ventiquattrore, i bimbi contenti gli saltano addosso, la mamma col grembiule da
cucina gli va incontro e lo saluta, cenano e dopo il papà fuma la pipa.
Che
bei film.
O
anche quelli dove i cattivi sono pure brutti e si riconoscono subito, mentre i
buoni sono sempre belli e le donne si innamorano di loro, che da bravi eroi
rinunciano all’amore per la causa giusta per cui combattono.
La
mafia. La droga.
Se
ne parlava a scuola, in classe. Per fare i temi. Oppure per l’anniversario
delle morti di Falcone e Borsellino. Poi dopo basta. Non erano mica cose vere.
Erano parole astratte. Inventate.
La
comunità di Donnafugata non aveva di questi problemi.
Donnafugata
era il paese del Gattopardo, degli attori che erano venuti dal continente e dei
bambini un po’ invecchiati che se ne ricordavano.
Era
il paese dei preti pure, Donnafugata. E delle processioni. La gente era buona.
Tutta la gente. Con una processione al mese non poteva essere altrimenti.
Anche
i politici erano buoni. Riuscivano a parlare senza nascondersi dietro
l’anonimato e discutevano sempre per il bene del paese. Non solo alla vigilia
delle elezioni.
Le
forze dell’ordine poi, ligie al potere, cioè al dovere, scortavano tutte le
processioni dei bravi cittadini in preghiera.
Ma
quello era un piccolo paese. E le piaghe della società non lo toccavano.
Infatti in mancanza di piaghe si inventavano: e allora si raccoglieva
l’elemosina, le domeniche, davanti la chiesa per i bambini dell’Etiopia e della
Somalia, per i libanesi, i senegalesi ecc. ecc.
I
giovani avevano tutti un lavoro. Ma proprio tutti. Infatti non emigrava più
nessuno. E lavoravano soltanto grazie ai loro meriti, non esisteva mica il
clientelismo. Andava tutto bene.
I
giovani avevano finalmente preso coscienza.
I
loro padri no.
Ma
essi adesso, col tripudio di ideologie che avevano nella testa sì che avevano
capito.
Avevano
capito che fare il tifo allo stadio va bene sì, ma anche che bisognava fare il
tifo per l’onestà. Infatti si poteva parlare liberamente a Donnafugata. Come in
tutta Italia e in tutti i paesi democratici d’altra parte.
Puoi
dire ciò che vuoi.
Anche
cose insensate.
Infatti
le TV parlano per giorni interi di stupidaggini. Ma questa è un’altra storia.
L’Italia
è una repubblica fondata sul lavoro.
Sul
lavoro delle escort, che non è una parola poi tanto nuova. La o lo scortum
era per i nostri antenati (come suona strana la parola antenati per noi che
pensiamo di essere gli unici a essere nati!), dicevo scortum era una donna che, a pagamento, ti accompagnava dovunque,
anche nel letto, ma non solo; se Plauto
(Menaechmi, 77) dice: Hodie ducam scortum ad cenam atque aliquo
condicam foras, cioè “oggi condurrò una scortum
a cena e mangerò fuori con qualcuna” vuol dire che con la o lo scortum (dato che il sostantivo è
neutro e riferibile sia a maschio che a femmina) era proprio la nostra amata
escort.
E’ probabile che scortum abbia a che fare con corium,
“pelle”di vitello e con il greco keirw,
“tosare”, e piuttosto con cortex, corticis,
la “corteccia”. Infatti corium è la
pelle lavorata, quindi tosata, e rimanda proprio al verbo greco keirw, “io toso”.
Anche “scroto” deriva da scortum,
con metatesi consonantica e col significato di pelle degli attributi maschili.
Ed è proprio dentro lo scroto che dovremmo
avvertire rumore di rotto quando per giorni interi si parla di prostitute e
solo di prostitute dovunque.
Ma non ce ne sarebbe motivo.
Va tutto bene. Così come a Donnafugata anche in
tutto il Paese. È per questo che si può parlare di prostitute. Perché i
problemi, se li vogliamo, ce li dobbiamo inventare.
Viva l’Italia!
Ma abbiamo scherzato.
Meno
male che c’è il sistema scolastico con i crediti e i debiti, le entrate e le
uscite e le università con le lauree a più livelli.
Bisognerebbe
scuotere le coscienze.
Si
dovrebbe vedere prima che cos’è una coscienza. Abbiamo delle coscienze così
pulite, ma così pulite, addirittura mai usate, diceva una barzelletta.
Beh,
forse più che una barzelletta è la verità.
I
giovani?
Non
si ribellano per mancanza di valori e di ideologie?
No.
Non
lo fanno per paura.
Non
lo fanno perché è meglio non mettersi
contro nessuno.
Non
lo fanno perché non si sa mai.
Non
lo fanno perché cu è riccu d’amici è
poviru di guai.
Non
lo fanno perché siamo tutti precari. E il precariato fa bene al sistema di
potere. Blocca ogni tentativo di eversione, di cambiamento.
I
giovani lo sanno cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma pensano che il giusto non
coincida con l’utile. Eppure molti hanno
studiato Platone.
Ma
non è una questione di studio.
Solo
di paura.
Stava
pensando a tutte queste cose quando la sua attenzione fu attirata da ciò che
stavano dicendo alla radio:
« Cinque mesi dopo la prima “occupazione
di piazza”, in Puerta del Sol, a Madrid, il 15 ottobre è stata la Giornata Mondiale
degli “Indignados”.In 950 città del
mondo le manifestazioni sono state pacifiche, colorate, rumorose, ma
ordinate. Solo a Roma si è scatenata una violenza spaventosa e senza
freni. E’ andata in onda l’anomalia italiana. E oggi ci toccherà vergognarci.
Come sempre da un decina d’anni a questa parte. Prima di arrivare alla giornata
mondiale degli indignados, ci sono
state tappe importanti del movimento: dalla Puerta del Sol a Madrid,
passando per le proteste delle tende di Tel Aviv, si è arrivati a New York e
Wall Street. Che cosa chiedono e perché protestano questi indignati?
Alcuni chiedono di cambiare il sistema economico, altri vogliono più
scuola pubblica, e altri case a buon mercato. Il 15 maggio 2011 centinaia di
ragazzi si accampano in Puerta del Sol a Madrid e scendono in piazza in 58
città spagnole contro politici e banchieri. Nasce il movimento degli indignados. Dopo tre mesi di occupazione
di piazza, si mettono in viaggio, alcuni a piedi, verso Bruxelles, in vista
della manifestazione del 15 ottobre. Sulla strada si scontrano con la polizia a
Parigi, in Piazza della Bastiglia. Gli indignados
spagnoli denunciano soprattutto la disoccupazione crescente e la precarietà
dilagante, contro l’arroganza della casta economica e di quella finanziaria.
Uno slogan spagnolo diceva «Shh!!! O i greci si svegliano». Ed in maggio
cominciano le dimostrazione contro l’austerity anche nelle città greche, tutte
organizzate tramite Facebook . «Ci siamo svegliati? Che ora è? L’ora che se ne
vadano» rispondono gli indignati greci a quelli spagnoli, la protesta diventa
violenta fino a giugno. Per il 19 ottobre, in Grecia, è prevista una giornata
di sciopero generale»[1].
Indignados. Pensò, in un’associazione fulminea di pensieri,
all’indignato speciale di Italia Uno! Quante volte aveva provato rabbia nel
constatare che ci fosse bisogno di un indignato speciale, come se nessuno più
fosse in grado di incazzarsi per i fatti suoi o come se nessuno avesse più
motivo di indignarsi o relegasse a terzi questa facoltà; come se andasse tutto
bene; come se il sorriso tranquillo e bonario del premier fosse stampato in
bocca a tutti tranne che a lui che si sentiva come nel Paese dei balocchi, in
una specie di calma inventata e apparente; e si era sentito solo a volte.
Vergognarsi? Si era vergognato del silenzio e dell’indifferenza. Di quello sì. Ma non di ciò che stava succedendo adesso nelle piazze. Ascoltava con avidità le notizie che dava la radio.
Vergognarsi? Si era vergognato del silenzio e dell’indifferenza. Di quello sì. Ma non di ciò che stava succedendo adesso nelle piazze. Ascoltava con avidità le notizie che dava la radio.
Agli indignados che manifestavano pacificamente si erano poi uniti
quelli che chiamavano black bloc,
parole inglesi che significano alla lettera blocco
nero, perché si presentano come una massa di persone vestite di nero, il
cui colore però, diceva la radio, non li lega ad ideologie naziste o fasciste.
E questi avevano creato una sorta di guerriglia, si erano scontrati con la
polizia, avevano assaltato e distrutto vetrine…
C’era aria di rivoluzione?
Possibile? Una protesta globale. Contro il sistema. Il sistema finanziario. La
crisi economica stava causando una crisi di pensiero? Si stava sentendo davvero
l’esigenza di cambiare? L’unica cosa che sentiva intanto era una gran voglia di
trovarsi là, a Roma, di partecipare, di urlare tutta la rabbia per un futuro promesso
e poi rubato.
Un ministro intervistato diceva:
«Arresteremo i questi delinquenti»; proprio lui che era stato indagato per
concorso esterno in associazione mafiosa parlava di delinquenza.
I ragazzi gridavano: «Sono di là i delinquenti, a Montecitorio».
Rise forte.
Si chiese chi erano quei ragazzi
là a fare casino. E forse era una domanda che si facevano tutti. Chissà se
avevano le scarpe marcate quei ragazzi. Chissà se erano poi così rivoluzionari.
Ma in fondo cosa sono le scarpe marcate? Non le portava forse anche lui? Eppure
in quel momento si sentiva bollire il sangue.
Chi sono i buoni e chi i cattivi?
Dove pende la ragione e dove il torto?
Ma sentiva quella mancanza.
Quella maledetta mancanza.
E lì, nella piazza c’era il
riscatto, la vendetta, la giustizia, la risoluzione dei conti.
Non era mai stato a favore della
violenza, ma sentiva che occorreva fare qualcosa.
Fare qualcosa contro.
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