Riprendo dal Manifesto la cronaca
dell’ultima lettura di Dante fatta da
Benigni a Firenze:
Gabriele Rizza,
C'è Benigni e Dante è superstar
La scansione è classica, la piazza è piena, Dante è
superstar. Atto primo: il giullare. Atto secondo: il professore. Atto terzo: il
poeta. E se il primo mostra qualche segno di forse inevitabile appannamento e
ripetitività (per fortuna che c'è sempre Silvio a darti una mano ora che è
ridisceso in campo e il Pd tira un sospiro di sollievo sennò rischiava di
vincerle le elezioni), il professore, l'esegeta è mirabile, il poeta, il
cantore è commovente. La nuova, dopo sei anni di lontananza dalla casa madre
fiorentina, dirittura morale dantesca è sublime. Se possibile ancora più
incantatrice, corposa e rarefatta al tempo stesso, mistica e volatile, che
niente ha di solenne e molto di dolosamente attuale, come una grazia spezzata,
un delirio plastico di immagini e frastuoni, una sala d'attesa e un treno in
corsa. E dire che il canto 11 dell' Inferno , che riparte da lì dove la
sequenza «divina» s'era interrotta nel 2006, non è dei più movimentati, quasi
privo d'azione, tutto un riflettere e una disquisizione, di certo è fra i meno
noti, di quelli che a scuola si saltano allegramente perché troppo dottrinale e
troppo complicato, astruso, inattuale, e non ci sono Paolo e Francesca, Ugolino
o Farinata a accendere la fantasia. «Altro che canto minore, ci stanno dentro
tutti quegli scellerati, usurai, finanzieri, ladri, profittatori, che abbiamo
inventato noi proprio qui a Firenze e che ci stanno rovinando la vita, sono
loro il punto più estremo della mancanza di dignità umana». Dante e Virgilio
vedono la tomba di Papa Anastasio, sentono «il fetore dell' Inferno che davvero
somiglia a questo Medioevo che stiamo vivendo» e come per prendere fiato e
abituarsi all'aria che tira si fermano giusto il tempo per Virgilio di spiegare
la gerarchia dei peccati, la loro graduatoria e la loro dislocazione. Con
consapevole empatia Un canto, il più breve di tutta la Commedia , che forse più
di altri ha bisogno di chiose. E che Benigni spiega e racconta a una platea di
6mila anime che s'è fatta d'un tratto un corpo silenzioso. E che poi, comme
d'habitude , intona tutto a memoria, con consapevole empatia ma senza farsi
travolgere, un verso dopo l'altro, analisi logica e analisi magica, una
fessura, uno spioncino che si apre piano e a volte si spalanca sull'abisso e fa
paura, perché Dante, Benigni lo sa bene, bisogna saperlo più che recitarlo, un
monologo interiore, un flusso joyciano, una partitura, le terzine un
pentagramma, l'analisi serrata e incantata, come le lamentazioni di Palestrina,
come Stockhausen letto da Pierre Boulez. In platea col sindaco Matteo Renzi qua
e là consensualmente bersagliato («sei anni fa al tuo posto c'era Prandelli che
allenava la Fiorentina e ora la Nazionale») siede molta crème televisiva. Sulle
teste volteggia la «spider- cam», ultimo ritrovato technospettacolare, sontuoso
illusionismo da vernissage olimpico. Fortuna che sul palco, come sei anni fa,
nulla è cambiato: stessa marcetta introduttiva La banda del pinzimonio , stesse
«pinne di balena» a fare da quinte e da fondali che a confronto «quello di
Madonna sembrava uno stand della Festa dell'Unità». Si va avanti fino al 6
agosto, fino al 22mo canto.
Da IL MANIFESTO del 22 LUGLIO 2012
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