Il
Corriere della Sera oggi mette in guardia contro gli abbagli che si possono
prendere sulla rete. Trascrivo di seguito l’articolo di Antonio Sgobba:
L’effetto Dunning-Kruger. Ecco perché con
Internet crediamo di saperla lunga
. . .
Come fanno i profili di Twitter che
seguiamo a mostrarsi sempre così competenti? Si tratti di geofisica, nazionale
di calcio, spending review, carte nautiche, procedura penale o diritto
costituzionale, di volta in volta la nostra timeline si riempie di profondi
conoscitori del settore. Possibile che ci siano così tanti esperti e siano
tutti tra i nostri following? No. Il fenomeno si potrebbe spiegare con il
cosiddetto «effetto di Dunning-Kruger». Risultato di uno studio di psicologia
sociale diventato ormai un classico: Unskilled and Unaware of It: How
Difficulties in Recognizing One’s Own Incompetence Lead to Inflated
Self-Assessment, una ricerca condotta nel 1999 da David Dunning e Justin
Kruger della Cornell University. In che cosa consiste l’effetto? «Tendiamo ad
avere un’opinione alta nelle nostre abilità in molti domini, intellettuali e
sociali. Sovrastimiamo le nostre capacità e la nostra incompetenza si estende
fino alla mancanza dell’abilità metacognitiva di rendercene conto». In altre
parole: chi è incompetente non sa di esserlo. Pensiamo spesso di saperla lunga.
Al punto che non ci rendiamo conto di non saperne affatto.
Lo studio prendeva in considerazione il 25
per cento del campione che aveva ottenuto i risultati peggiori nelle diverse
prove. Se la reale valutazione dei soggetti corrispondeva a un voto di 12 su
una scala da uno a cento, in media gli stessi soggetti davano a se stessi un
punteggio di 62. Dunning e Kruger lo definivano «un deficit nelle capacità
metacognitive». Si dirà: nulla di nuovo. «Platone individua come la peggiore
ignoranza quella che riguarda la propria conoscenza», ricorda Katja Maria Vogt
della Columbia University nel primo capitolo del suo Belief and Truth: A Skeptic
Reading of Plato (in uscita da Oxford University Press). Dove si cita il
brano del Filebo di Platone in cui Socrate afferma: «I più numerosi sono quelli
che si sbagliano in relazione alle qualità dell’anima, credendosi migliori per
virtù, senza esserlo». E aggiunge: «Tra le virtù la sapienza è quella alla
quale i più si attaccano in tutti i modi, riempiendosi di dispute e di una
falsa credenza di sapere».
A distanza di 13 anni dalla pubblicazione
dello studio (e a più di duemila dall’epoca di Platone) viene da chiedersi: con
il Web 2.0 la situazione è cambiata? La quantità d’informazione disponibile
online ci ha aiutati a dissipare le ombre degli ignoranti inconsapevoli? «Come
tutte le tecnologie, Internet è un’arma a doppio taglio. È una strada facile e
preziosa per trovare informazioni e competenze che non sappiamo di non avere»,
risponde David Dunning alla «Lettura». «Ciò detto — continua il professore — la
rete è piena di pregiudizi e informazione corrotta. Il gioco sta nell’essere in
grado di separare l’informazione valida da quella che non lo è, ed è un gioco
difficile da vincere».
Come fare per orientarsi tra informazioni
e falsità? «La cosa migliore da fare sarebbe rivolgersi agli esperti», dice
Dunning. Facile a dirsi. Per arrivare al punto sono necessari due passi
preliminari: innanzitutto si deve riconoscere di aver bisogno di rivolgersi a
chi ne sa di più — una prima mossa che appare ardua per l’ignorante
inconsapevole. Il passo successivo sta nel riconoscere chi sono i veri esperti
tra i sedicenti tali in cui possiamo incappare. A questo scopo possono tornare
utili i motori di ricerca e la cosiddetta intelligenza collettiva della rete?
«L’aggregazione può aiutare se i giudizi sono basati su pareri autorevoli. Nei
nostri studi recenti abbiamo dimostrato che hai bisogno di esperti per trovare
gli esperti», risponde lo psicologo. «Tutti sono in grado di individuare chi
sono i peggiori, ma spesso individuare i migliori è qualcosa che va al di là
delle capacità di un gruppo o di un processo collettivo», dice Dunning.
Insomma, Google non ci renderà stupidi, ma non può neanche renderci magicamente
onniscienti. Mettiamo si parli di scienza e io non sia in grado di giudicare
quale sia il più affidabile tra due blog che citino uno Roberto Giacobbo e l’altro
Richard Dawkins. Come faccio a capire chi è l’autorità in quel campo e chi non
lo è? «Per capire chi è competente in un determinato settore, devo avere delle
conoscenze in quella materia», scrive Dunning.
Le cose si complicano ulteriormente se
abbiamo a che fare con la comunicazione scientifica: «Spesso crediamo che dire
al mondo che intorno a una questione “c’è il consenso della comunità
scientifica” chiuda la discussione». All’incompetente inconsapevole questo può
non bastare. «È un’affermazione che funziona per gli scienziati, ma non per un
pubblico di non esperti. Spesso il messaggio che arriva è semplicemente che i
ricercatori sono d’accordo su un certo punto. E allora?».
Siamo condannati quindi alla prevalenza
dell’ignorante inconsapevole? Il professore non è così pessimista: «Le persone
possono apprendere come autovalutarsi attraverso l’educazione e l’istruzione».
E gli scienziati sanno che l’ignoranza è un motore necessario della ricerca,
come mostra il recente Ignorance: How It Drives Science (Oxford
University Press) del neurobiologo Stuart Firestein.
Attenti però a non banalizzare l’effetto
Dunning-Kruger. Si può avere la tendenza a ridurlo allo slogan: «C’è gente
talmente stupida che non sa di esserlo». Troppo facile attribuire l’ignoranza
inconsapevole sempre agli altri. «Quella è la porzione visibile di un fenomeno
più generale: per ciascuno di noi, non importa quanto competente, è
intrinsecamente difficile sapere qual è l’ampiezza di ciò che non sa. è
evidente quando abbiamo a che fare con una persona che sa poco e crede di
sapere molto. Questo è visibile. Ciò che non vediamo è quando siamo al posto di
questa persona e dobbiamo definire la nostra ignoranza più che le nostre
conoscenze», ricorda Dunning. Non è quindi il caso di pensare all’incompetente
ignoto (a se stesso) come a un alieno: meglio porsi la questione in prima
persona. «Ci sono cose che sappiamo di sapere e cose che sappiamo di non
sapere. Ma ci sono anche cose che non sappiamo di non sapere», ricorda Dunning.
La sua conclusione suona socratica: «I più saggi sono in grado di delineare
meglio i confini della propria ignoranza».
fonte: Corriere della Sera
Nessun commento:
Posta un commento