Usciva 200 anni fa la prima edizione della celebre raccolta di fiabe dei fratelli
Grimm che ricercavano l’essenza della cultura e dell'identità nazionale del
popolo tedesco. La questione andava ben oltre gli ambiti del risorgimento
politico delle nazioni senza Stato. Un secolo dopo, anche basandosi sul
lavoro pionieristico dei Grimm, Propp e Jung avrebbero chiarito, con
modalità diverse ma convergenti, che aprire un libro di fiabe significa
immergersi nelle stanze più profonde dell'animo, perchè il linguaggio e
l'andamento della fiaba (e del sogno), rappresentano il luogo privilegiato
della manifestazione degli archetipi.
Jack
Zipes - Sono le fiabe a tenere insieme
le comunità
Ciò che
affascinava o imponeva ai Grimm di concentrarsi sull’antica letteratura tedesca
era la convinzione che le forme culturali più pure e spontanee - quelle che
tenevano insieme una comunità - fossero quelle linguistiche e che bisognasse
rintracciarle nel passato. Essi ritenevano inoltre che la letteratura
«moderna», per quanto assai ricca, fosse una creazione artificiale e in quanto
tale incapace di esprimere l’essenza genuina della cultura del Volk, che
scaturiva in modo spontaneo dalle esperienze degli individui e li teneva
insieme. Per questo dedicarono tutte le loro energie alla riscoperta delle
storie del passato. E per questo il loro amico, il poeta romantico Clemens
Brentano, chiese loro di raccogliere ogni genere di racconto popolare con
l’intento di servirsene per un volume di fiabe letterarie. Nel 1810 essi gli
inviarono 54 testi che per fortuna ricopiarono. Dico per fortuna, perché
Brentano finì col perdere il manoscritto nel monastero di Ölenberg in Alsazia e
non utilizzò mai quei testi.
Ma nel
frattempo i Grimm continuarono a raccogliere le fiabe da amici, conoscenti e
colleghi, e quando capirono che Brentano non avrebbe più utilizzato il loro
manoscritto, decisero di seguire il consiglio del comune amico e autore
romantico Achin von Arnim e di pubblicare la loro raccolta, che nel frattempo
era arrivata a comprendere 86 storie - quelle che per l’appunto pubblicarono
nel 1812 e cui si aggiunsero le altre 70, che pubblicarono nel 1815. Queste due
raccolte costituirono la prima edizione, corredata di note e prefazioni
scientifiche. [... ]
Pur non
avendo ancora del tutto formulato la loro teoria del folclore e malgrado le
differenze esistenti tra Jacob e Wilhelm - quest’ultimo avrebbe poi infatti
optato per una più decisa revisione poetica dei testi raccolti - i fratelli si
attennero in sostanza al loro intento originario dal principio alla fine del
lavoro sui Kinderund Hausmärchen: recuperare i resti del passato. In senso più
generale, i Grimm cercarono di raccogliere e preservare come gemme sacre e
preziose ogni genere e tipo di traccia del passato, vale a dire racconti, miti,
canti, favole, leggende, epopee, documenti o altre forme di creazione dunque
non solo fiabe. L’intento era di rintracciare e cogliere l’essenza
dell’evoluzione culturale e dimostrare come la lingua naturale, che sgorgava
dai bisogni, dagli usi e dai rituali della gente comune, creasse legami
autentici e contribuisse a modellare le comunità civili. È questa una delle
ragioni per cui definirono la loro raccolta un manuale educativo (
Erziehungsbuch ), in quanto le fiabe richiamavano ai valori basilari dei popoli
germanici e degli altri gruppi europei e l’uso di raccontarle aiutava gli
individui a far luce sulle loro stesse esperienze. [... ]
I Grimm
cercavano di valorizzare e sostenere la necessità di raccontare storie per
creare legami tra gli individui i quali, proprio attraverso il racconto,
mettevano in comune le proprie esperienze. Erano convinti che ogni storia e
ogni sua variante fossero importanti per mantenere viva la tradizione
culturale. Essi rispettavano la differenza e la diversità e allo stesso tempo
affermavano che «lo scopo della nostra raccolta non era solo servire la causa
della storia della poesia. Il nostro intento era che la poesia insita in essa producesse
un effetto, quello di procurare piacere ovunque possibile, diventando perciò un
manuale educativo». [... ]
Se c’è
un’edizione delle fiabe dei Grimm che meglio rappresenta gli intenti e gli
ideali che essi perseguirono fino al 1857 è senz’altro la prima, poiché essi
non ne cesellarono né rifinirono le storie come fecero nelle successive
edizioni. In esse riusciamo infatti a percepire distintamente le voci dei
raccontatori da cui i Grimm le ricevettero e in questo senso le storie, alcune
anche in dialetto, sono più autenticamente popolari e genuine, benché talvolta
non esteticamente gradevoli come le versioni poi rifinite. In altre parole, i
Grimm lasciarono parlare le storie stesse in un modo assai schietto se non
proprio grossolano, il che dona a esse quel senso di verità pura e semplice o
quel valore educativo voluto dai Grimm.
Soffermandosi
sulle fiabe della prima edizione, la prima cosa che il lettore potrà notare è
che molte storie furono eliminate dalle successive edizioni per varie ragioni,
non narrative, ma in quanto sprovviste dei requisiti voluti dai Grimm, che in
prima istanza si sforzavano di pubblicare fiabe di chiara origine tedesca. Per
esempio, Il gatto con gli stivali, Barbablu, Principessa Pel di topo eOkerlo
furono considerate in seguito troppo francesi per essere ripubblicate. Più
tardi i Grimm capirono che questo era un criterio sbagliato, perché era e resta
impossibile conoscere le origini certe delle fiabe popolari. Malgrado non sia
oggi possibile sapere con certezza perché alcune fiabe furono poi omesse o
spostate nelle note, di altre come La Morte e il guardiano d’oche sappiamo
invece che venne levata per i suoi tratti letterari barocchi; La matrigna, per
la sua natura frammentaria e brutale; Gli animali fedeli, per la sua
derivazione dal Siddhi-Kür, una raccolta di fiabe della Mongolia. Col tempo,
via via che continuavano a raccogliere varianti provenienti da fonti orali o
scritte, ricevute da amici e colleghi, i Grimm rimaneggiarono alcune fiabe
della prima edizione combinando le diverse versioni, sostituendo altre con le
nuove e spostando altre ancora nelle note di commento.
La seconda
cosa che il lettore potrà notare nelle fiabe della prima edizione è che molte
di esse sono più brevi e incredibilmente diverse rispetto alle versioni
pubblicate nelle successive edizioni. In esse c’è un sapore di oralità e di
materia viva. Raperonzolo, per esempio, svela di essere rimasta incinta del
principe; la madre di Biancaneve, e non la matrigna, vuole uccidere la sua
bellissima figlia per invidia. In terzo luogo, il lettore noterà subito che
tutte queste fiabe sono scarne e poco o per niente descrittive. L’enfasi è
tutta sull’azione e sulla soluzione dei conflitti. Chi le racconta non mena il
can per l’aia. È propenso a comunicare le verità che conosce e anche quando ci
sono di mezzo magia, superstizioni, trasformazioni miracolose e brutalità,
crede nelle sue storie. La metafora traccia una mappa della realtà di chi
ascolta e spinge le persone a imparare dai simboli in che modo affrontare le
loro realtà.
(Da: La
Stampa del 30 novembre 2012)