Chi ci segue sa quanto abbiamo amato Leonardo Sciascia. Anche in questo blog gli abbiamo dedicato lo spazio che merita. Oggi diamo la parola a Nicola Vacca che su https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/ ha pubblicato un breve saggio sullo scrittore siciliano che condividiamo in gran parte. Non siamo d’accordo con Vacca solo su un punto: non corrisponde alla realtà dire che Sciascia “ è stato un intellettuale puro”. Sciascia è stato un intellettuale “impuro”, come Gramsci e Pasolini, perché , come riconosce lo stesso Vacca alla fine, l’autore del Giorno della civetta non amava il mondo dei chierici della letteratura che si sono, quasi sempre, prostituiti al potere di turno. f.v.
Sciascia: la letteratura contro il potere
di Nicola Vacca
Leonardo Sciascia, scomparso nell’autunno del 1989, è
stato un intellettuale puro che credeva nell’eresia e scriveva le sue opere con
il convincimento di dare fastidio.
Ogni suo libro è diventato un caso. Nelle sue
invettive colpiva sempre nel segno, perché lo scrittore siciliano non è stato
mai disponibile al compromesso e all’opportunismo.
Matteo Collura ha giustamente osservato che
Sciascia scrittore è un eretico con il culto dell’opposizione, un
anticonformista delle idee sempre pronto a dare battaglia, instancabile
combattente in un Paese di trasformisti in cui tutti sono
pronti a salire sul carro del vincitore.
Leonardo Sciascia i suoi libri li scriveva d’estate,
in campagna: tre – quattro cartelle ogni mattina, direttamente con la mitica
Olivetti Lettera 22. Con calma e lentezza aveva sempre davanti a sé gli
appunti raccolti nei mesi di riflessione che avevano preceduto la stesura. Dopo
aver consegnato di persona il dattiloscritto al suo editore, scrupolosamente
procedeva alla correzione delle bozze. Gli errori tipografici erano la sua
ossessione. Questo era l’ultimo gesto che lo teneva avvinto alla sua creazione.
Infine il rapporto si allentava, sino all’oblio.
Questa preziosa curiosità legata al laboratorio di uno
dei più grandi scrittori del Novecento italiano è utile per comprendere tutti
gli aspetti della dimensione intellettuale di Leonardo Sciascia e
soprattutto del percorso della sua scrittura.
L’opera e il pensiero di Leonardo Sciascia, scrittore
libertario, fanno ancora discutere. Recentemente è stata messa in
discussione la sua attualità. Possiamo ritenere esaurita la funzione civile
degli scritti dell’autore di Todo modo? Da eretico, il grande scrittore
siciliano è una testimonianza di impegno civile e di ribellione contro i
conformismi e i moralismi. Ha pagato con una solitudine pesante questo suo
atteggiamento inattuale. Come non ricordare l’ostracismo e le numerose
critiche da parte di quella cultura che ama definirsi progressista in
occasione della polemica del grande scrittore siciliano sui professionisti
dell’antimafia.
Da autorevole polemista non amò mai l’arte ibrida del
compromesso. Durante il rapimento di Aldo Moro non risparmiò critiche pungenti
alle istituzioni. Nel lucido saggio “L’affaire Moro”, pubblicato da Sellerio,
indignato scriveva: «Vale la pena difendere questo nostro Stato?». Sciascia,
addolorato dal rapimento dello statista democristiano, è arrivato alla
conclusione che questo Stato fosse affetto da gravissime difficoltà
istituzionali.
Lo scrittore di Racalmuto è stato un precursore
dei nostri tempi: il primo a denunciare le aberrazioni del sistema
giudiziario, intuendo, con largo anticipo e lucida intelligenza, i
drammatici esiti della giustizia politica.
Un capitolo esemplare della sua vis polemica è
il famoso articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 10 gennaio
1987 sui professionisti dell’antimafia. Lo scrittore se la prese con chi nella
magistratura usava la lotta alla mafia come strumento di potere.
Sciascia non fu per niente tenero con il Coordinamento antimafia, che
definì «una frangia fanatica e stupida».
La lotta alla mafia non può essere concepita come uno
strumento di una fazione per il conseguimento di un potere incontrastato
e incontrastabile, né questo nobile principio può essere strumentalizzato
per raggiungere meri fini carrieristici.
Basta dare un’occhiata alle trattative tra lo Stato e
Cosa nostra di cui si sta discutendo oggi, per capire come i
professionisti dell’antimafia, che lo scrittore polemicamente aveva
smascherato, sono ancora in servizio permanente effettivo.
Sciascia aveva la grande capacità di intuire verità
scomode di estrema attualità. Egli è stato uno dei primi a denunciare le
disfunzioni dell’amministrazione giudiziaria e lo strapotere della casta
dei magistrati. Grande sostenitore dello Stato di diritto e strenuo sostenitore
della giustizia giusta, dopo le aberrazioni giustizialiste del caso Tortora,
Sciascia riteneva vergognoso che un magistrato nel nostro ordinamento non solo
non deve rendere conto dei propri errori e pagarne il prezzo, ma qualunque
errore commesso non sarà remora alla sua carriera, che automaticamente
percorrerà fino al vertice.
Il tema della giustizia giusta, di cui fu
divulgatore, è stato un punto fermo soprattutto nella sua instancabile
attività di polemista. Alle sue pagine sul garantismo – grande lezione di
civiltà – oggi siamo costretti a guardare dopo gli anni equivoci della stagione
giustizialista. «Tutto è legato, per me ,al problema della giustizia: in cui si
involge quello della libertà, della dignità umana, del rispetto tra uomo e
uomo». A queste parole egli pensava quando sul Corriere sosteneva
l’innocenza di Enzo Tortora.
Molto tempo prima che scoppiasse Tangentopoli – siamo
nel 1987- Sciascia scriveva pagine memorabili in difesa dello Stato di
diritto, avendo il coraggio di denunciare le deviazioni ideologiche del sistema
giudiziario. «Se al simbolo della giustizia- osservava da autentico veggente-
si sostituisse quello delle manette, saremmo perduti irrimediabilmente, come
nemmeno il fascismo è riuscito. E si parla tanto di manette, oggi,
tante se ne vedono sui giornali o sui teleschermi: oggetti
che magari saranno necessari ma ciò non toglie che siano sgradevoli a
vedersi e quando simbolicamente agitate sono ripugnanti». Sciascia
stigmatizzò i pericoli reali della giustizia spettacolo, di cui la
cultura del tintinnio delle manette è stata negli anni novanta la sua evidente
manifestazione.
Anche in questo è stato profeta. Qualche anno dopo è
arrivata la via giudiziaria alla politica con i processi sommari e il
tintinnio delle manette. Sciagure che hanno minato alle sue fondamenta lo Stato
di diritto, che già lo scrittore siciliano vedeva minacciato e compromesso.
Leonardo Sciascia, nel suo impegno politico letterario
e civile, resta una guida intellettuale per il suo anticonformismo irriverente
che gli costò accuse anche dai suoi vecchi amici della sinistra.
Ma l’autore del Giorno della civetta non
amava il mondo dei chierici della letteratura che si prostituiscono al potere.
Si è sempre schierato dalla parte degli infedeli e
degli eretici che sanno vedere oltre la falsificazione della storia e
della realtà.
Il modo migliore per rendere omaggio alla sua caratura
morale intellettuale è quello di riconoscergli il ruolo indiscusso
di intellettuale scomodo che non rinunciava alla ragione per raggiungere la
verità.
A futura memoria, restano agli atti le sue argute
intuizioni sulle contraddizioni culturali, morali e politiche del nostro
Paese.
Sciascia ci piace pensarlo come un uomo in rivolta
che, per amore del vero e della giustizia, ha sopportato la solitudine che è
riservata ai disturbatori e agli incomodi.
Nicola Vacca
Certamente non è condivisibile - specialmente in questo momento - soffermarsi, come fa l'autore dell'articolo, sugli errori commessi dalla magistratura e chiudere gli occhi sulle gravi responsabilità degli altri ordini dello Stato.
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