Brevissimo, ma molto bello, il saggio
"Caducità" di Freud, pensato nel corso degli anni della prima guerra mondiale.
Freud racconta di una gita in montagna sulle Dolomiti con due amici: uno di essi è un silenzioso e uno è un poeta melanconico, incapace di trarre gioia dalle bellezze della montagna.
"Lo turbava il pensiero che tutta quella bellezza era destinata a perire".
Ma "questa esigenza di eternità" ricorda Freud " è troppo chiaramente un risultato del nostro desiderio per poter pretendere a un valore di realtà: ciò che è doloroso può pur essere vero.".
Ciò che al suo amico poeta si può alla fine dire, è che la caducità delle cose "ne aumenta il valore !".
Ma si accorge Freud che questi suoi pensieri non modificano la melanconia dei suoi compagni di cammino e se ne chiede il motivo.
Il motivo gli appare presto evidente: c'è in loro "la ribellione psichica contro il lutto".
Freud racconta di una gita in montagna sulle Dolomiti con due amici: uno di essi è un silenzioso e uno è un poeta melanconico, incapace di trarre gioia dalle bellezze della montagna.
"Lo turbava il pensiero che tutta quella bellezza era destinata a perire".
Ma "questa esigenza di eternità" ricorda Freud " è troppo chiaramente un risultato del nostro desiderio per poter pretendere a un valore di realtà: ciò che è doloroso può pur essere vero.".
Ciò che al suo amico poeta si può alla fine dire, è che la caducità delle cose "ne aumenta il valore !".
Ma si accorge Freud che questi suoi pensieri non modificano la melanconia dei suoi compagni di cammino e se ne chiede il motivo.
Il motivo gli appare presto evidente: c'è in loro "la ribellione psichica contro il lutto".
Si coglie in Freud l' uomo
che come sempre usa le ricchezze del suo pensiero: pensa e alla perdita degli
amici e alle morti violente che la guerra semina a ogni angolo del paese.
Ma gli amici e gli affetti che abbiamo perduto, "hanno perso davvero per noi il loro valore, perchè si sono dimostrati così precari e incapaci di resistere ?".
La risposta di Freud è tutt'altro che melanconica: "una volta superato il lutto si scoprirà che la nostra considerazione dei beni della civiltà non ha sofferto per l'esperienza della loro precarietà. Torneremo a ricostruire...forse su un fondamento più solido e duraturo di prima" !
Ma gli amici e gli affetti che abbiamo perduto, "hanno perso davvero per noi il loro valore, perchè si sono dimostrati così precari e incapaci di resistere ?".
La risposta di Freud è tutt'altro che melanconica: "una volta superato il lutto si scoprirà che la nostra considerazione dei beni della civiltà non ha sofferto per l'esperienza della loro precarietà. Torneremo a ricostruire...forse su un fondamento più solido e duraturo di prima" !
Di seguito il testo integrale del saggio:
Sigmund
Freud
Caducità
Non molto tempo fa, in compagnia di
un amico silenzioso e di un poeta già famoso nonostante la sua giovane età,
feci una passeggiata in una contrada estiva in piena fioritura. Il poeta
ammirava la bellezza della natura intorno a noi ma non ne traeva gioia. Lo
turbava il pensiero che tutta quella bellezza era destinata a perire, che col
sopraggiungere dell'inverno sarebbe scomparsa: come del resto ogni bellezza umana,
come tutto ciò che di bello e nobile gli uomini hanno creato o potranno creare.
Tutto ciò che egli avrebbe altrimenti amato e ammirato gli sembrava svilito
dalla caducità cui era destinato.
Da un simile precipitare nella
transitorietà di tutto ciò che è bello e perfetto sappiamo che possono derivare
due diversi moti dell'animo. L'uno porta al tedio universale del giovane poeta,
l'altro alla rivolta contro il presunto dato di fatto.
No! è impossibile che tutte queste
meraviglie della natura e dell'arte, che le delizie della nostra sensibilità e
del mondo esterno debbano veramente finire nel nulla. Crederlo sarebbe troppo
insensato e troppo nefando. In un modo o nell'altro devono riuscire a
perdurare, sottraendosi a ogni forza distruttiva.
Ma questa esigenza di eternità è
troppo chiaramente un risultato del nostro desiderio per poter pretendere a un
valore di realtà: ciò che è doloroso può pur essere vero. Io non sapevo
decidermi a contestare la caducità del tutto e nemmeno a strappare un'eccezione
per ciò che è bello e perfetto. Contestai però al poeta pessimista che la
caducità del bello implichi un suo svilimento.
Al contrario, ne aumenta il valore!
Il valore della caducità è un valore di rarità nel tempo. La limitazione della
possibilità di godimento aumenta il suo pregio. Era incomprensibile, dissi, che
il pensiero della caducità del bello dovesse turbare la nostra gioia al
riguardo. Quanto alla bellezza della natura, essa ritorna, dopo la distruzione
dell'inverno, nell'anno nuovo, e questo ritorno, in rapporto alla durata della
nostra vita, lo si può dire un ritorno eterno. Nel corso della nostra esistenza
vediamo svanire per sempre la bellezza del corpo e del volto umano, ma questa
breve durata aggiunge a tali attrattive un nuovo incanto. Se un fiore fiorisce
una sola notte, non per ciò la sua fioritura ci appare meno splendida. E così pure
non riuscivo a vedere come la bellezza e la perfezione dell'opera d'arte o
della creazione intellettuale dovessero essere svilite dalla loro limitazione
temporale. Potrà venire un tempo in cui i quadri e le statue che oggi ammiriamo
saranno caduti in pezzi, o una razza umana dopo di noi che non comprenderà più
le opere dei nostri poeti e dei nostri pensatori, o addirittura un'epoca geologica
in cui ogni forma di vita sulla terra sarà scomparsa: il valore di tutta questa
bellezza e perfezione è determinato soltanto dal suo significato per la nostra
sensibilità viva, non ha bisogno di sopravviverle e per questo è indipendente
dalla durata temporale assoluta.
Mi pareva che queste considerazioni
fossero incontestabili, ma mi accorsi che non avevo fatto alcuna impressione né
sul poeta né sull'amico. Questo insuccesso mi portò a ritenere che un forte
fattore affettivo intervenisse a turbare il loro giudizio; e più tardi credetti
di aver individuato questo fattore. Doveva essere stata la ribellione psichica
contro il lutto a svilire ai loro occhi il godimento del bello. L'idea che
tutta quella bellezza fosse effimera faceva presentire a queste due anime
sensibili il lutto per la sua fine; e, poiché l'animo umano rifugge istintivamente
da tutto ciò che è doloroso, essi avvertivano nel loro godimento del bello
l'interferenza perturbatrice del pensiero della caducità.
Il lutto per la perdita di qualcosa
che abbiamo amato o ammirato sembra talmente naturale che il profano non esita
a dichiararlo ovvio. Per lo psicologo invece il lutto è un grande enigma, uno
di quei fenomeni che non si possono spiegare ma ai quali si riconducono altre
cose oscure. Noi reputiamo di possedere una certa quantità di capacità di
amare che chiamiamo libido la quale agli inizi
del nostro sviluppo è rivolta al nostro stesso Io. In seguito, ma in realtà
molto presto, la libido si distoglie dall'Io per dirigersi sugli oggetti, che
noi in tal modo accogliamo per così dire nel nostro Io. Se gli oggetti sono
distrutti o vanno perduti per noi, la nostra capacità di amare (la libido) torna ad essere libera. Può
prendersi altri oggetti come sostituti o tornare provvisoriamente all'Io. Ma
perché questo distacco della libido dai suoi oggetti debba essere un processo
così doloroso resta per noi un mistero sul quale per il momento non siamo in
grado di formulare alcuna ipotesi. Noi vediamo unicamente che la libido si
aggrappa ai suoi oggetti e non vuole rinunciare a quelli perduti, neppure
quando il loro sostituto è già pronto. Questo è dunque il lutto.
La mia conversazione col poeta era
avvenuta nell'estate prima della guerra. Un anno dopo la guerra scoppiò e
depredò il mondo delle sue bellezze. E non distrusse soltanto la bellezza dei
luoghi in cui passò e le opere d'arte che incontrò sul suo cammino; infranse
anche il nostro orgoglio per le conquiste della nostra civiltà, il nostro rispetto
per moltissimi pensatori ed artisti, le nostre speranze in un definitivo superamento
delle differenze tra popoli e razze. Insozzò la sublime imparzialità della
nostra scienza, mise brutalmente a nudo la nostra vita pulsionale, scatenò gli
spiriti malvagi che albergano in noi e che credevamo di aver debellato per
sempre, grazie all'educazione che i nostri spiriti più eletti ci hanno impartito
nel corso dei secoli. Rifece piccola la nostra patria e di nuovo lontano e
remoto il resto della terra. Ci depredò di tante cose che avevamo amate e ci
mostrò quanto siano effimere molte altre cose che consideravamo durevoli.
Non c'è da stupire se la nostra libido, così impoverita di oggetti, ha
investito con intensità tanto maggiore ciò che ci è rimasto; se l'amor di patria,
la tenera sollecitudine per il nostro prossimo e la fierezza per ciò che ci accomuna
sono diventati d'improvviso più forti. Ma quali altri beni, ora perduti, hanno
perso davvero per noi il loro valore, perché si sono dimostrati così precari e
incapaci di resistere? A molti di noi sembra così, ma anche qui, ritengo, a
torto. Io credo che coloro che la pensano così e sembrano preparati a una rinuncia
definitiva perché ciò che è prezioso si è dimostrato perituro, si trovano
soltanto in uno stato di lutto per ciò che hanno perduto. Noi sappiamo che il
lutto, per doloroso che sia, si estingue spontaneamente. Se ha rinunciato a
tutto ciò che è perduto, ciò significa che esso stesso si è consunto e allora
la nostra libido è di nuovo libera (nella misura in cui siamo ancora giovani e
vitali) di rimpiazzare gli oggetti perduti con nuovi oggetti, se possibile
altrettanto o più preziosi ancora. C'è da sperare che le cose non vadano
diversamente per le perdite provocate da questa guerra. Una volta superato il
lutto si scoprità che la nostra alta considerazione dei beni della civiltà non
hanno sofferto per l'esperienza della loro precarietà. Torneremo a ricostruire
tutto ciò che la guerra ha distrutto, forse su un fondamento più solido e
duraturo di prima.
1915
(da SIGMUND
FREUD, Opere. 1915-1917
Volume 8°, BORINGHIERI 1976)
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