Particolare de " Il giardino delle delizie" di H. Bosch
H. Bosch è uno dei più misteriosi e affascinanti pittori di tutti i tempi e la sua opera si presta a molteplici letture. Oggi proponiamo quella di Guido Araldo, ripresa da http://cedocsv.blogspot.it
Guido Araldo
Hieronymus Bosch. Il
grande iniziato, maestro dell’archetipo
Tra i più grandi pittori di tutti tempi, a mio modesto parere,
figura il fiammingo Hieronymus Bosch, che si suppone sia nato il 2
ottobre di un anno imprecisato tra il 1450 e il 1454. Un enigma lo
accompagna: l'ultimo grande artista medievale o il primo grande poeta
simbolico dell’età moderna? Un’unica certezza: indubbiamente un
genio visionario, testimone di un’umanità irrimediabilmente
derelitta, senza speranza di salvezza. Anche il suo “giardino delle
delizie” è un incubo! Finora nessuno sembra aver notato che in
molte sue opere sono presenti, in un autentico diluvio di simboli, la
civetta e la gazza; quasi una firma segreta.
La civetta, ovviamente,
non allude a superstizioni medioevali, quale messaggera di cattivo
auspicio, né, tanto meno, è messaggera di morte secondo bigotte
credenze popolari; ma è il simbolo di Atena, la sapienza, che
osserva attonita l’umanità, a volte seminascosta al centro
geodetico della scena, come nel Giardino delle delizie, appena
visibile, ma essenziale e dominante, come nel mitico “one”
americano, il dollaro; dove è presente, ma mimetizzata e pochissimi
la vedono!
Bosch resta il più
grande artista criptico, misterioso, indecifrabile. Forse ha
disseminato d’impercettibili indizi la sua mirabolante opera, quasi
un’odissea: la dannazione, la corruzione, la degenerazione fanno
parte dell’universo fin dal suo primo palpitare. Simile concetto è
attestato dal Trittico delle Delizie che, chiuso, rappresenta il
“terzo giorno” della Genesi e, aperto, nello sportello di
sinistra evidenzia come la razza umana sia fallace dai suoi stessi
albori, in un contesto, il paradiso terrestre, che soltanto
all’apparenza sembra idilliaco. L’orrore infatti affiora negli
osceni animaletti emergenti dall’acqua e il mondo, appena abbozzato
da Dio creatore, giocatore di biliardo nel cosmo, già si palesa
sottilmente inquietante.
In alcuni quadri la
civetta sovrasta emblematicamente la scena, come nel viandante o
venditore ambulante, più ancora nel concerto nell’uovo e nel carro
di fieno, quasi sempre posata su un emblematico ramo secco; altre
volte, invece, sta nascosta come nella fronda recisa sovrastante la
nave dei folli o nel paniere del prestigiatore di fronte alla più
perfetta e sintetica rappresentazione dell’umanità costituita da
creduloni e ladri. Soltanto un bambino dal volto stupito sembra
avvedersene.
La civetta pare vigilare attonita e silenziosa e, forse, attesta che la via della salvezza è possibile, ma stretta come la cruna di un ago, e chissà: probabilmente ne conosce il percorso. Osserva e tace di fronte all’umanità persa in una caduca follia, immersa irrecuperabilmente nei suoi stravizi.La gazza, compagna della civetta in molti quadri, è notoriamente ladra, come ladra è l’umanità; ma allude anche al mondo della conoscenza occulta, poiché parente del corvo: è curiosa e sovente sfrontata. La sua presenza attesta che è possibile progredire nella conoscenza, in direzione della civetta, ovvero di Atena, la sapienza. La maturazione interiore indispensabile per non affogare nel grande incubo dell’oceano di un’umanità perduta, senza speranza di redenzione, ormai demoniaca.
La civetta pare vigilare attonita e silenziosa e, forse, attesta che la via della salvezza è possibile, ma stretta come la cruna di un ago, e chissà: probabilmente ne conosce il percorso. Osserva e tace di fronte all’umanità persa in una caduca follia, immersa irrecuperabilmente nei suoi stravizi.La gazza, compagna della civetta in molti quadri, è notoriamente ladra, come ladra è l’umanità; ma allude anche al mondo della conoscenza occulta, poiché parente del corvo: è curiosa e sovente sfrontata. La sua presenza attesta che è possibile progredire nella conoscenza, in direzione della civetta, ovvero di Atena, la sapienza. La maturazione interiore indispensabile per non affogare nel grande incubo dell’oceano di un’umanità perduta, senza speranza di redenzione, ormai demoniaca.
A questo punto come non
ricordare una leggenda illuminante? La gazza fu l’unico uccello che
si rifiutò di salire sull’arca di Noè, preferendo restare
appollaiata su un tetto e non fu sommersa dal diluvio. Per questo
motivo si diceva che la gazza costruisca il nido su case solide,
sicure, che nessuna alluvione porterà via, nessuna frana travolgerà
e nessun terremoto abbatterà: la casa dell’hortus conclusus,
solitamente remoto alle abitazioni degli uomini. In una simile ottica
la civetta e la gazza sarebbero pertinenti al mondo metafisico e
alluderebbero a una conoscenza diversa da quella tradizionale.
Hieronymus Bosch fu
poeta, testimone di tutti i tempi e anche profeta che magistralmente
esternò i suoi incubi e le sue arcane conoscenze in quadri senza
tempo e senza spazio. Vaghi documenti lo vogliono affiliato a una
confraternita segreta delle Fiandre e del Brabante di cui ne
descrisse, allegoricamente, enigmi e segreti.
Jeroen Anthoniszoon van
Aken, in arte Hieronymus Bosch, vissuto nella città del Bosco Ducale dalla quale non
risulta si sia mai allontanato, fu artista sfuggente, indecifrabile:
poeta onirico sospeso sul mondo e profeta insondabile dei destini
dell’umanità.
In tempi recenti la
stessa psicanalisi ha cercato una chiave di lettura nelle sue opere,
senza riuscire a decifrarle: i suoi quadri sembrano immense
scenografie enigmatiche, forse alchemiche, avulse alla razionalità,
impregnate di messaggi trascendentali, dove il Medioevo più profondo
si fonde nella modernità più futurista. Una pulsazione di vita
incontenibile, inaccessibile, inafferrabile.
Di certo Hieronymus Bosch
non fu un pessimista: fu, semplicemente, un osservatore disincantato
del mondo, sconcertato testimone di un’umanità sgraziata, crudele,
avida e allucinata. Un’umanità sul grande palcoscenico del mondo
senza prospettiva di salvezza, di redenzione, poiché dannata al
momento stesso della sua nascita.
Sono intimamente convinto
che la drammatica poetica pittorica di Bosch sia stata ispirata dal
più inquietante e misconosciuto versetto dell’Apocalisse: l’ultimo
del 13° capitolo, dov’è nascosta la verità indicibile: Hic
sapientia est! Qui habet intellectum, computet
numerum bestiae. Numerus enim hominis est et numerus eius sescenti
sexaginta sex”.
“Qui sta la sapienza!
Chi ha intelletto, computi il numero della bestia. In verità, è il
numero dell’uomo e il suo numero è seicento sessanta sei”. Si
badi bene: “dell’uomo” e non “di un uomo” com’è
comunemente tradotta la frase, in maniera fuorviante e accomodante,
palese manipolazione teologica. Il 666 è numero dell’umanità,
poiché il genere umano si configura come la Bestia. Ecco la verità
arcana, nascosta nell’Apocalisse: l’umanità, forgiata dal fango
da un demiurgo inferiore, impregnata dalle ceneri dei Titani secondo
il mito di Dioniso e Orfeo, è cieca, orribile, miserabile e soggiace
ineluttabilmente al Male. Una verità nota a Santa Romana Chiesa fin
dalle origini, che per purificarla dal fango del demiurgo inferiore
ricorre al sacramento del battesimo, rinnovato costantemente tramite
l’eucarestia. Soltanto pochi eletti, secondo l’Apocalisse, grazie
alle loro azioni, potranno accostarsi alla “scala del cielo” (che
è doppia poiché ascendente e discendente) e sfuggire al destino
dello “stagno di fuoco” che, però, sottintende la
predestinazione.
Hieronymus Bosch fu
pittore inquietate e seducente, che ineluttabilmente attirò
l’attenzione dei grandi del suo tempo, a cominciare dall’uomo più
potente dell’epoca, sul cui impero mai tramontava il sole: Filippo
II di Spagna che, per quanto pio, bigotto e cattolicissimo, si sentì
coinvolto in tanta inquietudine.
Troppo scarse le fonti
d’archivio per tracciare una biografia attendibile: sparuti e
freddi atti notarili tra il 1474 e il 1480, in cui si desume la firma
di “Jeronimus, detto Joen".
E’ noto il matrimonio
il 15 giugno 1481 con Aleid van de Meervenne, probabilmente più
avanti di lui nelle stagioni della vita, forse vedova: un matrimonio
senza progenie, che portò l’artista a vivere nella casa della
moglie, in “den Salvatoer" sulla Piazza del Mercato, di fronte
al municipio.
Più intrigante la sua
appartenenza alla misteriosa confraternita maschile e femminile,
laica ed ecclesiastica, di Nostra Diletta Signora, che aveva per
simbolo un giglio tra le spine: “sicut lilium inter spinas”;
altri, sicuramente più famosi (i Rosacroce), avevano la rosa al
posto del giglio. I membri di quella confraternita erano noti come "i
fratelli del cigno" e si diceva che fossero soliti incontrarsi
in agapi rituali definite allegoricamente “i banchetti del cigno".
Di certo, durante questi incontri conviviali in “stanze dai passi
perduti”, non si mangiavano i cigni, come molti critici hanno
supposto. Le scarse documentazioni su Bosch attestano che provvide ad
allestire uno di questi banchetti in casa sua, tra il 1498 e il 1499.
Il misterioso pittore del
“Bosco Ducale” fu partecipe di questa confraternita probabilmente
fino alla sua morte avvenuta il 9 agosto 1516: una confraternita
attiva sul piano culturale, poiché provvedeva alla pubblicazione di
testi umanistici e soprattutto gestiva una “Scuola Latina” che
ospitò, tra il 1485 e il 1487, Erasmo da Rotterdam, all’epoca
adolescente.
Presso la Scuola Latina
s’incontrarono Hieronymus ed Erasmo? Hieronymus, essendo più
vecchio di tre lustri fu suo maestro ? Quien sabe? Quali suggestivi
collegamenti tra “la nave dei folli” di Hieronymus e “l’elogio
della follia” di Erasmo! Sussiste forse una contiguità tra la
loggia di Nostra Diletta Signora e la loggia degli “homines
intelligentiae”, corrispondente agli “Illuminati”, attiva a
quell’epoca nelle Province Basse? Per la verità nulla è noto sul
conto della loggia di Nostra Diletta Signora: per alcuni una
confraternita eretica mirante all’innocenza paradisiaca del
giardino delle delizie tramite l’amore, anche carnale; per altri
un’arcana continuazione dell’eresia catara, mai totalmente sopita
dalla Santa Inquisizione, nonostante gli innumerevoli roghi accesi in
tutta Europa.
Va precisato che, per
quanto concerne gli hopmines intelligentiae, è incerta l’esistenza,
similmente ad altre confraternite, come i Rosacroce, che a quei tempi
non potevano assolutamente operare alla luce del sole!
Tra tanti dubbi, una
certezza: lo stile di Hieronymus Bosch è unico, inconfondibile: un
fiore insolito sbocciato nella storia dell’arte, inedito, diverso
da tutte le altre esperienze pittoriche, ricchissimo di dettagli
inquietanti, allucinati, caratterizzati da una fervida creatività,
con vaghi richiami all'arte della miniatura.
Problematica la stessa
datazione delle opere di Bosch: poche quelle firmate, a volte con più
versioni dello stesso soggetto; altre volte è persino incerta
l’attribuzione, come nel caso dei “vizi capitali”. A complicare
il contesto provvidero numerose imitazioni, sovente da artisti di
elevata capacità tecnica. Una certezza: tutte le
opere di Hieronymus Bosch furono realizzate su tavole di legno di
quercia. Anni di studi, pool
internazionali di ricercatori, il coinvolgimento di decine di musei,
una continua ridiscussione delle sue opere non hanno accresciuto di
molto le conoscenze su questo enigmatico artista.
Gli incubi e le
illuminazioni di Bosch restano messaggi indecifrabili: la più
sublime, implacabile, obiettiva rappresentazione dell’umanità, dal
destino apocalittico, persa in miraggi allucinati, sprofondata nei
suoi peccati; l’idiozia umana che si rinnova per omnia sæcula
sæculorum.
L’insondabile pittore
di Bosco Ducale è un genio anticipatore illogico del surrealismo,
artefice di un immaginario collettivo nuovo e nel contempo antico,
costellato da visioni apocalittiche inquietanti, terrorizzanti, mai
tranquillizzanti. Quasi un viaggiatore del tempo in fuga dal futuro,
a bordo di chissà quale macchina del tempo, approdato per caso nelle
brume del Nord Brabante. Tolkien, Disney, George Lucas, Collodi e
Lewis Carroll devono essersi affacciati sul suo universo insondabile,
che palesemente trascende le gargolle, gli angeli, i demoni, i
bestiari medioevali. Il mistero sembra accomunare Hieronymus Bosch,
Omero e Shakespeare.
Il suo messaggio sta
sospeso inesplicabile, inestricabile, insondabile tra il lento
crepuscolo del Medioevo fiammingo e la nuova stagione di Erasmo da
Rotterdam e di Martin Lutero, in un’Europa prossima ad ardere tra
le fiamme di una guerra di religione che si rivelò il più grande
olocausto di tutti i tempi. La sua pittura fu l’ultimo esorcismo
del Medioevo e la prima visione pittorica postmoderna, impregnata di
una teatralità inedita, di cui nessuno riuscì a coglierne
l’eredità.
Le sue opera trasudano di
cosmica fragilità, d’apocalittica drammaticità, d’alchemica
allucinazione: un percorso soltanto all’apparenza bizzarro che si
diparte dal venditore ambulante, vagabondo con una scarpa e una
pantofola in un mondo in dissoluzione, per approdare alla “morte
dell'avaro”, di fronte al più insondabile enigma di tutti i tempi
che è l’ultima porta, al di là della quale sta l’ignoto,
nonostante le certezze di tutte le verità rivelate.
C’è rassegnazione, non
denuncia, nel trittico del “carro del fieno”, sospeso tra la
malinconia del paradiso terrestre e l’inferno dell’apocalisse che
verrà. E’ la perfetta raffigurazione dell’umanità senza
destino, senza meta, nella processione eterna del carro di fieno dove
trionfa l’avidità universale, tra lussuria e orgoglio: le tre
fiere di Dante (lonza lupa e leone). L’intero mondo ne è
partecipe: dall’imperatore al papa, dal laico al chierico, dal
ricco al mendicante, nessuno escluso: tutti desiderosi d’accaparrarsi
un’inutile porzione di fieno, a qualsiasi costo, a qualsiasi
prezzo, anche ricorrendo all’omicidio. Tutti ignari del comune
destino: diretti verso il Leviatano, il pannello sulla destra,
inestricabile campionario di sadismo.
Nella visione metafisica
di Hieronymus Bosch non esiste il purgatorio, o meglio: il purgatorio
è questo stesso mondo folle in cui si consuma l’esistenza umana.
L’inferno musicale del giardino delle delizie è perfettamente
pertinente all’umanità che sprofonda sempre di più nelle sue
allucinazioni, nei suoi deliri, nei suoi vizi: la Valle di Siddim,
Sodoma e Gomorra, in attesa del fuoco dal cielo, dell’Apocalisse.
Eppure l’unico quadro
riferito all’Apocalisse dipinto da Bosh: san Giovanni a Patmos è
caratterizzato da serafica beatitudine, a eccezione dell’inquietante
“grillo” in armi in basso a destra e dell’uccello appiedato,
quasi attonito e solitario in basso a sinistra. San Giovanni peraltro
è giovanissimo, mentre la tradizione vuole abbia scritto
l’Apocalisse nell’isola di Patmos vecchissimo, ormai novantenne.
In tutti i soggetti
religiosi di Bosch, anche più semplici, a volte idilliaci, affiorano
dettagli inquietanti, sovente antropomorfi. Esemplare il San Girolamo
penitente intento a pregare di fronte a uno stagno dove galleggiano
zucche rotte e psichedeliche, in compagnia dell’immancabile,
enigmatica civetta e di una gazza lontana, indifferenti al caos
universale e al suo dramma personale. Come negare che
nell’opera enigmatica di questo grande artista sia presente
un’etica nascosta?
Fu proprio questa sua
seduzione criptica a determinare lo straordinario successo delle sue
opere: principi, re, prelati, borghesi ne restarono sedotti poiché,
forse, inconsciamente condividevano il messaggio occulto presente nei
suoi quadri. Secoli dopo, a stupirsi della sua criptica opera, furono
i critici d’arte i cui pareri, come sempre in simili casi, furono
pesantemente influenzati da considerazioni soggettive.
Bosch è il pittore del
mistero, l’indagatore della perduta anima mundi di un’umanità
derelitta in balia della follia. L’artista si compiace nel
descriverla con disincanto. Il tema “cardine” dell’opera di
Bosch è infatti l’umana follia, che si palesa compiutamente in tre
dipinti: l’estrazione della pietra della follia (1475 – 80), il
concerto nell’uovo (1480 circa) e la nave dei folli (1490 –
1500). Tematica sottilmente presente in molte altre opere di Bosch.
La pietra della follia
era un proverbio molto diffuso nelle Fiandre: si credeva vi fosse un
sassolino nel cervello in grado di far sragionare gli uomini.
Esemplare il chirurgo con l’imbuto in testa, simbolo di stupidità,
intento ad estrarre il sassolino dalla testa del paziente, più
ignorante di colui che dovrebbe curare.
A sua volta la nave dei
folli era una simbologia presente nell’immaginario collettivo
europeo già al tempo del Medioevo, se non in epoca più antica:
un’allegoria che oggi appare sempre più attuale, in un mondo
stravolto dall’inquinamento, minacciato da armi di distruzione di
massa apocalittiche, invaso da milioni migranti senza radici e
identità, imbevuto di dilaganti fanatismi religiosi. Il villaggio
planetario postmoderno acquisisce sempre di più le connotazioni di
una nave di folle gaudenti alla deriva nella palude del mondo, dedite
al panem, circenses, x factor e grande fratello. Una nave prossima ad
affondare mentre la civetta sta nascosta tra la fronde, indifferente
al ladro, alla follia, al delirio, alla deriva.
Più enigmatico il
concerto nell’uovo cosmico e alchemico, sotto la supervisione della
civetta e della gazza, più altri uccelli altrettanto simbolici come
i corvi e il pellicano, alcuni finiti in pentola. Anche in questo
caso non manca il personaggio con l’imbuto in testa. Un’altra
nave di folli, questa volta cosmica, vagante nel tempo e nello spazio
con improbabili inni (gregoriani?).
In Bosch il messaggio è
sottile e conduce a una verità spiacevole: impossibile qualsiasi
forma di redenzione. L’umanità è dannata! Un messaggio per i
posteri, oggi finalmente comprensibile, agli albori del XXI secolo.
Anche nel quadro del
vagabondo o venditore ambulante o figliol prodigo il riferimento alla
follia è sottinteso: chi mai è questo personaggio, se non il Matto
dei Tarocchi? O, forse, è Hieronymus Bosch stesso, vagabondo in un
mondo disarmonico, popolato da un’umanità squallida, dedita al
vizio, ai piaceri, con steccati chiusi da squadre e case in rovina?
In questo quadro la
civetta, sempre poggiata su un emblematico ramo secco, sembra
ravvivarsi: non sta seminascosta come nella borsa del prestigiatore o
al centro del giardino delle delizie, né si atteggia indifferente
come negli altri quadri; ma pare voler indicare la strada al
vagabondo o pellegrino.
E’ la via iniziatica
della “loggia del cigno”, di Nostra Diletta Signora? Il cigno,
vale la pena ricordarlo, trainava il cocchio aquatico di Afrodite,
simile a grande conchiglia. Il male insito nell’umanità è
perfettamente raffigurato nell’ecce homo (1470): impossibile la
redenzione collettiva vagheggiata dal cristianesimo. Soltanto
l’individuale via iniziatica può forse costituire una speranza:
similmente alla Veronica nella folle mostruosità umana della Salita
al calvario”, per il santo telo che tiene tra le mani; ma, forse, è
anch’essa soltanto una ladra, soddisfatta di quanto è riuscita a
realizzare, a procurarsi, che probabilmente venderà per pochi
denari, come squallida meretrice.
Jeroen Anthoniszoon van
Aken sta in attesa dell’Apocalisse, che verrà; anzi, è già
sospeso sul confine del mondo.
Nella Salita al calvario
di Gand, ben più incisiva di quella di Vienna, ogni speranza di
redenzione si è dissolta: gli esseri umani sono rappresentati come
esseri abominevoli. Non ce n’è uno che si salva! Aspetti
demoniaci, oggi si direbbe zombi, per i quali non sussiste speranza
di ravvedimento, di riscatto, di salvezza: similmente a papa Clemente
V in Dante, sono esseri i cui simulacri sono sulla terra, mentre già
stanno in incubi infernali.
La salvezza non può
essere intesa come un fenomeno di massa, similmente all’illusione
cristiana che ha marchiato i secoli: l’umanità è dannata,
perduta, irrecuperabile. Dio invierà un nuovo diluvio universale e,
questa volta, non ci sarà Noè con la sua arca. Un sottile filo
conduttore attraversa l’opera di Bosch, sotto il segno della
civetta e della gazza: l’anelito alla salvezza, se mai esiste, può
essere soltanto individuale, quasi misantropo.
Valga ad esempio il
trittico delle tentazioni di Sant’Antonio, attorniato dal più
assoluto delirio di un’umanità più bestia di tutte le bestie,
sprofondata in un mondo corrotto, in rovina, debordante di violenza,
orrore, irrazionalità e concupiscenza. Un mondo che in pieno
Rinascimento era soltanto intuibile a un visionario straordinario
qual era Hieronymus, che sembra intuire le devastanti guerre di
religione nelle Fiandre e in tutte le contrade del Nord Europa
ridotte a cimitero.
Un
mondo che sulla soglia del terzo millennio si va palesando in tutta
la sua drammaticità, con 7.500.000.000 d’individui degni dei
peggiori bestiari medievali che si aggirano famelici e devastanti su
un pianeta allo stremo, prossimo al collasso, in cui la stessa
esistenza degli altri esseri viventi è negata.
Viva panem, circenses e
l’isola dei famosi!
Guido Araldo
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