A riparo dalla bufera. 75 anni di Bob Dylan
A caccia di un ingaggio
«Un giorno d’inverno un tale grande e grosso entrò dalla porta che dava sulla strada. Sembrava arrivasse dall’ambasciata russa, si scosse la neve dalle maniche della giacca, si tolse i guanti, li mise sul bancone e chiese di vedere una chitarra Gibson che stava appesa al muro. Era Dave Van Ronk. Burbero, una massa di capelli irti, l’aria di uno che non si scompone per niente al mondo, un cacciatore sicuro di sé. La mia mente cominciò a correre. Nessun ostacolo si frapponeva fra me e lui. Izzy staccò la chitarra dal muro e gliela diede. Dave toccò un po’ le corde e suonò una specie di valzer jazzato, poi mise la chitarra sul bancone. Proprio nel momento in cui l’appoggiò io mi feci avanti e mettendoci sopra le mani gli chiesi come si faceva a trovare un ingaggio al Gaslight, chi si doveva conoscere. Non stavo cercando di entrare in confidenza con lui, volevo solo sapere.
Van Ronk mi guardò con curiosità, e con l’aria di uno che non fa complimenti mi chiese se mi andava di fare le pulizie. Gli dissi di no, che non mi andava e che se lo poteva scordare, ma potevo suonare qualcosa per lui? “Come no” mi disse». – da Chronicles Volume 1, di Bob Dylan, traduzione di Alessandro Carrera (Feltrinelli)
«Le melodie che ho in testa sono molto, molto semplici, si basano soltanto sulla musica che abbiamo ascoltato tutti da piccoli. Quella, e pure la musica che c’era prima di quella, andando indietro nel tempo, ballate elisabettiane e chissà che altro…
Per me, è roba vecchia. Roba vecchia. Non è qualcosa che, con quella dose minimale di talento che ho, se lo puoi chiamare così, con quella dose minima di talento… Secondo me uno che si presenta sulla scena adesso dovrebbe senz’altro capire, interpretare quello che c’è là fuori, se è interessato, seriamente, a essere il tipo di artista che rimarrà un artista anche quando raggiungerà l’età di Picasso. Allora ti conviene imparare un po’ di teoria della musica.
Eh sì, ti conviene, se vuoi scrivere canzoni. Invece di limitarti a prendere un arpeggetto hillbilly, capito, e basare tutto su quello. Perfino la musica country oggi è più orchestrata di un tempo. È meglio se arrivi ad avere abbastanza dimestichezza con la musica da non dovertela portare sempre in testa, ma poterla mettere per iscritto» – da Songwriters, interviste di Paul Zollo con traduzione di Francesco Pacifico (minimum fax)
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Dopotutto, era Dylan«I tempi sono cambiati: in passato uno poteva essere cosciente che Dostoevskij fosse una persona del tutto spregevole e continuare comunque a leggere avidamente ogni suo scritto. E persino quando, in un momento tra Highway 61 e Blonde on Blonde, si era sparsa la voce che Dylan poteva essersi trasformato in (o poteva essere sempre stato) un orribile bullo che, guarda caso, era anche il cantautore più dotato della sua epoca, la gente fece spallucce perché, dopotutto, era Dylan». – Da Guida ragionevole al frastuono più atroce, di Lester Bangs, traduzione di Anna Mioni (minimum fax)
«Quanto alla Regina dei folkinger, non poteva che essere Joan Baez. Joan aveva la mia stessa età e il nostro futuro sarebbe stato unito, ma a quell’epoca sarebbe stato risibile perfino pensarlo. C’era un suo disco su etichetta Vanguard intitolato semplicemente Joan Baez e l’avevo vista alla televisione, in un programma di musica folk della Cbs, prodotto a New York e trasmesso in tutta la nazione.
C’erano altri artisti in quello spettacolo, inclusi Cisco Houston, Josh White, Lightnin’ Hopkins. Joan aveva cantato alcune ballate da sola, poi si era seduta accanto a Lightnin’ e aveva cantato alcune canzoni con lui. Non riuscivo a smettere di guardarla, non volevo nemmeno battere le palpebre. Aveva qualcosa di assassino nell’aspetto, lucidi capelli neri che le scendevano fino alle agili curve dei fianchi, lunghe sopracciglia un po’ sollevate, non era esattamente Raggedy Ann, la bambola di pezza. Mi bastava vederla per sentirmi eccitato. E poi c’era la sua voce. Una voce che cacciava via gli spiriti maligni. Era come se fosse scesa da un altro pianeta». – da Chronicles Volume 1, di Bob Dylan, traduzione di Alessandro Carrera (Feltrinelli)
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Sbronzarsi in Main Street«In un certo senso “Sign of the Window” è l’altro lato di “Sweet Betsy from Pike”, il racconto di un uomo che non è riuscito a compiere il suo viaggio. Si riesce a immaginare il cantante, ubriaco in qualche cittadina a esta del Mississippi, mentre il suo isolamento si trasforma a poco a poco in alienazione. «Sure gonna be wet tonight on Main Street» (Di certo ci si sbronzerà stasera in Main Street), recita un verso, e la potenza della voce di Dylan e del suo piano lo fa sembrare il miglior verso che abbia mai scritto. Stasera ci si sbronzerà in Main Street, ma, del resto, non c’è altro posto dove andare». – da Bob Dylan, Scritti 1968-2010, di Greil Marcus, Odoya, traduzione di Barbara Sonego
With your pencil in your hand
You see somebody naked
And you say, “Who is that man?”
You try so hard
But you don’t understand
Just what you’ll say
When you get home»
Ballad of a Thin Man, Bob Dylan.
Sopra, una scena dal film I’m Not There, di Todd Haynes, ispirato alle vite di Dylan, qui interpretato da Cate Blanchett.
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