13 maggio 2016

M. VERDASTRO FA RIVIVERE NINO GENNARO AL BIONDO DI PALERMO


Nino Gennaro

Massimo Verdastro


“Un uomo si uccide ogni giorno con le parole che gli si tirano contro”



Non ho tempo di badare ai miei killer


di Nino Gennaro
uno spettacolo ideato e diretto da Massimo Verdastro e Giuseppe Cutino
drammaturgia Massimo Verdastro
con Massimo Verdastro e Giuseppe Sangiorgi
scena Giuseppe Marsala
costumi Daniela Cernigliaro
luci Giuseppe Calabrò
consulenza musicale Marco Ortolani
produzione Teatro Biondo Palermo
in collaborazione con Compagnia Massimo Verdastro



Corleonese di nascita e palermitano di adozione, Nino Gennaro è sempre stato ai margini, nel senso più crudo e autentico, ed ha sempre rifiutato vetrine e convenzioni. A venti anni dalla sua scomparsa, il Teatro Biondo propone uno spettacolo, interpretato e diretto da Massimo Verdastro con la collaborazione di Giuseppe Cutino, che prende il titolo da una frase dello stesso Gennaro, non priva di ironia, coniata durante gli anni della malattia e presente in uno dei suoi ultimi scritti, il libretto Gioiattiva, opera amanuense replicata in oltre duemila esemplari. Non ho tempo di badare ai miei killer è un’antologia composta da Una divina di Palermo, che ha rivelato la forza poetica e drammaturgica dello scrittore di Corleone, La via del sexo, Rosso Liberty, ed altri scritti editi e inediti. Un corpus in grado di offrire una visione ampia e approfondita del lavoro di un autore che ancora oggi si rivela di sorprendente attualità. Brani di diversa natura, che trattano gli argomenti più disparati, con i modi e i registri più diversi, ma con una comune urgenza: “l’urgenza di essere detti”. “Teatrosi”, dice l’autore dei suoi scritti: poesie, stralci di diario, racconti, dialoghi, parole inventate, tenere e arrabbiate, che sono commozione, ironia, disperazione, impegno sociale e politico. L’attore si fa corpo di questa urgenza, la porta in scena e la vive su di sé. Il titolo dello spettacolo non si riferisce soltanto a un fisico minato dall’AIDS, ma a tutti quei fattori che oggi determinano l’assopimento delle coscienze; da qui la necessità di combattere questi attacchi anche ignorandoli, rivendicando il diritto alla “gioia di vivere”, nonostante tutto.



P.S. Riprendo di seguito quanto ha scritto Beatrice Monroy subito dopo aver visto lo spettacolo:

 
STORIE DI NOI, UN PASSO
Ieri ho visto  uno spettacolo bellissimo.

Non ho tempo di badare ai miei killer, regia Giuseppe Cutino e Massimo Verdastro, testi Nino Gennaro, con Massimo Verdastro e Giuseppe Sangiorgi, scene Giuseppe Marsala, costumi Daniela Cernigliaro, luci Giuseppe Calabrò. Cito tutti a ragion veduta perché  la forza e la complicità con cui hanno lavorato è talmente evidente che dimenticare qualcuno è un brutto affare. Uno spettacolo bello e commovente con la lievità unica di Massimo Verdastro. Ma c’è qualcosa in più, di questo qualcosa vorrei dire: il fatto che si balli nella poltrona per l’emozione è il qualcosa in più, è la scelta di rappresentare la gioia che dà riconoscere il proprio destino in questa Italietta  a pensiero unico.
Nino Gennaro è stato  la quintessenza dell’emarginato, la quintessenza del poeta e della correttezza  con il proprio destino e la propria poesia. Poesia non mettere versi , non accarezzare il proprio linguaggio per diventare qualcuno nei circoli bene della cultura delle lobby italiane che se la suonano e se la cantano, ma poesia come spinta di un pensiero altro, diverso che ti colloca nel mondo in modo altro e diverso.  Ora, chi decide di raccontarlo, ( Massimo Verdastro da decenni si batte e lavora per  farci conoscere il  valore di Nino), può farne  la rappresentazione cupa di un perdente, la tragica giustificazione all’idea che si vuole da tempo ormai fare passare degli anni 60/70: chi allora era in prima fila nel cambiamento del mondo,  è morto devastato dall’eroina, dal terrorismo, dall’AIDS, quindi quel periodo della storia è solo un cupo ricordo da cancellare con il buonismo perbene del presente. Ma le cose non stanno così, la scelta di questa straordinaria squadra di artisti, è stata la gioia, il ballo, la musica, in parole povere:la felicità. La felicità, paroletta incantata, che dà affrontare a testa bassa e lanciando il cuore oltre l’ostacolo, la propria storia, torcerla e viverla fino in fondo con gioia. Altro che cupezza, altro che stare attenti.
Succede dunque che un gruppo di artisti ci propone un modo diverso di guardare alla nostra storia proprio in tempi in cui vengono riscritte  le vicende di tante persone che abbiamo conosciuto, che ci sono state più che care, amici, amanti, fratelli e sorelle  di un cammino accidentato  in cui ci riconoscevamo ( e di cui sempre abbiamo saputo e accettato i rischi) e che voleva innanzitutto insegnare a noi stessi e agli altri, a guardare con i propri occhi e non con gli occhi dei potenti che ci dicevano (come fanno adesso) cosa dobbiamo fare in ogni momento della nostra vita, deresponsabilizzandoci di tutto e rendendoci schiavi segregati nelle storie di altri.
Per questo sento l’esigenza di scrivere questi pensieri in questi tempi oscuri in cui tutto viene manipolato e riscritto, ingerito e digerito secondo la logica del più vile  buonismo d’accatto:  mettere in scena la vitalità e la gioia infinita del vivere la trasgressione come rivoluzione, è veramente una prova eccezionale dell’andare contro e riportare le cose al vero stato di fatto.
Non posso non pensare infatti che proprio in questi giorni c’è stata l’apologia buonista del nostro caro amatissimo amico e compagno Peppino Impastato. Nino e Peppino, esattamente la stessa età, uno a Cinisi e l’altro a Corleone, in mezzo tra di loro, Danilo Dolci a Partinico e Franca Viola ad Alcamo. Stessi anni, stesse geografie. Non vi dice niente questa coincidenza? Uno morto  lapidato in una casa nella periferia del mondo e poi buttato su un ciglio di strada, l’altro morto di aids, la morte vile, quella che nessuno vuole vedere e di cui a tutt’oggi nessuno si chiede le ragioni, frocio, tossicomane, uomo libero. Il primo, il secondo: uomini liberi. Ambedue sulla strada di un rovesciamento  dei valori che venivano loro propinati  nelle loro cittadine di provincia dove la mafia, con quello che davvero è mafia, cioè cultura fascista del silenzio e della testa china, faceva a fa da padrona. Ambedue alla ricerca della libertà. Ma questo nessuno lo dice di Peppino, nessuno. Adesso Peppino è un’immaginetta del presepe buonista. Lui e Felicia sono nel presepe dei buoni sentimenti. Ma così non stavano le cose perché Peppino, come Nino, intendeva altra cosa per buoni sentimenti. Erano ambedue una parola che non va affatto di moda ma che fu fondamentale per  sollevare il mondo: erano due rivoluzionari. E qui mi fermo. Andate a vedere lo spettacolo e riempitevi della gioia che porta essere dei rivoluzionari, non nascondetevi sotto il perbenismo pietoso dei nostri giorni. La gioia di guardare il mondo con i propri occhi,  il coraggio di accettare di rischiare, pena l’inferno di un quotidiano umiliante e degradante, è rivoluzione, una parolina magica di cui io personalmente sento molto bisogno.

da   https://beatricemonroy.wordpress.com/2016/05/14/non-ho-tempo-di-badare-ai-miei-killer-e-altre-voci/

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