10 maggio 2016

L' ISLAM NON TEMEVA IL SESSO



Il Salone di Torino di quest'anno è dedicato alla letteratura araba di cui al di là di qualche autore affermato sappiamo davvero molto poco. Una delle autrici partecipanti è Leila Slimani che presenterà il suo romanzo “Nel giardino dell'orco”, considerato una rivisitazione “islamica” di Madame Bovary. Riprendiamo un suo intervento sui temi del libro.


Leïla Slimani

L’islam non temeva il sesso. Ora ha paura delle donne

Il mio sesso non mi appartiene. Avevo 16 anni quando per la prima volta l’ho pensato. Appartiene a mio padre, a mio fratello. Un giorno apparterrà a mio marito. E per tutta la mia vita Dio, lo Stato, la folla avranno comunque un diritto su di esso. Avevo 16 anni e vivevo in Marocco, dove sono nata e cresciuta. Lì il codice penale prevede il carcere per chi ha rapporti sessuali fuori dal matrimonio. Dove l’omosessualità è punita con un periodo che va dai 6 mesi ai 3 anni di prigione, dove l’aborto è illegale e dove una persona sposata colpevole di adulterio rischia la reclusione.

Tutti i Paesi musulmani non hanno lo stesso corpus legislativo ed esistono grandi differenze fra il regime di quasi apartheid dell’Arabia Saudita, in cui le donne sono ridotte a oggetti, e quello della Turchia o della Tunisia in cui sono riconosciute come cittadine a tutti gli effetti. Ma ovunque regnano la stessa morale e la stessa ipocrisia. Ovunque si finge di credere che i giovani non abbiamo rapporti sessuali clandestini. Si nega l’esistenza di concubine, omosessuali, prostitute. La gioventù musulmana e le donne in particolare vivono la loro sessualità in un clima di confusione e di angoscia. Si fa l’amore ma segretamente, senza parlarne mai. Alcune ragazze accettano la sodomia per timore di perdere l’imene.

Ho spesso pensato che non è un caso se Adèle, il personaggio del mio romanzo Nel giardino dell’orco (Rizzoli), è una donna frustrata, che mente, che conduce una doppia vita. Dall’Egitto all’Iran, passando per l’Algeria, il matrimonio è l’unico spazio di sessualità accettabile. Se la società si mostra indulgente riguardo al corpo maschile, che deve poter gioire, alla donna tutto è proibito al di fuori della vita coniugale. La donna è oggetto del godimento ma mai soggetto. Vergine o sposa. Dappertutto vale lo stesso modello.

La verginità è un tema assillante, che si sia liberali o meno, religiosi o no. Idealizzata, mitizzata, è uno strumento di coercizione destinato a tenere le donne in casa e a esercitare su di loro una sorveglianza continua. È oggetto di una preoccupazione collettiva invece d’essere una questione privata. Una donna che perda la verginità fuori dal matrimonio disonora famiglia, clan, villaggio; diventa un’emarginata, una criminale.

L’Isis non ha forse spinto fino all’orrore questa funesta ossessione promettendo ai martiri, come ricompensa, fanciulle eternamente vergini, che anche un rapporto sessuale non riuscirebbe a deflorare?

Sulla sessualità delle donne musulmane non bisogna però dipingere un quadro dalle tinte troppo fosche e senza sfumature. Poiché, se la legge e la morale sono rigide e pesanti, la condizione delle donne nel mondo islamico si è considerevolmente evoluta negli ultimi cinquant’anni. E una nuova generazione di donne trae vantaggio dalla lotta che le più anziane hanno portato avanti per il riconoscimento dei loro diritti, per aver accesso agli anticoncezionali, alle cure mediche, all’educazione. Nei centri urbani, a Casablanca, al Cairo, a Beirut, ci sono donne che vivono la loro vita con determinazione. Indipendenti finanziariamente, viaggiano, consumano e hanno una vita sessuale. Certo, per molte di loro il prezzo da pagare è alto. Infatti, come scriveva la sociologa marocchina Fatima Mernissi in Rêve de femmes : «L’ordine e l’armonia esistono solo quando ogni gruppo rispetta le hudud , le frontiere sacre. Qualsiasi trasgressione provoca necessariamente anarchia e disgrazia».
    Leila Slimani

Le donne vivono una lotta interiore dura, lacerante, fra la volontà di liberarsi dalla tirannia del gruppo e il timore di esserne punite. Alcune di loro arrivano al punto di riappropriarsi della religione musulmana, presa in ostaggio dal patriarcato dominante. Le «femministe islamiche» hanno l’ambizione di tornare ai Testi e di dimostrare che l’islam non è più misogino degli altri monoteismi. Ripetono di continuo che, nei primi tempi dell’islam, il sesso non era un tabù. Lo stesso Maometto è stato una «guida sessuale» per i suoi compagni. Alcuni hadith , racconti, parlano di contraccezione e di orgasmo come preludio ai piaceri promessi agli abitanti del Paradiso.

Dal IX al XIII secolo, la letteratura e l’arte erotica si diffondono; il corpo femminile è decantato, esaltato, descritto come fonte estrema di piacere. Il celebre manuale dello sceicco Al Nafzawi, Il giardino profumato , scritto nel XIV secolo per un principe bisognoso di consigli erotici, comincia con bismillah , cioè «In nome di Dio misericordioso».

Come sembrano lontani i tempi in cui il mondo musulmano era conosciuto per la sua sensualità e in cui i cristiani trovavano sconveniente che Maometto ostentasse la sua felicità coniugale e sessuale.
A partire dal XIX secolo, il declino intellettuale, politico ed economico del mondo arabo va di pari passo con una visione più puritana della sessualità. Per gli islamisti, la sconfitta del mondo arabo, caduto sotto il giogo occidentale, è in parte imputabile alla libertà sessuale che vi regnava. Negli anni Cinquanta i nazionalisti, che si danno da fare per l’indipendenza del loro Paese, sostengono l’emancipazione delle donne musulmane. Che si scoprono il capo, lavorano, studiano.

Tuttavia, i nuovi leader non hanno mai esortato alla libertà sessuale delle donne. Come se il corpo femminile rimanesse una fortezza identitaria. Attaccare questi principi fondamentali, la verginità e il pudore femminile, significava rischiare di perdere l’identità stessa dei loro Paesi. Le donne saranno tradite a turno dai modernisti, che ripetono di non poter andare troppo velocemente o troppo lontano, e dagli islamisti, che considerano l’uguaglianza dei sessi un preludio alla anomia.

Da allora, la donna è rinchiusa nei fantasmi di uomini resi impotenti dalla dominazione che subiscono. Per i salafiti, l’Occidente è un contro-modello: dove la trasparenza è esagerata, dove tutto si dice e tutto si vede, dove si fa l’amore sempre e dovunque e dove il corpo delle donne non è più oggetto di alcun pudore. Cedere a questo modello significa rischiare di sprofondare nel caos.

Oggi, in un mondo musulmano che si è sentito umiliato, quello sessuale diventa l’unico spazio in cui l’uomo può esercitare il proprio dominio. Il corpo della donna deve essere fiero dell’identità musulmana. Attraverso il suo corpo si misura l’onore, l’immagine, la virtù di un popolo, di una famiglia, di uno Stato. Le femministe musulmane temono — probabilmente a ragione — di essere accusate di voler traviare la società se militano per una liberazione della sessualità femminile. Di conseguenza, si concentrano su quelle che per loro sono le priorità: l’educazione e la salute. Ma i diritti sessuali non dovrebbero esser visti come secondari. Disporre del proprio corpo come si vuole, condurre una vita sessuale che sia priva di rischio, fonte di piacere e libera da qualsiasi coercizione sono necessità fondamentali.

Sono completamente d’accordo con Kamel Daoud quando dice che il mondo arabo vive una situazione di miseria sessuale generalizzata, in particolare per le donne le cui esigenze sessuali, se come fine non hanno la riproduzione, sono semplicemente ignorate. Donne che sono sottomesse all’imperativo della verginità prima del matrimonio e poi alla passività. Donne il cui corpo è sottoposto a un tale controllo sociale che non possono avere pienamente il ruolo di cittadine. Essendo a tal punto «sessualizzata», esortata al silenzio o all’espiazione, la donna è negata in quanto individuo. È soltanto moglie, figlia, sorella, madre. Rimane da inventare la donna che non appartenga a nessuno, che debba rispondere delle sue azioni solo come un qualunque cittadino e non in funzione del suo sesso. La donna che possa liberarsi dalla qa’ida , cioè dalla norma, dalla consuetudine ammessa da tutti. Una donna il cui sesso non appartenga che a se stessa.
( traduzione di Daniela Maggioni )


il Corriere della sera/La Lettura - 8 maggio 2016

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